Com'è "1993 - la serie"? Sei personaggi in cerca di uno scopo
Nella necessità di spingere una storia enorme attraverso la cruna di un ago, i ritmi si fanno frenetici (e questo è un problema), le battute si accavallano, i momenti si fanno dimenticabili
A proposito di “1993 - la serie” in molti hanno scritto e detto che cos’è, quando è ambientata, che succede, chi sono i protagonisti, chi produce, chi scrive, chi dirige. Ma “com’è” nessuno (o quasi, ecco) l’ha detto. Il sequel di 1992 (in onda da stasera su Sky Atlantic HD) ancora non è chiaro come sia: se vale o meno la pena di guardarlo. Su questo, guarda un po’, critici di mezza Italia sono stati attentissimi nel non pronunciarsi.
Siamo il giorno dopo Mani Pulite, con Craxi che viene bombardato di monetine e Berlusconi (interpretato da Paolo Pierobon) che medita se scendere o meno in campo. Al suo fianco, sibilino, torna Leonardo Notte, pubblicitario bolognese, faccia e voce (e anche idea, secondo la leggenda) di Stefano Accorsi. Altrove, nel microcosmo milanese, si muovono altre forze.
Come ha già riassunto Piero Negri sulla Stampa, ci sono sei personaggi, Notte compreso, in cerca - non di autore ma - di uno scopo. C'è la bellissima Veronica, interpreta da Miriam Leone, arrivista e soubrette televisiva, intervistata da Marzullo (quello vero, notate bene) e da Maurizio Costanzo; c'è Luca Pastore, lo sbirro, il malaticcio, il vendicatore, il The Punisher de noantri, interpretato da Domenico Diele (riscoperto, leggendo i vari blog e i vari commenti online, sex symbol); c'è Bibi, ora imprenditrice di sé stessa e dell'azienda di famiglia, interpreta da Tea Falco; c'è Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), l'unico dei personaggi storici a far parte dei comprimari, e c'è Pietro Bosco, ovvero Guido Caprino, più Bossi che Salvini, più pancia che testa, ex-soldato, ex-compagno di Veronica, violento, urlatore e padano doc.
Foto Sky
Tutti questi personaggi e le loro storie sono intrecciati, uniti, richiamati continuamente. Sono loro i protagonisti. Non il ’93, non la politica italiana; non la Penisola scossa e sconvolta. La serie tv su un'epoca intera – più o meno è così che la stanno vendendo tutti - si contrae e si focalizza su sei spaccati della vita quotidiana, su sei carriere, sei storie, sei persone.
Da dieci puntate della scorsa stagione, siamo passati ad otto. Dal quadro generale, siamo passati al dettaglio nell’affresco, al dito che punta qualcosa, al sorriso che ammicca alla telecamera, alla sofferenza, alla disgrazia, all’arrivismo dell’essere umano. Per raccontare l’Italia, dopotutto, bisogna partire da loro, dagli italiani. E non c’è nemmeno bisogno degli esemplari migliori: bastano i più agguerriti e assatanati. Nella ricostruzione dei tre sceneggiatori, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, è questo quello che conta. Il resto – che è un resto che conosciamo tutti benissimo e che, ai fini della narrazione, è solo un ottimo sfondo – non importa.
Nella necessità di dimezzare i tempi e di spingere una storia enorme attraverso la cruna di un ago, i ritmi si fanno frenetici (e questo è un problema), le battute si accavallano, i momenti – i tanti, incredibili momenti – si fanno dimenticabili. C’è troppa carne al fuoco, troppa. E lo spettatore (chi si ricorda di lui, pover’anima?) rischia di perdersi passaggi, parole e dettagli. Sopravvivono – e resistono – la Leone e Accorsi. Impressiona il buon Pierobon, nelle vesti di un Cavaliere incattivito e milanese fino al midollo, con la testa al calcio, alla palla, un po’ alle donne, e alla televisione. “Mangiabambini”, “figli di Stalin!”, “comunisti”. Ma pure: “Un uomo con le palle”, “uomo che ne esce a testa alta”, “bisogna rispondere”. In un certo senso 1993 ricorda The Crown, il colossal di Netflix: qui non conta il Sistema o il Paese; qui contano loro, i protagonisti, i fautori – o i disfattori – del destino. Le prime due puntate corrono su questo confine, sottile e labile. E, come dicevamo più su, il rischio è che la troppa voglia di raccontare e l’intenzione di correggere il tiro portino al disorientamento dell’audience.
Se nella prima stagione si raccontava la Repubblica delle Banane (riguardate il pilot di 1992, ve lo consigliamo), qui si raccontano le Banane: chi le coltiva, chi le raccoglie; chi – Leonardo Notte in testa – le vende. Quindi, ecco: “Com’è 1993?”. Innanzitutto è piena, ogni frame contiene qualcosa, ogni dialogo prova a essere simpatico e indimenticabile (non riuscendoci sempre, però); ogni personaggio è unico, distinguibile, definito. I primi due episodi funzionano per metà: restituiscono chiaramente l’idea di quello che stiamo vedendo e di dove la storia è ambientata, ma faticano nel dare a ogni filone narrativo la propria dignità. Si spera, ma è quasi una certezza, che dalle prossime puntate la sceneggiatura tiri il freno a mano e si prenda più tempo.
Politicamente corretto e panettone