Buondì, malmostosi
La magica scommessa di soffocare in trenta passi l’odiosa bambina dello spot e i pagliacci che ci hanno tolto la risata
Il terzo episodio ci piacerebbe fosse così. La petulante bambina ha finalmente ottenuto il suo Buondì Motta e sta camminando, mentre prova a mangiarlo prima di aver fatto trenta passi: per vincere la scommessa. Ma al ventinovesimo muore soffocata. Come tutti gli oggetti iconici della nostra vita, post Andy Warhol natum, anche la simpatica merendina con la granella di zucchero ha le sue leggende metropolitane. La più bella è la scommessa dei trenta passi. La inventò, un numero imprecisato di anni fa, Beppe Signori, che un numero imprecisato di anni fa era un calciatore famoso nonché uno scommettitore fantasioso. “Non c’è proprio verso di riuscirci”, disse una volta ai compagni di squadra per rompere la noia dell’allenamento: mangiare un Buondì prima di aver fatto trenta passi. E metteva in palio un milione di vecchie lire, pare. Che nessuno è mai riuscito a vincere, pare. Sono reperibili resoconti di gente che ci ha provato, con più o meno impegno, ma ha regolarmente fallito. Seppure l’impresa, a prima vista, non appaia così disperata. Chi scrive può testimoniare di due amici che tentarono di mangiare, per 50 mila del vecchio conio, dieci krapfen di pasticceria della Val Badia, alla marmellata, senza bere e in meno di un’ora. Fallirono al limite della lavanda gastrica. Ma quelle erano goliardate da ragazzi.
La scommessa del Buondì spalanca orizzonti più profondi: è come l’intangibilità di un totem, di un simbolo del bene e del buono dell’Infanzia, con la maiuscola. Non può essere profanato né deriso. Perciò ci piacerebbe vederla morire soffocata, l’odiosa bambina, quella che strilla per una colazione che sia “leggera ma decisamente invitante che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità”. La madre annientata da un asteroide, ben le sta. Se non altro per averle insegnato a parlare così male. Nel secondo episodio, la stessa fine la fa anche il papà. E chissà che diranno all’Associazione cattolica dei telespettatori, già inorriditi dal “cattivo gusto dei pubblicitari nel raccontare un momento importante di relazione familiare come quello tra madre e figlia”.
Stiamo ovviamente parlando del meraviglioso, simpaticissimo e di meritato successo spot televisivo (e pianificato su ogni altro media digitale) realizzato da Saatchi & Saatchi, cui vanno doppi applausi. Perché hanno riconsacrato un’icona commerciale non proprio di primo forno, e desacralizzato con l’energia di un cartone animato gli iperglicemici sorrisi – ma totalmente incapaci di risata liberatoria – da famiglia della prima colazione. E ancor più siamo grati ai pubblicitari per aver smascherato – una volta di più, che è sempre utile – lo stupido malumore da codice etico di tutti quelli che hanno scatenato polemiche del seguente spessore intellettuale: “Mio figlio è rimasto colpito, non avete pensato a chi ha perso la madre da piccolo?”. Quando Maurizio Cattelan, che è meno creativo di un creativo di Saatchi & Saatchi, inventò il meteorite che schiantava un Papa Wojtyla di resina lo trovarono tutti dissacrante, ma soprattutto molto, molto ironico. In effetti lo era, almeno quanto la mamma che la pianta di scassare col suo decalogo delle calorie. Ma forse la verità è anche un’altra, in un paese in cui ogni giorno i comici occupano manu militari lo spazio della politica, e in cui certuni politici sono più ridicoli dei comici: quando vediamo qualcosa che fa davvero ridere, non ci riusciamo più. Niente, la comicità involontaria dei pupazzi involontari ha schiantato la nostra voglia di leggerezza e golosità. Si soffocassero prima di trenta passi.
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