L'abito di scena di Floris, Davigo style
Ricognizione al buio di un “DiMartedì” qualsiasi e della sua antipolitica
La televisione è quello strano elettrodomestico che si vede meglio al buio, e certe volte da spento. Al buio si scelgono i conduttori debuttanti, un salto nel buio sta facendo l’audience della Rai. Un martedì mattina, in redazione, è facile immaginarsi, al buio, quali saranno “gli abiti di scena” (copyright Sergio Mattarella) che indosserà la sera Giovanni Floris a “DiMartedì”, su La7. Dopo aver fatto indossare due settimane fa i panni del capopopolo, o del capo politico che per sdegno si rifiuta di essere tale, al dottore Piercamillo Davigo. E aver poi ritagliato su misura quelli del “giovane candidato premier” per Gigi Di Maio. Certo, la settimana è di bassa marea, manco un golpe in Catalogna o a Montecitorio. C’è la manovra, sai che palle, c’è il “colonnello” Kur(t)z in versione austriacante (“L’orrore, l’orrore”, copyright Marlon Brando) e il fondo di bottiglia del Rosatellum (Rosato c’è, urca!). Ci sono Massimo Giannini e la pedagogista dell’Università di Bologna Mariagrazia Contini, la nuova fata Morgana. Poi, vabbé, in extremis succede il casino Appendino, e arriva anche @Roberto_Fico.
Ma l’abito di scena di Floris, con la sua eterna aria di entusiasta scopritore di novità del mondo reale, lo si indovina al buio, in questo primo scorcio di stagione. Una certa insofferenza per la politica ce l’ha sempre avuta. Una vocazione all’altrui rottamazione, in chiave antipolitica. A inizio settembre, in un’intervista che valeva un’incoronazione con Aldo Cazzullo, aveva liquidato un’intera generazione (vedete voi quale) di politici: “Immaturità, superficialità, impreparazione, improvvisazione nell’affrontare i problemi. Rischiano di essere ricordati come approssimativi, sempre a caccia di scorciatoie. Alla ricerca della battuta brillante per ovviare alla mancanza di competenza”. Non che li voglia arrestare tutti, non è un sanguinario, Floris. A quello casomai ci penserà il suo ospite preferito, il maître à penser del salotto Floris, il giudice Davigo. La mania di cavare personaggi dal nulla e trasformarli (il sempiterno effetto della Legge di Marzullo) da ospiti fissi in possibili leader politici ce l’ha sempre avuta, anche quella. Il suo capolavoro sotto questo profilo l’aveva raggiunto con Renata Polverini, ospitata un paio di dozzine di volte ai tempi della non indimenticabile performance da governatrice del Lazio. Populista ma di destra, di destra ma populista.
Ma anche Davigo, diciamo, qualcosa gli deve, telegenicamente parlando. Lo scorso 4 ottobre è stata l’ospitata che ha fatto il botto, politicamente parlando. Il magistrato in abiti di scena lanciava brocardi del calibro: “L’imputato che non rifiuta la prescrizione è un imputato che deve vergognarsi”. Nell’aprile scorso, col concorso esterno di Marco Travaglio, l’ex presidente dell’Anm si era esibito con uno dei suoi cavalli di battaglia: politica e magistratura. A fine febbraio, Floris in persona l’aveva ascoltato, più che intervistato, su un altro dei suoi temi preferiti, l’autorevolezza della classe dirigente e i privilegi dei politici. E siccome a Floris fare il giudice popolare un po’ gli è sempre piaciuto, con Cazzullo gli era slittata la frizione della metafora, sull’autorevolezza dei politici: “Siamo già alla prova d’appello, all’ultimo grado di giudizio per una generazione che ha appena iniziato a guidare il paese. Sono giovanissimi; ma hanno dato spesso un’immagine non bella di sé”. Chissà se ha trovato più autorevole la gioventù del candidato Di Maio. O di Giancarlo Cancelleri, candidato presidente in Sicilia per il M5s, intervistato allo stesso giro, e chissà perché primo tra gli sfidanti.
Certo, non è nemmeno tutta colpa di Floris, gli abiti di scena glieli passa la ditta. E si sa che Urbano Cairo bada al sodo, televisivamente parlando, e concima con dedizione la sua nicchia (settimana scorsa Floris ha battuto la Bianca Berlinguer, 5,8 a 4,3 di share), andando a pescare nel pubblico che detesta i politici o di simpatie grilliste, già pasturato con altri programmi da diverse stagioni. Floris non è un capo partito come lo era Santoro, non ha il physique, e non vuole fare il consigliori di nessuno, non è Gad Lerner. Ma un progetto ideale in mente ce l’ha, perché inventarsi una piazza mediatica dove un magistrato d’assalto e i Cinque stelle hanno il proscenio se non fisso quasi, qualcosa vuole anche dire (il medium, anche al buio, è pur sempre il messaggio). Fortuna che, avendo perso Crozza, un antiveleno interno “DiMartedì” ce l’ha. C’è Gene Gnocchi, col suo surrealismo padano, che le canta a tutti, più ecumenico e meno dottrinario. Persino ai Cinque stelle. Il suo geniale Partito del Nulla (#ioscelgoilnulla) è la miglior caricatura del grillismo disponibile su piccolo schermo: “Il Nulla è sempre qualcosa di più di Roberta Lombardi”. Ma per questa volta, l’antiveleno Gnocchi non serve, ce n’è un altro. E siccome ce lo berremo tutti d’un fiato, per questa settimana la democrazia è salva: su Canale 5 c’era Manchester City-Napoli, la partita più bella dell’anno. Al prossimo “DiMartedì”, sperando in Davigo.
Politicamente corretto e panettone