Un'immagine di Dark, prima serie tedesca prodotta da Netflix

Siamo liberi o prigionieri nel tempo? Su Netflix c'è Dark che ce lo chiede

Piero Vietti

In un’epoca in cui certe domande vengono volutamente nascoste o cancellate, la prima serie tedesca della piattaforma streaming ha il merito di ributtarle in faccia a chi sta davanti allo schermo. Da vedere

La prima scena è un suicidio. E’ il 21 giugno del 2019, in una soffitta un uomo lascia una lettera appoggiata al suo piano di lavoro, sulla busta c’è scritto che non può essere aperta prima delle 22.13 del 4 novembre. Poi si impicca. Cosa succederà la sera del 4 novembre? E come può quell’uomo saperlo con tale precisione? Dark è la prima serie tedesca prodotta da Netflix, è disponibile da inizio dicembre in tutto il mondo e sta facendo discutere spettatori, filosofi e professori, in patria ma non solo. Impossibile da riassumere in poche righe senza correre il rischio di rivelare spoiler decisivi, Dark racconta le vicende intrecciate di quattro famiglie che vivono nella cittadina immaginaria di Winden, dove nel 1986 è stata costruita la prima centrale nucleare del paese.

 

Circondata da una fitta foresta, Winden è una città cupa, piovosa, dove tutti si conoscono da sempre. La trama di Dark si sviluppa su tre piani temporali diversi, il 1953, il 1986 e il 2019. Diversi ma uguali, in realtà, perché una delle filosofie di fondo di questa serie in dieci puntate è che “tutto è adesso”: non c’è passato, presente e futuro, tutto il tempo è collegato come in una enorme galleria scavata da un lombrico, un wormhole. Per dirla con le parole di Einstein con cui Dark inizia, “la distinzione tra presente, passato e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente”. Nulla di nuovo, certo: di viaggi nel tempo e paradossi temporali è piena la storia della letteratura e del cinema, e qualunque fan di Christopher Nolan sa che con spazio e tempo si possono raccontare storie complesse e bellissime.

 

 

La grandezza di Dark, per cui è impossibile non fare binge watching, guardare tutte le puntate consecutivamente senza pausa (meglio se in lingua originale con i sottotitoli), è che è scritta e girata come pochissimi prodotti attualmente sul mercato. Una storia in realtà abbastanza lineare diventa un’ossessione per lo spettatore (anche grazie alla potente e onnipresente colonna sonora) che non può fare a meno di continuare a guardare per capire dove lo porterà la trama. Non ci sono cattivi e buoni, ma personaggi “grigi” che sentiamo vivi, a cui ci affezioniamo anche se si rivelano gretti, o doppi. In un’epoca in cui certe domande vengono volutamente lasciate da parte, eluse, nascoste o cancellate, Dark ha il merito di ributtarle in faccia a chi sta davanti allo schermo. E’ giusto innamorarsi di una persona “sbagliata”? Qual è il significato della nostra vita, del tempo che usiamo? Chi sono io, soltanto il frutto dell’unione dei miei genitori? Le scelte che farò un domani possono paradossalmente condizionare chi sono io oggi? Siamo liberi nelle nostre scelte, o tutto è predeterminato? Usando la mia libertà decido io il mio destino o in realtà compio ciò che è già scritto, se non addirittura già successo? “Non mi interessa più viaggiare nel tempo – dice a un certo punto uno dei personaggi – mi interessa il qui e ora”.

 

Nella scrittura di questa serie c’è una profonda conoscenza religiosa e filosofica, molte scene hanno riferimenti più o meno diretti al cristianesimo, all’ermetismo, alla storia dell’Anticristo. Ma se il pregio degli autori di Dark è quello di aprire molte domande, forse il loro unico difetto è quello di non permettere sempre che siano queste a muovere la storia, che a volte sembra scorrere su binari lineari. Avercene, di serie come questa, che ci interroga con domande vere, lasciandoci con il fiato sospeso. In attesa, si spera, di respirare nella prossima stagione.

Di più su questi argomenti:
  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.