Big Little Lies: ricche persone di sinistra che si comportano male in riva al mare

Manuel Peruzzo

La nuova serie HBO, con un cast stellare, apre una finestra sull'ipocrisia di un gruppo di famiglie benestanti, bianche e liberal

Quattro donne e un cadavere. Inizia così Big Little Lies (HBO), la nuova dramedy facilmente inquadrabile in tv di qualità: cast stellare (Kidman, Witherspoon, Dern), regista indie (Jean-Marc Vallée), showrunner pluripremiato (David E. Kelley), rete via cavo arty non-è-tv-è-HBO (quando ci si chiede perché non esista una serialità europea la risposta è semplice: esiste già, è americana). Non vi basta? Big Little Lies è l’adattamento a un romanzo australiano da classifica New York Times. Le protagoniste sono quattro donne tra i quaranta e cinquant’anni, con figli che vanno in prima elementare (Hollywood avrà un problema con le attrici sopra i quaranta, la tv no), e passano il proprio tempo a fare yoga, bere Chardonnay biodinamico nelle ville da Architectural Digest, correre sulla spiaggia. E a litigare furiosamente, naturalmente. 

  

 

Il New York Times lo ha eletto l’ultimo esempio di un nuovo genere: belle persone che si comportano male in riva al mare. Tra i più famosi esempi ci sono l’assassino Dexter a Miami, le protagoniste di Revange negli Hampton, e naturalmente il Rashomon delle corna a Montauk, The Affair, la serie più prossima per temi e atmosfera. Anche qui ci sono tradimenti, rivalità, litigi e morti. Anche qui abbiamo una giovane donna, Jane Chapman, che deve integrarsi e superare il divario di classe, i pregiudizi, e un passato doloroso da cui fuggire. Faccenda complicata dal fatto che il primo giorno di scuola suo figlio, Ziggy, è accusato pubblicamente di aver tentato di strozzare una bambina (c’è anche un po’ di "Carnage" di Roman Polanski e Yasmina Reza; i bambini più svegli sono scritti come gli adulti che vorremmo essere). Il piccolo per scusarsi la bacia, peggiorando la propria situazione. La bambina è la figlia della persona sbagliata, Renata Klein: mamma in carriera spietata ma caritatevole che nel tempo libero organizza cene di raccolta fondi per i veterani. Più spaventoso dell’omicidio c’è solo il regolamento horror della scuola dove tutti devono andare d’accordo e se due seienni si baciano è subito molestia sessuale, e si telefona agli avvocati.

 

“Nessuno sa niente della vita degli altri”, è quanto afferma uno degli interrogati per l’omicidio di cui non sappiamo ancora nulla, tranne che una festa è finita col morto. Eppure tutti sembrano conoscere bene gli autentici rapporti dietro la facciata di necessaria ipocrisia tra famiglie benestanti, bianche, liberal: Nicole Kidman è la casalinga più invidiata di Monterey, col marito giovane e ricco interpretato da Alexander Skarsgård (un comprensibile rapporto problematico fatto di abusi e sesso selvaggio); Laura Dern è la madre di successo che però si lamenta di non piacere a nessuno (il marito prima la rassicura tessendone le lodi, poi aggiunge improvvidamente che tutte le donne vogliono essere invidiate, ma non troppo, facendole storcere la bocca in segno di disapprovazione. E di letti coniugali brinati); Reese Witherspoon ha dedicato tutta se stessa alla famiglia e ora che i figli crescono si sente inutile. Si tiene occupata facendo la guerra alla rivale Renata Klein (le rispettive madri delle attrici hanno chiamato le figlie lamentandosi per quanto stronze fossero i personaggi). 

 

I problemi del primo mondo non sono da meno di quelli del terzo. Sì, ok, se vivi in Africa devi sopravvivere alla malaria e sapere dove trovare dell’acqua potabile; ma se vivi a Monterey il tuo problema è sopravvivere al desiderio di controllo altrui. Qualcuno non ci riesce.

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