Mindhunter sbarca su Netflix: la storia delle icone americane passa anche per i serial killer
La nuova serie tv è soprattutto un esperimento su cosa succede quando smetti di essere un perfettino e ignori le procedure perché sono obsolete, e vanno riscritte
L’agente Holden Ford è un perfettino. Si attiene alle regole e alle strategie psicologiche dell’FBI per negoziare coi sequestratori. Va in crisi quando uno di questi, un malato mentale che si crede invisibile, si fa saltare il cervello durante un tentativo di comunicarci. Holden comunque salva gli ostaggi, e viene trasferito all’insegnamento. A incrinare ulteriormente le sue fragili certezze arriverà Debbie, una studentessa di sociologia incontrata in un bar: non sorride, fuma erba e guida ubriaca, oltre a sfotterlo perché è vestito come suo padre ci flirta citando Durkheim sulla devianza: “suggerisce che se c’è qualcosa di sbagliato nella società, la criminalità ne è la diretta conseguenza», gli dice lei. “Forse una delle cose sbagliate della società è proprio la criminalità”, risponde lui. Holden si rende conto che rimorchiarla è complicato: “sei un tipo difficile e quell’abito mi ha sviato”. La necessità di decodificare i segni si fa improvvisamente più urgente.
Il mondo nel 1977 è più complesso e le conoscenze sempre più antiquate: dall’assassinio di J.F. Kennedy al Watergate la realtà sfugge. Persino i criminali uccidono coppiette sconosciute perché un cane ha detto loro di farlo, come "il figlio di Sam", David Berkowitz.
La storia delle icone americane passa anche per i serial killer. La setta di Charles Manson, il "Killer clown" John Wayne Gacy, Zodiac. Nel 1969 David Fincher ha 7 anni quando chiede al padre riguardo a “Zodiac", il quale risponde: “Bene. C’è un tizio che ha ucciso della gente e ha scritto una lettera in cui dice che sparerà alle ruote di un bus e farà tiro al segno con i bambini che usciranno vivi”. Fincher, che ha portato Zodiac al cinema nel 2007, oggi produce Mindhunter per Netflix, basato sull’omonimo libro John Douglas e Mark Olshaker (che ha già ispirato il silenzio degli innocenti) che sono i pionieri nella profilazione criminale. Come ci comportiamo quando il movente è incomprensibile?
L’agente Holden conoscerà l’agente Bill Tench, insegnante di scienze comportamentali, e insieme a un’accademica di Boston, Wendy Carr, formeranno l’unità speciale incaricata di studiare il comportamento dei serial killer per profilarli. La serie è a bassa intensità, cinquanta minuti percepiti come 100: Holden rumina per tre episodi prima di abbandonare il blocco note e prendersi un registratore, e servono almeno otto per spostarsi dalla definizione provvisoria “killer sequenziali” all’odierna e popolare “serial Killer” (inventata da John Douglas). Fincher un tempo faceva film e ora, come dice al Financial Times, fa “contenuti narrativi cronologici in streaming”, cioè se ne frega del ritmo e della struttura degli episodi.
Il merito dello showrunner Joe Penhall, che viene dalla drammaturgia, e di Fincher è di aver preso un classico procedurale e di averne fatto uno spettacolo da prestige tv (luci basse, gente che quando non cita Freud o Durkheim beve vino e dice parolacce). Mindhuner è un Criminal Minds per un pubblico più esigente. C’è un costante conflitto tra ecologia sociale e determinismo: sei così per colpa della società o ci sei nato? Possiamo fare qualcosa per curarlo o possiamo anticiparlo predicendo il suo comportamento criminale? (il sogno di ogni giustizialista).
Mindhunter è soprattutto un esperimento su cosa succede quando smetti di essere un perfettino e ignori le procedure perché sono obsolete, e vanno riscritte, scontrandoti contro i protocolli accademici o federali. Non aspettatevi però scene d’azione: invece di inseguire criminali discutono di come inseguirli. Nelle parole dell’Atlantic «è più interessante che avvincente». Intanto è già stata confermata la seconda stagione ancor prima del rilascio della pilota (marketing: con tutte le serie cancellate da Netflix passa la voglia di seguirle senza una certezza di rinnovo). Il pubblico apprezzerà la caratterizzazione dei personaggi o si annoierà sulla discussione della tassonomia? Edmund Kemper, serial killer citato nella serie, ha ammesso così impulsi omicidi: “Quando vedo una bella ragazza camminare per la strada, penso due cose: una parte di me vuole portarla a casa, essere gentile, trattarla bene; l’altra parte si chiede come starebbe la sua testa conficcata su un paletto”. Guardando Mindhunter una parte di voi vorrà continuare e una vorrà fermarsi. Siate buoni, seguite la prima.