Il modulo Mannoni
Addio polemiche roventi nella nightline del Tg3. Il conduttore ormai ama scivolare sulle curve ed evitare le buche più dure
"Linea Notte, il racconto della giornata". L’ingresso in scena come se arrivasse da lontano. La pausa tra le parole da performer consumato, l’attimo finto d’esitazione in cerca della telecamera, che invece per ogni attore significa: a me gli occhi. Ogni tanto, sul divano, tra le chiacchiere di fine giornata, uno dei due dice: “Ah, c’è Mannoni”. E’ un trapasso morbido verso la notte. La sit-com rassicurante dopo la giornata. Piana piana, piano piano. Niente adrenalina, prima di dormire. Piace a Emilia e piace anche a me, Linea Notte, perché siamo abituati al suo ritmo e al linguaggio. Come quando vedi le stagioni diverse delle serie e ti accorgi che gli autori hanno cambiato registro, temi, ma senza farsi accorgere. E stai al gioco.
Ci fu un tempo, ma c’era ancora il Cav., in cui la nightline informativa del Tg3 era la palestra per l’ultima scazzottata del giorno prima, e la prima del giorno dopo. Gli ospiti politici più di primo piano di quelli di adesso (ma adesso, chi è di primo piano?), la polemica rovente, il commento sui titoli. Che ormai scorrono con meno emozione, sul tavolo touch-screen. Linea Notte è una rassegna stampa e talk politico, oggetto ibrido, che più d’antan non si potrebbe. Bianca Berlinguer probabilmente se ne faceva un cruccio, di confermare broncio e ruolo, di ammannire l’alto magistero. Ora che è rimasto solo al comando, Maurizio Mannoni non si cruccia, e lo dà a vedere, e lo conduce dove vuole. Scivolando morbido sulle curve, evitando le buche più dure. Come quando pattina sugli sci, il suo mezzo di locomozione preferito.
Ci fu un tempo in cui la nightline informativa del Tg3 era la palestra per l’ultima scazzottata del giorno prima
Come un piatto da cui spilucchi insieme, ognuno insegue sapori diversi. Per Emilia, che durante il giorno fa un lavoro serio, almeno lei, e non perde tempo sui siti e sui social, è il tranquillo aggiornamento delle tre-quattro cose da sapere del giorno, i titoli un appunto sul menù di domani. Per me, o per chi è vecchio del mestiere come me, di quando i giornali chiudevano tardi e vigeva l’illusione che fossero imperdibili, è un po’ come quelle sere inevitabili e abusate alla solita trattoria, dopo che s’è chiuso, coi quattro colleghi. Vorresti parlar d’altro, cazzeggio, ma poi sei sempre lì a discutere di giornali, di editoriali, il ping pong di opinioni che sai perfettamente inutili, inchino dell’abitudine di quando fare i giornali era fare politica. E si aspettava il sequel. Mannoni lo pensa anche lui: non sarebbe male se ci fosse ancora quel giornalismo lì. Invece c’è la trattoria. “Mentre dico le notizie, cerco di tenermi stretto alla mia indignazione per tutto il male di questo nostro paese, e alla mia voglia di cambiare. Mi piacerebbe che questo emergesse dal mio lavoro”. Sono frasi di tre decenni fa, Prima Repubblica. Nessuno dovrebbe mai essere inchiodato alle intemperanze di gioventù. Non inchioderemo lui (e noi con lui).
Maurizio Mannoni ha una carriera lunga così, ne ha viste cose passare. Gli chiesero che cosa ha assorbito di Roma, lui che è nato in Liguria. Rispose: “Un po’ di sano cinismo, che secondo me farebbe un gran bene anche agli spezzini. I romani sono abituati da tempo immemore a fronteggiare ogni genere di evento e a vivere nel caos. Se non avessero l’ironia e il cinismo a salvarli non potrebbero sopravvivere”. Applicatelo a chi da una vita lavora in Rai: non fa una grinza. Il format di Linea Notte c’è dal 2008, un’èra geologica per l’informazione. Se l’è diviso per anni con Bianca Berlinguer, non sono stati sempre rose e fiori. Sono il giorno e la notte. Tanto insicura e tutta scaletta e domande mirate a raffica lei, tanto improvvisatore, rilassato, blandamente curioso dei pensieri altrui lui. Notazione comune di tutti gli ospiti seriali: ti mette a tuo agio, evita il bisticcio, quasi dimentichi di essere in un talk. Ora che è rimasto padrone di casa la linea morbida prevale. E’ riuscito nella non picciola impresa di trasformare un’edicola di approfondimento in qualcosa che somiglia a una sit-com. I suoi collegamenti con Giovanna Botteri da New York sono Casa Vianello. Perfetti i tempi, surreali i testi. Intanto scorrono gli ospiti, collaudata compagnia di giro; la redazione puntualizza e aggiorna, una compagnia stabile, rodata al teatro da camera. Spesso c’è uno scrittore, a promuovere il suo libro di nicchia. O un regista il suo spettacolo, sempre di nicchia. Il puntiglio di Rai3 per la cultura: sempre di sinistra, sempre di nicchia.
