La seconda stagione di Stranger Things era inutile. Ma per fortuna c'è
I primi otto episodi della serie Netflix erano perfetti. A tal punto da far nascere la domanda: ma un sequel sarà all'altezza? Da oggi si possono vedere i nuovi nove episodi
Stranger Things era un azzardo: provare a far capire che l'immaginario degli anni Ottanta era ancora attuale, o meglio, provare che l'immaginario attuale non era poi dissimile da quello degli anni Ottanta. Dentro le otto puntate della prima stagione c'era tutto un mondo che chi è nato negli anni Ottanta e ha fatto le prime esperienze nella decade successiva non poteva non capire, non poteva non sentire vicine. I Goonies, Et, Stand by me, X-Files, Winona Ryder in versione scongelata da Edward mani di forbice, fanno parte di quel lasso di tempo dove il cinema sembrava una continuazione della televisione e la televisione assumeva le veci domestiche dei grandi schermi. Matt e Ross Duffer, che Stranger Things l'hanno ideata e poi diretta, e che negli anni Ottanta ci sono nati e il loro immaginario se lo sono creato in questa epoca di mezzo al cambio di decennio, erano riusciti a rendere la serie una specie di compendio perfetto di tutto quello che avevano visto e introiettato, di tutto quello che avevano amato e idolatrato, a volte loro malgrado. Erano riusciti a creare un mondo perfetto che doveva vivere e scomparire in poco più di sei ore, fatto di gomitoli che si dipanavano per poi riarrotolarsi prendendo altre forme. Otto puntate, non una di più, affinché tutto si spiegasse e niente si capisse del tutto, perché la cinematografia a cui si riferivano era limitata, aveva cioè il limite della pellicola, il costo della ripresa, necessitava di un'ora e mezza poco più, il tempo giusto per trattenere le persone in una sala o sul divano. Otto puntate, non una di più.
I piani però si fanno e si rifanno, soprattutto se l'idea diventa un successo e se il successo è pazzesco. Per pubblico, ma soprattutto per capacità di stringere assieme i ricordi di una generazione di più o meno trentenni con il gusto di ragazzini cresciuti sulle serie tv, su YouTube e non su lungometraggi da un'ora e mezza e poco più. E così è arrivato un finale buono per lasciare più di qualche non detto, per far capire che un seguito ci sarebbe stato. Un finale che un poco stonava all'interno della narrazione della prima stagione, di cui non si sentiva l'esigenza, perché faceva sorgere una domanda: ma sarà all'altezza?
Quando si è alle prese con qualcosa di pressoché perfetto il rischio è che la risposta a questa domanda sia no, non lo sarà. Eppure quel finale, quei pochi minuti in cui Will (il bambino che scompare e si ritrova nel Sottosopra, il mondo parallelo ) vomita in bagno quella che sembra una sorta di lumaca, ritrovandosi per qualche istante nel "sottosopra", e Hopper (il capo della polizia) lascia nel bosco una scatola con il cibo di cui è ghiotta Undici (la ragazza misteriosa dotata di superpoteri), per molti è stato una benedizione, la certezza che un seguito ci sarebbe stato.
Perché quando si è alle prese con qualcosa di pressoché perfetto si sa a quale rischio si va incontro e lo si accetta, lo si sfida, si prova a superarlo in qualunque modo possibile. In questo caso si accede a Netflix e si guarda la seconda stagione. Perché se la risposta alla domanda è sì, il godimento è doppio.
Una seconda stagione di Stranger Things non era necessaria. Per fortuna c'è.
Politicamente corretto e panettone