(foto LaPresse)

Anzaldi ci dice perché ora “la Casta da punire” è quella dei conduttori

David Allegranti

Il deputato del Pd: “Rai, giusto il tetto dei 240 mila euro. La politica è super trasparente. Ma gli altri?”

Roma. Michele Anzaldi, deputato del Pd, membro della Commissione di Vigilanza Rai, è scatenato. Contro chi si lamenta del tetto ai compensi, contro l’ufficio stampa della Rai (“Ma lo dirige Bruno Vespa?”), contro i Cinque Stelle. Il Foglio lo aveva invitato per una video-intervista in redazione, ma lui preferisce non essere ripreso. “Non vado mai in tv, la sera voglio andare a mangiare la pizza in santa pace…”.

 

Anzaldi, partiamo dal famoso tetto dei 240 mila euro voluto dal governo, che adesso si dovrà applicare anche agli “artisti”. “Anzitutto andrebbe fatta la separazione tra artisti e giornalisti, perché non puoi essere tutto il giorno giornalista e solo a fine mese artista. Il direttore del Tg1, oggi sotto attacco, dirige 12 edizioni, gestisce oltre 160 giornalisti, l’Osservatorio di Pavia e l’Agcom non lo lasciano respirare, la Commissione di Vigilanza gli fa le pulci, i partiti gli rompono le scatole. Lui ogni giorno fa ascolti che alcune trasmissioni raggiungono in un mese, addirittura in un anno. Guadagna 240 mila euro, ma nessuno lo sa. Invece altre trasmissioni, con piccoli ascolti, a cadenza ridotta, che però vengono considerate artistiche, hanno altri cachet. Così non può funzionare. Il direttore del Tg1, che è vitale per il servizio pubblico, potrebbe anche dire ‘ma perché io devo guadagnare un terzo di quanto guadagnano altri, altrove?’, e andarsene a dirigere un giornale”.

 

Insomma, dice Anzaldi, che da qualche giorno è anche capo della comunicazione della mozione congressuale di Renzi, “questo tetto c’è dal precedente governo Renzi, quindi da anni, ed è stato applicato a tutti. Non capisco perché dello stupore adesso, visto che se c’è stato e c’è un problema di super stipendi, gli italiani lo hanno appreso anche dalle trasmissioni della Rai che hanno soffiato tantissimo su questa questione. Il tetto è stato applicato a tutti, adesso mancano solo gli artisti/giornalisti: Fazio, Vespa Giletti, e insomma tutti quelli contenuti nella lista dei super stipendi, non si possono lamentare. Tutto il paese è in sofferenza e in un mondo normale il taglio ai compensi sarebbe dovuto arrivare spontaneamente. Peraltro, si parla tanto di casta, ma ora come ora della casta si sa tutto: non c’è nessuno che ha una dichiarazione dei redditi così visibile – in maniera persino eccessiva – come la nostra. Le faccio l’esempio di una mia collega, il cui padre è stato ucciso dalla ‘ndrangheta. Lei dice: ‘Ma io, che abito in un piccolo centro, perché devo far sapere alla gente, attraverso la mia dichiarazione dei redditi, dove vivo, qual è la targa della mia macchina?’. La politica è stata riformata, tant’è che oggi abbiamo in politica super trasparenza e una classe dirigente più nuova”.

 

Ma Anzaldi condivide la richiesta di dimissioni di Antonio Campo Dall’Orto, amministratore delegato della Rai, che ha fatto Angelino Alfano? “Alfano arriva buon ultimo; prima di lui c’erano già stati Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, e il ministro Carlo Calenda. Io ero arrivato prima di tutti. Se in Rai ci fosse qualcuno che ragiona un minimo in termini politici, capirebbe che la dichiarazione di Alfano è da prendere seriamente. Non in quanto ministro – il governo non si deve neanche avvicinare alla Rai – ma in quanto segretario di partito. Un partito che in Senato ha un ruolo dirimente, essenziale. Peraltro, proprio in questi giorni in commissione di Vigilanza, dove i numeri sono più strani che al Senato, dovremo votare il rinnovo della concessione. E rischiamo di non avere i numeri”.

 

Un rinnovo, oltretutto, che avviene in maniera sufficientemente assurda, dice Anzaldi: “Stiamo per dare 2 miliardi di euro all’anno a un’azienda, per i prossimi 10 anni, senza uno straccio di piano editoriale. Addirittura non c’è neanche un responsabile del piano editoriale. Se un cittadino me lo chiedesse, io sarei in difficoltà a spiegarglielo. I vertici della Rai sono stati arroganti nei confronti di tutti; sono arrivati dopo un cda presieduto da Gubitosi, che avrà avuto dei lati aspri però ha lasciato i conti in ordine. Aveva fatto un piano di informazione coraggioso, sul modello di quello di successo applicato qualche anno prima al Giornale Radio, sul quale aveva ottenuto l’unanimità e che per eleganza aveva congelato, visto che scadeva dopo due mesi, per lasciarlo al successore. E’ ancora bloccato. Avrebbe fatto risparmiare 70 milioni l’anno. Quasi due anni dopo non c’è un responsabile, non c’è un piano e abbiamo quindi perso circa 120 milioni”.

 

Ad Anzaldi non è piaciuto l’attacco dei Cinque Stelle al Tg1 e la richiesta di dimissioni del direttore Mario Orfeo. Anche perché, dice il deputato renziano, l’azienda non ha fatto nulla per difendere un suo prodotto. “In questi giorni si è visto un attacco di una violenza, sguaiata e inaudita contro il direttore del Tg1. Il presidente della commissione di vigilanza, Roberto Fico ha usato termini gravi. E la Rai che ha fatto? Non è scesa in difesa di un suo giornalista e di un suo giornale. Eppure non s’è mai visto un sindaco con così tanto spazio a un meeting di quel livello. E’ stata pure fatta una forzatura per la Raggi che tornava da sciare, concedendole uno spazio ad hoc per il saluto di fronte ai Capi di Stato. E il M5s parla di censura. La verità è che il vero censurato è stato il Papa: gli è toccato un quarto dello schermo, mentre tre quarti erano per la Raggi”. Anzaldi ne ha anche per l’ufficio stampa della Rai, dove si applicano “due pesi e due misure. Sul mio profilo Facebook ho pubblicato la copertina del faccia a faccia di Minoli su La7 dedicato al caso Perego, dicendo che aveva ragione: il caso Perego e quello dell’intervista a Riina jr. a ‘Porta a porta’ mostrano un’azienda dove non si capisce di chi siano le responsabilità degli errori e come vengano puniti. Dopo un minuto è arrivato un comunicato stampa della Rai dicendo che non è vero. Ma sul caso Riina jr-Porta a Porta non c’è più da discutere, visto che la cosa è finita di fronte all’Agcom, dopo un mio esposto, e il Garante ha parlato di ‘censurabile unilateralità dell’intervista’ con un fermo richiamo scritto. Quindi o l’ufficio stampa è diretto da Vespa oppure, nonostante lo paghiamo profumatamente, non ha nessuno al timone”.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.