E’ riuscito nella non piccola impresa di trasformare un’edicola di approfondimento in qualcosa che somiglia a una sit-com
E’ chiaro, per apprezzare un salto nel passato così bisogna essere un pubblico di quel tipo lì, di quella generazione televisiva lì. Di quella congrega politica lì. Tant’è che piace pure a Vittorio Feltri, per dire: gli piace il tono non urlato. Ci fu un tempo in cui si aspettava il titolo di Repubblica per confrontarlo con quello del Corriere, e rassicurarsi che fossero anche per domani uguali. Ora quel rito è finito, le edicole tramontate, ne fa una Sky, poco convinta. Giusto l’essenziale. Così ecco l’icona di Mannoni, esperienza da vendere, tenuta scenica sopra la media, per la televisione italiana. E in quest’epoca di talk dell’insulto e di conduttori sovraesposti per mancanza di illuminazione interiore, il tinello comodo di Rai3 emerge, forse anche solo per galleggiamento. Affiora come un format paradossalmente adatto ai tempi. Tanto che se n’è accorto pure Maurizio Crozza – come dire la marca da bollo sul lato comico che tutti già vedono. E’ approdato a Fratelli di Crozza sulla Nove e ha messo in cartellone “Benvenuti a Linea notte-chi-se-ne-fotte”, il talk in ciabatte. La tv dello sbadiglio, lo chiama “Mannoioni”.
La sera sul divano, mentre Emilia si gode la sit-com, vien fatto di porsi la domanda. Ma a chi ha meno di trent’anni – quaranta, va’ – l’ha mai visto, Mannoni? “Effettivamente, ora che mi ci fai pensare, è un oggetto che so che esiste, ma da un’altra parte. Non veduto”. La persona cui chiedere conferma è Mattia Carzaniga, perché è giovane, perché è un critico di cinema e televisione. Perché è la cartina tornasole adatta a reagire: ma quelli della tua generazione lo guardano, Linea Notte? “L’unica edicola che esiste ormai è quella di Fiorello, che per l’appunto non è un’edicola. E’ un format che non appartiene più alla contemporaneità. Tutti quelli che conoscono, gli amici o i colleghi che ti segnalano l’ultima breaking news o l’ultimo post di questo o di quello, l’informazione se la fanno da soli. L’edicola te la costruisci tu, senza aver bisogno dei giornali. L’attualità dei social ha tolto contemporaneità ai giornali. La mattina di domani è già passata prima”. Dei social, a Linea Notte non si curano. C’è un profilo twitter, deserto come un camposanto. Il pubblico fedele (Mannoni ha un suo pubblico fedele: è un piacione competente) segue altri sentieri. Un format che sta lì, ondeggiando tra il 5 e il 6, persino picchi di 8 per cento di share, una nicchia da 400-500 mila spettatori. E a nessuno, al momento, nemmeno tra i disruptor di Campo Dall’Orto, è mai venuto in mente di toccarlo. Linea Notte, semplicemente, esiste.
Quest’anno alla settimana bianca dei Giornalisti italiani sciatori, non ha potuto esserci: “Ma come, Maurizio non c’è?”
Nato a La Spezia nel 1957, ma subito trasferito nella capitale, Mannoni è un giornalista romano tipico e insieme atipico. Affezionato alla terra delle sue vacanze d’infanzia, alla Lunigiana della sua famiglia. Figlio di giornalista (Ugo Mannoni di Paese Sera, gran scuola pop di orbita Pci), sposato con una giornalista (Laura Perego di La7), hanno tre figli ma non vorrebbe facessero la stessa strada, “questo mestiere, per come lo abbiamo conosciuto noi, sta svanendo, evaporando”. Poi ci soni i cani da portare a spasso alla Balduina, poi c’è l’Inter. Che è un esercizio esistenziale assoluto (lui dice “l’unica regressione che mi concedo”), tifare Inter: è starsene di sguincio, a seguire le partite degli altri. Poi ogni tanto, a ogni cambio d’epoca, si vince. A molto a che fare con la politica, con la sinistra: sì. Poi c’è lo sci, normale anormalità da borghesia romana. Quest’anno alla mitica settimana bianca (questa settimana) con gare del Gis, i Giornalisti italiani sciatori, a Santa Cristina di Val Gardena, appuntamento di culto e rito sociale, non ha potuto esserci. Ma è una ragione di vita, lui e Laura sono tra i migliori in gara, e via dalle piste lui è l’istrione e il capo comitiva. tanto che quest’anno il refrain deluso era: “Ma come, Maurizio non c’è?”