Addio a Bibi Ballandi, l'uomo che ha cambiato le serate degli italiani
Aveva iniziato come manager di diversi cantanti per poi inventarsi la formula del one man show che ha riformattato il varietà televisivo
Se non si temesse di passare per irriverenti, e non si vuole, per un uomo serio bravo e anche buono – e così lo ricordano tutti gli artisti con cui ha lavorato, a partire da Fiorello che lo considerava un padre e che ha sospeso per lutto il suo programma, “questa sera #ilrosariodellasera su @radiodeejay non andrà in onda. Neanche domani. BiBi Ballandi è volato in cielo” – verrebbe da dire dire che Bibi Ballandi, morto ieri a 71 anni, è stato per la televisione nazional-popolare quello che Mino Raiola è stato per il calcio professionistico. Intendiamoci, facendo mestieri diversi: il manager dei cantanti Ballandi lo fece a inizio carriera (“l’unico agente dal volto umano”, secondo Aldo Grasso) partendo dagli anni 60 da factotum con Al Bano e Orietta Berti fino ai 70 con Lucio Dalla e De Gregori. E molti altri che qualcosa gli devono, Vasco Rossi compreso.
Poi, era il 1983, si schiudeva il decennio d’oro della televisione multicanale e dall’evasione commerciale resa istituzione sociale, nacque la Ballandi Multimedia spa. E con lei il modo di concepire e produrre show canterino-televisivi cambiò per sempre, uscendo dalla culla, ormai fattasi bara, del varietà. “Stasera Casa Mika”, secondo molti lo show leggero più ambizioso e ben costruito delle ultime due stagioni Rai, è stata l’ultima perla di una lunga collana. In cui compaiono le “125 milioni di caz…te” di Celentano e “#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend” di Fiorello, “Tutti gli zeri del mondo” di Renato Zero e “Sogno e son desto” di Ranieri fino ai “Capitani coraggiosi” di Baglioni e Morandi. La formula del one man show che ha riformattato le prime serate è per buona parte materiale della sua bottega. Poi c’è l’altra filiera, quella dei “Ballando sotto le stelle” di Milly Carlucci – questa mattina sorpresa dalle lacrime in una diretta traditrice del mattino –, della trasformazione in un brand di Antonella Clerici, delle “Canzonissima” di Carlo Conti.
Una macchina produttiva, un format industriale infinitamente replicato ma adattabile a ciascun protagonista come un abito di sartoria. Il rapporto con gli artisti e con la committenza – la Rai, ma in anni più recenti era arrivata anche Sky, con produzioni di divulgazione culturale – basato su una fiducia e affabilità personali d’altri tempi. Perché Bibi Ballandi era un uomo d’altri tempi, cresciuto nella provincia di un’Italia di lavoro e balere sul ciglio del boom economico. Figlio di un tassista, che fiutata l’aria di un’epoca in cerca di divertimento s’era industriato ad autista tuttofare di Nilla Pizzi e di altri cantanti d’antan. Con un titolo di studio di scuola inferiore (ma per tutta la vita ripeté ai giovani aspiranti televisivi: studiate, andate all’estero, imparate almeno tre lingue), nella Roma papalina e del servizio pubblico Bibi Ballandi era soprannominato il Cardinale, era famoso per le foto dei Papi appese in studio. Democristiano ma senza sotterfugi era il suo modo di lavorare, un maestro di cerimonie accentratore ma mai tirannico, che aveva a cuore la promozione del suo prodotto e dei “suoi” artisti, ma teneva sempre davanti agli occhi il destinatario finale di una forma popolare ma non ruffiana di spettacolo: gli italiani.
Politicamente corretto e panettone