Perché Moltalbano è diventato il monoscopio sentimentale degli italiani
È il testimonial più credibile, più onesto ma senza tà-tà, più sexy ma senza #ZingarettiNudo, meno divisivo, più introspettivo, che abbiamo
La teoria del monoscopio è nota, e come quella della relatività ristretta rimane insostituibile fino a nuovo ordine. Che ci sia una quota di teleutenti appisolata davanti a Raiuno qualsiasi cosa accada è inevitabile, come il residuo fiscale. La finale di Sanremo ha fatto il 58,3 di share (12 milioni e 125 mila spettatori, pisolo più pisolo meno) ma è evidente che avrebbe fatto altrettanto perfino se al posto di Baglioni, Hunziker e Favino ci fosso stato il Trio Lescano. Oggettivamente diversa, scientificamente diversa e bisognosa di altre congetture ermeneutiche, è la questione del Commissario Montalbano. Il primo due episodi della nuova serie in onda su Raiuno, La Giostra degli Scambi, ha avuto il 45,1 di share (11 milioni e 386 mila spettatori). Per una serie televisiva che va in onda dal 1999 e con qualche interruzione (è una fiction d’autore, mica una banale serialità) è alla dodicesima stagione. È qualcosa che ha a che fare con la teoria del monoscopio molto meno che non Sanremo, che è innanzitutto un rito e un lavacro collettivo, come il Natale e il Ferragosto. O meglio: anche sì, ma diversamente.
Perché il monoscopio attorno a cui gira l’attenzione degli italiani è in questo caso il testone raso del Commissario, alias Luca Zingaretti, che come la luna governa le maree e strega gli occhi, soprattutto quando è di nuca o di tre quarti – le inquadrature preferite del regista Alberto Sironi, gran lombardo – e guata pensoso e intenso l’azzurro mare di Sicilia. E in quel momento, in quel momento unico ma che si ripete nella malìa di ogni episodio, diviene la coscienza nazionale, il sentimento accorato del vivere degli italiani. Attorno a questo monoscopio dell’anima gira ormai come a un oggetto totemico l’Italia. È il testimonial più credibile, più onesto ma senza tà-tà, più sexy ma senza #ZingarettiNudo, meno divisivo, più introspettivo, che abbiamo.
E poi basta. Del Commissario Montalbano s’è detto da quasi un ventennio tutto il dicibile, indagato tutto lo scibile televisivo e giallistico e sociologico. Già due anni fa s’era scritto su queste pagine un “Elenco delle cose notevoli e peraltro già note per le quali Il commissario Montalbano è un gran successo della televisione pubblica”. In dieci punti: dal non eccessivo status letterario del personaggio (la regola di Simenon con Maigret) alla sicilianità cartolinesca, dalla medietas linguistica alla vampa erotica. Non c’è molto da aggiungere. Se non, volendo, un punto 11.
Montalbano è fedelmente eppure liberamente tratto dai romanzi di Andrea Camilleri. Il vegliardo, chissà quanto liberamente, va avanti a sfornare romanzi e racconti. Un anno fa, in non frequente apparizione televisiva a #Cartabianca, aveva svelato, oppure celiato, il destino del Commissario Salvo. Disse di avere già scritto il finale della saga: “L’ho scritto undici anni fa perché mi era venuta un’idea su come far finire Montalbano, temendo l’Alzheimer ho preferito scriverlo subito”. Muore o non muore? “Non muore e non va in pensione”, ma avrà un’uscita di scena originale, e insomma “Montalbano non potrà comparire in nessun’altra forma”. Il perché è indicibile, ma intuibile. Montalbano è entrato nella dimensione cosmica dell’eternità narrativa, come Tex Willer. Può morire persino Luke Skywalker, ma non lui. È divenuto una parte immortale degli italiani. Come il monoscopio, ma girato meglio.
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