La sinistra, la tv, Renzi e Gentiloni. Parla Michele Santoro. "Il Cav. è come me"
Intervista a tutto campo al giornalista e produttore televisivo. “I talk e la politica seguono il senso comune: non mi piace e non voto. Temo chi verrà dopo, quando Grillo avrà fallito”
Roma. “Ancora ci parlo col mondo dei Cinque stelle, anche se in maniera critica”, dice Michele Santoro. “Ma ogni volta succede una cosa incredibile. Incivile. Vieni sommerso da centinaia di ‘vaffa’. Anche minacciosi. Personalmente me ne frego, figurati. Sono vecchio del mestiere. E ho le spalle larghe. Ma vedo attorno a me una specie di conformismo, da parte di giornalisti, scrittori, registi, musicisti… si spaventano. Prevale un principio di prudenza. Pensano ai loro dischi, ai loro libri, alle vendite… Un po’ dicono: ma chi me lo fa fare di criticare? Meglio stare zitti. Non voglio fare nomi, ma ne conosco a decine. E questo è un problema. Enorme. Se non discutiamo più, se non si può nemmeno criticare, siamo messi male. Davvero male”.
Il vicesindaco di Roma, Daniele Frongia, un paio di giorni fa ha twittato una foto di Santoro, presa nel corso della sua nuova trasmissione, che si chiama “M”. Un fotogramma tratto della puntata della settimana scorsa, che era intitolata “la banda degli onesti”, ed era dedicata a Virginia Raggi. “‘M’ come Munch”, ha scritto Frongia. Un urlo. Con minore fantasia decine di militanti del Movimento cinque stelle hanno scritto, invece: “M come merda”.
Dicono che Santoro ha sostituito Berlusconi con i grillini. Il Movimento cinque stelle è il tuo nemico? “Ma no. Ho parlato della Raggi, della sua esperienza amministrativa. E penso questo: penso semplicemente che in Italia c’è un problema di classe dirigente. E il problema non riguarda solo l’inadeguatezza della Raggi, che semmai un po’ corre il rischio dell’effetto Spelacchio, ovvero d’ingenerare simpatia, per manifesta incapacità. Il problema più grave secondo me è questo: che c’è di fronte alla Raggi? Dov’è il sindaco ombra? Dov’è l’alternativa? E poi c’è un’altra cosa che mi preoccupa del M5s. A Roma c’è un’emergenza rifiuti conclamata. E il sindaco appartiene a un partito che è capeggiato da Beppe Grillo, cioè dal guru del riciclo e dell’ambientalismo, uno che ha fatto spettacoli anche molto remunerativi su questo tema. Ti aspetteresti un impegno dei militanti sul territorio. Ti aspetteresti di vedere in giro per la città ‘le guardie rosse’ del grillismo, i ‘gruppi di sostegno di Savonarola’, insomma militanti impegnati a sensibilizzare i romani sul tema. Un impegno ventre a terra. Una rivoluzione culturale. E invece niente. E questo è preoccupante. Significa che il M5s non è in grado di mobilitare la sua gente. E’ un blog”. E’ tutto virtuale. “Vedi solo una città sempre un po’ più triste e un po’ più sporca. Con un sentimento diffuso di rassegnazione che pervade tutti”.
E questo può deprimere. Ma perché ti preoccupa? “Mi preoccupa quello che succederà quando le speranze che i Cinque stelle hanno alimentato saranno definitivamente deluse. Quando questo avverrà, poi che succede? Chi verrà dopo di loro? Oggi i sondaggi dicono che gli italiani vogliono l’uomo forte. Esprimono sfiducia nei confronti della democrazia. E mi preoccupa, tutt’intorno a questo disastro, l’assenza di alternative. Mi preoccupa il collasso della sinistra. Guarda Repubblica. Guarda Eugenio Scalfari che litiga con Carlo De Benedetti. In quel modo tremendo”.
C’è la fine della sinistra in quel litigio? “E’ un mondo che rovina su se stesso. Che si sfinisce a pesci in faccia. E’ la fine di Repubblica. E quello, tienine conto, è sempre stato anche il mio pubblico”. Ma De Benedetti e Scalfari, dice Santoro, i due grandi vecchi, “sono dei fondatori. Hanno scommesso, hanno comprato, hanno svalutato, hanno creato, hanno fatto e disfatto, hanno vissuto”. E insomma sono due monumenti. Ingombranti, come tutti i monumenti. Che litigano perché sono ancora vitali. “I più giovani lì sono i due vecchi”, dice Santoro. “Ma intorno cosa c’è? Nel giornalismo di sinistra? In quel mondo, e in quel giornale, che ha rappresentato tantissimo in questo paese? Regna un’idea di galleggiamento. E’ come se sopravvivere in queste circostanze di vuoto, in questa assenza di coraggio, di talento e di fantasia, sia diventato un elemento di professionalità. E’ tremendo”.
Mario Orfeo, Michele Santoro, Monica Maggioni, Stefano Coletta (LaPresse)
E torna Berlusconi, il tuo vecchio nemico. “Il Cavaliere è stato molto abile a fare un gioco per lui inusuale: aspettare che gli altri sbagliassero. Anche le sue interviste sono apparse molto ragionevoli. Da uno che ha la testa sulle spalle. Ha detto cose sagge. Anche se ora, piano piano, stanno venendo fuori i suoi limiti”. Che fai lo rivaluti? E’ una notizia. “Ma figuriamoci se lo rivaluto. Ovviamente no”.
Silvio Berlusconi ospite a "Servizio Pubblico" (LaPresse)
Però è in atto un fenomeno quasi revisionistico nei confronti di Berlusconi. Persino Bill Emmott, il direttore dell’Economist che disse “unfit to lead Italy”, adesso celebra il Cavaliere come l’unica speranza. L’unico sensato in un mondo di scombiccherati della politica. “C’è la ricerca del meno peggio. Una specie di gioco di società nel quale lui s’infila, perché è sempre bravo a fiutare l’aria. Ma è impensabile per chiunque, anche per lui, fare il capo politico a ottantatré anni”.
Però lo rimpiangi, da un certo punto di vista. “Penso che negli anni del berlusconismo imperante eravamo finalmente una società nella quale esistevano due grandi partiti a confronto. In una logica dell’alternanza. Il problema è che entrato in crisi Berlusconi questo magma non si è solidificato. L’opposizione non ha partorito un’idea di governo che ci portasse a diventare una democrazia compiuta. Così la crisi dell’opposizione, e la crisi di Berlusconi, ci hanno portato dove siamo”.
E dove siamo oggi? “Nel momento più basso forse mai raggiunto dalla classe dirigente. Tutti cercano le soluzioni nel senso comune. Un po’ come in tivù. La sinistra sa solo criticare Renzi. Renzi ha perso smalto. Berlusconi è come me, cioè una specie di vecchio saggio che si aggira sulla scena con l’aria di chi si chiede: ‘Che devo fare?’”.
E poi c’è il Movimento 5 stelle. “Grillo e Casaleggio hanno avuto una grande intuizione, hanno capito che il crollo di Berlusconi era anche il crollo di chi si opponeva a Berlusconi. E hanno capito che la battaglia politica si faceva più rapida. E andava combattuta in rete. Seguendo i dati emotivi dell’ultimo momento. La Casaleggio Associati è questo: è un termometro degli umori della rete. Non vedo come possa farsi governo. Ma è così”.
Michele Santoro (LaPresse)
Voterai? “Non saprei chi votare. Avrei sognato, dopo tanti discorsi sul valore di quelli che avevano votato ‘Sì’ al referendum, che ci fosse un tentativo di mettere insieme quel 40 per cento. Ma non c’è stato niente. Nessuna campagna d’ascolto. E adesso nessuno gioca per vincere, ma per ‘risistemarsi’ dopo le elezioni. Per cosa lottano adesso i partiti? Per fare un governo della Prima Repubblica. Ma senza Craxi, senza Moro, senza De Mita. Ci ritroviamo Di Maio , Salvini, e questo Renzi… l’ultimo Renzi. Non so se funziona”.
C’è Paolo Gentiloni. “Che è intelligente. Ma che farà? C’è bisogno di una riforma fiscale, di una riforma della giustizia e di una redistribuzione della ricchezza. Cose che non si possono fare con governi compositi. Non in questa situazione. Vedrete che alla fine arriverà chi saprà interpretare una novità vera. E c’è da capire se questa crisi non ci riporta molto indietro, agli anni in cui è nato il fascismo”.
Addirittura. Esageri. “Non vedo in nessun altro paese una crisi dei partiti così forte, come in Italia. Negli Stati Uniti c’è Trump, ma ci sono anche il Partito repubblicano e il Partito democratico con i quali deve fare i conti. Venerdì i repubblicani, in Parlamento, non gli hanno approvato il bilancio. E questo vale anche per l’Inghilterra, per la Germania dove malgrado le difficoltà il sistema ha ancora due grandi partiti cristiano-democratico e socialdemocratico. Nemmeno il caso della Francia è assimilabile all’Italia. Siamo in una situazione vissuta con beata incoscienza. E che presenta un secondo elemento inquietante: la crisi dell’industria culturale. Il cinema, l’informazione, l’editoria libraria…”.
Secondo l’Istat, sei italiani su dieci non hanno letto nemmeno un libro nel 2016. “E l’informazione televisiva è un disastro. Abbiamo circa quaranta trasmissioni che campano sugli ospiti. E non abbiamo ospiti interessanti. Fare trasmissioni che non abbiano l’aspetto di una tavola apparecchiata apposta per i politici è diventata una impresa impossibile. I compromessi da ingoiare per avere ospiti i leader che fanno più ascolto sono infiniti. Bisogna fornire in anticipo l’elenco delle domande, concordare l’orario di registrazione, la posizione in scaletta e fornire rassicurazioni sull’andamento della serata che non deve contenere sorprese e imprevisti”.
