Mario Orfeo (foto LaPresse)

Mario Orfeo e i web-garzoni di Grillo, ovvero la libertà di non rispondere agli stalker

Salvatore Merlo

“La tecnica dell’intervista ‘agguato’ la inventò Santoro, poi arrivò Chiambretti ed era sorprendente. Ora è pura molestia”, dice Aldo Grasso

Roma. E non sono domande, non è il mestiere d’informare, non c’entrano le notizie, i commenti e le opinioni, anche le più faziose, non c’è nemmeno lo sberleffo, ma il tentativo di mettere in piedi una gogna, “l’espressione di una patologia italiana e di un naufragio”, dice allora Aldo Grasso, il critico televisivo d’Italia, lui che riconosce l’incitamento a molestare, lo spasmo bilioso dei garzoni del capo, i due dipendenti del gruppo parlamentare dei Cinque stelle al Senato che lunedì, imitando un copione stranoto della televisione urlata, si sono messi a inseguire con telecamera e microfono il direttore del Tg1. “Orfeo, rispondi! Perché hai censurato il discorso di Virginia Raggi? Perché non parli della Consip? Non rispondi, eh? Ti chiudi in macchina?”. Insomma qualcuno li manda, e quelli, i cortigiani del Re Blog, partono, postano su internet, vengono rilanciati dai deputati e senatori del M5s, che intanto invitano il popolo a lapidare il giornalista che non piace a Beppe, quello che di conseguenza va insultato e sbertucciato, che è sì un reato, ma anche una malattia. “Questo format dell’inseguimento e del microfono sbattuto tra i denti del malcapitato lo inventò Michele Santoro a ‘Samarcanda’”, dice Grasso, mentre ripercorre a ritroso un piano inclinato. Si comincia infatti con il punzecchiare, con il pungere, ma poi dall’ironia si passa al sarcasmo, all’ingiuria, all’assalto. “Chiambretti riprese questo stile, satireggiandolo nella sua trasmissione più bella, ‘Il Postino’.

 

Poi il genere fu rilanciato da ‘Striscia la Notizia’ e infine il format è via via degenerato, dalle Iene agli orridi programmi del pomeriggio televisivo, con la variante dell’intervista al citofono nei casi di cronaca (con domande del tipo: “Cosa ha provato in quel momento?”), fino alla sua definitiva trasformazione in stalking, adesso, ai tempi di internet, dei telefonini a disposizione di tutti, delle autoproduzioni web”. E tutti sanno, per esempio, che intorno a Montecitorio girano dei mattoidi, d’ogni età, che si avvicinano ai parlamentari, e li insultano, perché l’hanno visto alla televisione, perché è così che va e si fa, perché credono di essere tutti Gabibbi, dunque scambiano segnali d’imbarbarimento per veraci manifestazioni di libertà. “Tu le palle non ce le hai?”, urlò qualche tempo fa una donna con cappellino rosso al povero Pippo Civati, mentre guardava in camera, come un’inviata da talk-show. E infatti è “siamo due giornalisti” quello che dicono nel video anche Matteo Incerti, che si occupa dei comunicati stampa del M5s, e Nicola Virzì, detto Nick il Nero, il militante fedelissimo della Casaleggio Associati, mentre inseguono Orfeo. “Ma il giornalismo non c’entra più niente con questa roba, da molto tempo ormai”, dice Grasso.

 

“All’inizio degli anni Novanta, quando Santoro cominciò, era sorprendente. C’era la rottura di un codice paludato, impigliato in un eterno gioco di futilità introduttive e di cortesi temporeggiamenti. A quei tempi il potere era davvero ancora inaccessibile, e veniva per la prima volta mostrato anche nelle sue debolezze, nel balbettio dei politici che non sapevano cosa rispondere. Poi con Chiambretti divenne lo sberleffo surreale e divertente a un mondo ingessato. Ma da allora in poi tutto è diventato ripetitivo e violento, anche perché il potere nel frattempo ha cambiato faccia, è diventato esso stesso spettacolo, e oggi è persino troppo presente e prodigo di sé. Un tempo c’era Cuccia, che taceva. Ora cosa li insegui a fare se stanno sempre in tivù, e tutto avviene in diretta? Oggi non rispondere a queste molestie non è omertà. Al contrario, è purissima libertà d’espressione”. E infatti anche Orfeo non risponde. “Dovrebbero fare tutti come lui. Sempre”, dice Grasso. “Il suo è un silenzio eloquente opposto agli stalker che pensano di avere una missione: ‘Ti posso molestare in nome della trasparenza’. Un cortocircuito del pensiero. Non è più concepibile che uno non voglia rispondere. Una follia”. C’è invece una bellissima frase di Elias Canetti, che recita così: “La libertà della persona consiste per buona parte da una difesa dalle domande”. Ecco.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.