. E’ un Curzi boy, a Viale Mazzini dal 1986. La prima notorietà in video con Michele Santoro, per i collegamenti esterni di Samarcanda, anno 1993. Poi con Simonetta Martone per All’ultimo minuto, progenitore di ogni real tv. I Curzi boy, cresciuti nelle emittenti locali targate Pci, la politica ce l’hanno nel dna. Si può solo diluire. Quel che pensa della sinistra e del giornalismo l’ha detto spesso, tra attaccamento alla maglia e delusione. Quel che l’ha fatto notare, negli ultimi tempi, togliendolo dalla media della categoria Rai, sfilandolo alla mediocritas aziendale dominante, è stato il suo cambio d’atteggiamento verso il mainstream della sinistra di Saxa Rubra, partito berlinguerista in testa. Un morbido (lui è morbido) scivolamento verso il renzismo, quando c’era il renzismo. Quantomeno, riconoscergli delle ragion d’essere. Quando ci fu il pastrocchio dell’“editto Anzaldi” contro Rai3, fu l’unico a viverlo con calma (con Anzaldi “ci conosciamo da una vita, da quando era il portavoce di Rutelli, ci incontriamo spesso sotto casa con i cani”). Ma soprattutto: “Io l’editto bulgaro di Berlusconi l’ho vissuto sulla pelle ed era un’altra cosa. Lì c’era un presidente del Consiglio che chiese la testa di alcuni giornalisti e la ottenne”. La vicenda di Anzaldi invece è solo “sconfortante, ma in fondo che sarà successo mai? Un componente della Vigilanza che parla e la fa un po’ fuori dal vaso, poi nemmeno tanto. Si agitano troppo”. Non proprio la trahison des clercs, solo un sano realismo-cinismo romano primo-repubblicano. L’irriformabilità del sistema come fatto e antefatto di ogni ragionamento su ogni riforma: “Sarò un fesso, però credevo nell’alba di una nuova Rai. Nulla però che non si sia già visto”. Ma bastò per guadagnargli l’imperituro odio di Travaglio: “A questo punto, fermi tutti: arriva Maurizio Mannoni. E’ in tv dalla notte dei tempi… Ogni sera sul far della mezzanotte, il tenutario del talk più soporifero ed emolliente della tv mondiale s’affaccia con le mani in tasca, l’occhio da triglia morente, lo sbadiglio incombente… Da quell’olimpica atarassia lo ridesta soltanto l’eventuale, inconsulta presenza in studio di un critico del governo invitato da chissà chi, che lui s’incarica comunque di tacitare con slogan a pronta presa tratti dal twittario renzista”.
Crozza sfotte, dice che non gli frega niente. Ma non è vero, ci tiene alla forma. Quando un paio d’anni fa rifecero lo studio, togliendo la mobilia e la tappezzeria da tribuna politica dell’epoca del Comintern, e misero su quello studione tipo astronave, le luci psichedeliche e quel tavolone ovale nella stanza, che è difficile prendere il ritmo del passo, coordinare battuta-telecamera-torsione, volarono improperi. Il tavolone ovale fu ribattezzato senza pietà, diciamo come un altro tipo di tavola ovale. Fanno fede anche le incazzature per gli sfori dei colleghi, piccole chicche di culto: “Mezzanotte e diciannove, come potete notare iniziamo tardissimo e se ci tradisce anche Federica Sciarelli siamo messi veramente male”.
L’“editto Anzaldi”? “In fondo che sarà successo mai? Un componente della Vigilanza che parla e la fa un po’ fuori dal vaso”
Così oggi, in quest’epoca informativa ibrida come il suo format; in questa Italia che politicamente guarda all’indietro e giornalisticamente guarda nel vuoto. E in cui il talk politico, in stato pre-agonico, si mantiene vivo con dosi non omeopatiche di urla, di insulti, di populismi esibiti e di populisti sempre invitati, la Linea Mannoni, con la sua musealità programmatica, con la sua lentezza premeditata, il suo scafato sottotono giocato tra l’ironico e il cinico, come fosse un punto d’onore è ridiventata a buon motivo centrale. Come fosse un esempio. Un memento. Un po’ perché bisogna tirare a campare, e signori spettatori il racconto della giornata è questo. Un po’ perché la Linea Notte di Maurizio Mannoni ha una sua insinuante attualità, come le cose vintage. Nell’italia della nuova Prima Repubblica, nell’Italia felpata di Gentiloni, silente di Mattarella, l’Italia che s’è digerita già anche questa riforma della Rai che non è arrivata, ogni sera, andando in onda, Mannoni compie il rito di una giornata della memoria dell’informazione che fu, e non sarà. Senza stress, senza ansie, con un incespicare sulle parole che sa di dolente ironia. Emilia e io ce lo godiamo, quando capita, come una vecchia replica. E finché dura ringraziamo.
Politicamente corretto e panettone