Anche prima c’erano “trattative”, pretese, scambi. Non sono nati oggi. “E’ vero. Ma il politico si doveva comunque sottoporre al rito previsto dalla trasmissione. Ora stabiliscono tutto loro. Scelgono il giornalista con cui confrontarsi, decidono l’orario, intervengono sugli ospiti, sui servizi… Immagina cosa succede q uando, per preparare una trasmissione, le redazioni parlano con l’addetto alla comunicazione del M5s, che stabilisce chi mandare in onda. L’ospite alla fine determina lo share. E se vuoi Di Maio o Di Battista devi sottostare a certe richieste. Lo stesso vale per D’Alema. Anche per Renzi. I contenitori sono soggetti a questo tipo di ricatto”.
Cosa ti piace in tivù? “Il gruppo di lavoro di ‘Gomorra’. Nell’informazione penso che ci siano cose interessanti dentro ‘Nemo’. Poi c’è Riccardo Iacona. C’è ‘Report’”. Le Iene? “Fanno sensazione. Io non so se andare a intervistare Giuliano Amato sui campi di tennis, e alludere a intrighi da circolo sportivo intorno a Mps, possa servire a far capire agli spettatori le ragioni del possibile suicidio di David Rossi”.
Non hai citato niente di La7. La7 è la tivù grillina? “Urbano Cairo grillino mi sembra troppo. E’ una esagerazione. Diciamo che La7 è certamente una televisione molto aperta al M5s, e anche agli oppositori di Renzi a sinistra. E questo però ha una motivazione. Il talk vive di opposizione, tolti Vespa e Fazio che sono istituzionali. Questo porta a enfatizzare più le cose che non funzionano, rispetto a quelle che vanno bene. Quindi, nella dinamica del presente, l’ascesa di Di Maio e il partito di Bersani sono materia su cui fare delle trasmissioni. Ed è naturale che finisci con i grillini”. Dei quali non si parla male, quasi mai. “Anche perché se lo fai non vengono più da te”.
2010, Michele Santoro e Bruno Vespa durante la manifestazione di protesta contro la decisione Rai di sospendere i programmi d'approfondimento politico (foto LaPresse)
Tu e Vespa siete ancora i più bravi. T’infastidisce se lo dico? “Penso che lui abbia vinto, e io ho perso. Anche i contenitori che erano nati con il mio format si sono culturalmente vespizzati”. Vespa non ha eredi. E nemmeno tu. “Oggi in tivù vedrai un film su Libero Grassi, dove si deve citare il mio ruolo. Dalle mie trasmissioni sono esplosi casi come la trattativa stato-mafia, De Magistris, il caso di Bella… Io mi chiedo: oggi da quali trasmissioni è venuto fuori un tema che ha condizionato il dibattito politico? E’ evidente che sia in crisi il ruolo dei mediatori culturali. Quelli che un tempo ti aiutavano a capire la realtà”.
La trattativa stato-mafia, giudiziariamente, è finita in nulla. Un flop. “La verità storica e quella giudiziaria possono anche non coincidere. Però credo sia stato un errore far diventare la trattativa un processo, in mancanza di prove solide”.
Napolitano, Scalfaro, Mancino, Berlusconi stragista… un processo alla storia d’Italia. “C’è stato il tentativo di costruire un quadro estremamente organico. La smania di arrivare in cima. E lavorando così, senza prove, può anche finire che non arresti Al Capone per evasione fiscale”. Un pasticcio. “Lo diceva anche Falcone che questo tipo di processi non si fanno. Sarebbe stato meglio cercare di acchiappare quelli che si potevano acchiappare. Anziché inseguire un’evanescente cupola politica. Di cose strane però ne sono successe in quella vicenda. A cominciare dalla mancata perquisizione del covo di Riina”.
La trattativa è stata il propellente per la fulminea, e piuttosto caduca, carriera politica di Antonio Ingroia. “Io mi pongo un altro problema: c’è forse qualcosa che non va nell’incapacità del nostro sistema giudiziario di arrivare a delle conclusioni”. C’è molto che non va. “Il ruolo della giustizia non è quello di stabilire una verità quasi religiosa. Ma di fare giustizia in tempi ragionevoli, all’interno dello stesso momento storico in cui i fatti a processo si sono compiuti. Affinché se ne possa trarre qualche vantaggio, anche sociale, da quel giudizio. Non diciott’anni dopo, quando non frega più a nessuno. Quando persino i protagonisti di quella vicenda non sono più sulla scena. O sono addirittura morti”.
E Santoro si descrive come un pendolo, sospeso tra pessimismo e fiducia. “Faccio i conti con la crisi della tivù generalista, con prodotti destinati a un pubblico sempre più limitato”, dice. “Ma percorro anche strade nuove. Quindi sono ottimista. Penso che scavando dentro sentieri nuovi si possano acchiappare anche gli spettatori che si sono abituati alla tivù frammentata, al flusso delle chiacchiere. Ma mancano i soggetti di mercato, gli editori che scommettono. Tutti si arrangiano”. Molti giornalisti cambiano mestiere, passano alla politica. “Se non riesci nelle professioni, passi alla politica. Come i magistrati che citavi prima. Abbandoni un segmento in crisi. E la politica diventa un riciclo di risorse”. Tu ti sei candidato una volta. “E basta più”.
Politicamente corretto e panettone