Esiste un amore che dura per sempre. Almeno in tv

Forever è una serie che si guarda come un film e ci spinge a riflettere sulle relazioni di coppia, su quello che manca ai protagonisti e su cosa è “abbastanza”

Gaia Montanaro

Questo è il racconto di una storia d’amore. Di un lui (Oscar) e di una lei (June), sposati da più di un decennio, che vivono nel sobborgo californiano di Riverside. Vita tranquilla, monotona, accoccolati in una rassicurante routine, i due si fanno compagnia nel trascorrere delle giornate, infarcite di riti quotidiani, di weekend a pescare e di cene tutte uguali. 

 

Normalità. È questa la parola guida di Forever, dramedy disponibile dal 14 settembre su Amazon Prime Video. Già dal primo episodio si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte a un racconto per certi versi anomalo. I primi dieci minuti della serie infatti sono occupati da un montage con sottofondo musicale (musica vera chicca di tutta la serie ndr) dove vediamo riassunti i dodici anni di matrimonio tra Oscar e June, da quando si sono conosciuti fino al presente, in un fluire continuo di gesti e sguardi come trovandoci in una sorta di eterno ritorno dell’uguale in chiave visiva. Poi sembra non succedere più niente per i successivi venti minuti a tal punto che ci si chiede dove si voglia andare a parare. Sensazione che permane fino al termine del primo episodio quando, con un vero colpo da maestro, arriva un twist che smuove tutta la narrazione, mettendola sotto una nuova luce.

 

Questo tipo di scrittura, molto caro anche a un certo tipo di cinema indipendente americano – e in generale alle serie tv non generaliste che quindi non hanno “bisogno” di tenere incollato lo spettatore per evitare che cambi canale - tradisce forti punti di contatto con un’altra serie – guarda caso scritta dallo stesso Alan Yang – ovvero Master of None (di cui Yang era co-creatore). La maestria sta nel settare un tono del racconto, un ritmo intrinseco che procede come per ondate, per poi inserire dei fatti più dirompenti come da contrappunto.

 

Forever in questo senso è una serie che si guarda come un film, dotata di una fortissima orizzontalità e da una compattezza di atmosfera che la rendono unica. Tutto si basa su due semplici cardini: la qualità della scrittura, che in certi episodi raggiunge picchi quasi virtuosistici – e la capacità attoriale dei due protagonisti assoluti, Maya Rudolph e Fred Armisen, entrambi reduci dal Saturday Night Live. In particolare la Rudolph si dimostra bravissima nell’interpretare una donna che si sente in trappola e che, dietro il suo sguardo vacuo fino all’inespressività, desidera qualcosa d’altro. Via via che si prosegue nella visione emergono però altri personaggi di contorno – anche per un solo episodio – che esplorano il tema portante della serie da differenti punti di vista e angolature, spingendo lo spettatore a riflettere, cosa non scontata per una comedy, in modo profondo e mai banale sulle relazioni di coppia. Grazie a loro siamo accompagnati a farci sempre più domande, a interrogarci sul senso di quell’amore, su quello che loro manca e su quello che si dimostra “abbastanza”. Gli episodi finali poi conducono in atmosfere sognanti, quasi oniriche, in cui diventa finalmente sempre più chiaro quale sia la matrice dell’amore che lega Oscar e Jane, il valore del loro “viaggio” insieme. E vissero tutti felici e contenti. Forever.

Di più su questi argomenti: