Tutti molto bravi, tutti molto piatti ai live di X Factor
La prima serata dei live è noiosa come la genesi post televisiva che l’ha preceduta, è Sanremo come sarebbe Sanremo se lo facessero in Belgio
Scriveva ieri il Corriere della Sera che “i concorrenti social” sono la terza ragione per guardare X Factor. Per chi frequenta poco il presente: da quest’anno, ciascun concorrente può usare Twitter e Instagram durante la trasmissione.
Per integrare tv e social network non ci vengono idee migliori del parassitismo di coppia, con lui mezzo morto in ciabatte che assorbe le energie di lei, e lei che a momenti prende fuoco per autocombustione. Scegliete voi se la parte di lui la faccia Twitter o Sky.
Intanto comincia la prima puntata del live e allora vai su Twitter. Su quello di X Factor, però, non su quello dei concorrenti, perché pensi che no, Corriere, non è vero che “sarà divertente vedere come i concorrenti gestiranno la botta di popolarità che la televisione inevitabilmente regala”. E scopri che il Twitter di X Factor è gestito dal mostro degli ormoni di Big Mouth, quello che istigava gli adolescenti a molestare chiunque e qualunque cosa, animata o meno che fosse, essendo per lui chiunque e qualunque cosa scintilla di eccitazione incontenibile. E allora torni senza troppa mestizia ai media tradizionali, come si dice nei talk show di Rai3.
La prima serata dei live è noiosa come la genesi post televisiva che l’ha preceduta, è Sanremo come sarebbe Sanremo se lo facessero in Belgio. I ragazzi sono tutti molto bravi ma molto piatti: Leo Gassman è l’esemplificazione perfetta del problema. Lo abbiamo già scritto, lo ripetiamo: levategli la tessera della palestra, fategli frequentare cattive compagnie. Vestirlo da Michael Bublè non basta, anzi peggiora le cose (naturalmente, il mostro degli Ormoni di Big Mouth durante l’esibizione del ragazzo ha quasi aizzato le adolescenti alla violenza sessuale, che è un bel gesto di remissione dei peccati per un programma che ha sbattuto fuori Asia Argento per aver concesso a un diciassettenne la grazia di 3 minuti di sesso scarso con lei).
La più brava è stata Martina Attili e ci costa una vita ammetterlo perché l’allure di adolescente problematica sullo psicopatico andante che ha avuto addosso durante le audizioni e i boot camp ci aveva annebbiato la vista, facendoci credere che più di lei fosse meritevole l’incantevole fanciulla piemontese che aveva cantato Dalla senza farcene sentire la mancanza. Agnelli, quindi, va non solo perdonato per averci portato via Camilla Musso, ma gli va anche riconosciuto di aver fatto la scelta giusta. Sarà un piacere guardare dal divano una ragazzina antipatica, furba, faina, bruttina, finta in tutto tranne che nel talento. Magari è la volta buona che un programma televisivo in prima serata osa dimostrare che un artista può e deve prescindere dall’empatia. Diciamolo con le parole di Manuel Agnelli, che ieri sembrava un diplomato al classico come erano i diplomati al classico negli anni Novanta, cioè convinti che in qualsiasi loro conversazione fosse importante dipanare il 90 per cento della propria erudizione: “Lei è un clash pazzesco tra come si presenta e come poi canta”. Diciamolo con le parole di Fedez: “Mi piace questo tuo bipolarismo tra bambola assassina e Alice nel paese delle meraviglie”. Quant’è bravo Fedez.
Lodo Guenzi, invece, le ha detto: “Sono pazzo di te”.
Secondo quella classifica del Corriere di cui sopra, il Guenzi è la prima ragione per guardare X Factor, essenzialmente perché ha sostituito Asia Argento. Saranno contenti quelli di Sky, che Asia l’hanno fatta fuori per “tutelare” i concorrenti e impedire che l’attenzione del pubblico si distraesse da loro e si concentrasse sugli scandali sessuali di un giudice: hanno ottenuto – com’era ovvio – che il catalizzatore dell’attenzione si spostasse sul sostituto di Asia Argento e comunque non ancora sui ragazzi. Tanto valeva tenere lei (lezione per la prossima volta).
Concentriamoci su Lodo. S’è presentato vestito da adolescente circuito da sua madre e infatti tutto quello che gli è uscito di bocca era evidentemente stato scritto, provato, recitato, collaudato a casa, in cameretta, con l’ausilio di qualche tutorial, un consulente settantacinquenne e i libri di Simon Reynolds (per bellezza, però: mica li ha aperti, quando mai si aprono i libri). Non ha funzionato niente, naturalmente, nemmeno una virgola. Non può mai funzionare quando sceneggi la tua parte con l’obiettivo preciso di sembrare una brava persona. Nè può essere credibile un giudice che non giudica ma promuove. Gli piace tutto oltre misura, per lui è tutto un capolavoro da applaudire, persino il pubblico di Floris è capace di essere più selettivo. Guenzi sa chi sostituisce e sa che in molti lo odiano per questo, quindi anziché fregarsene come farebbe uno dotato della personalità del frontman che è andato a Sanremo pensando di scandalizzare gli italiani con un verso che fa “nessuno che rompe i coglioni” e una ballerina ultraottantenne, cerca in tutti i modi di arruffianarsi il consenso fingendosi umile. Ogni volta che si riferisce ai suoi colleghi, li chiama “esimi” e si dice immeritevole di essere lì tra loro (che è la pura verità, solo che lui non lo pensa). Guenzi non ha mai guardato la televisione al pomeriggio, né s’è accorto del mondo, poiché cosa gl’importa del mondo: non ha notato che l’umiltà fa spettacolo solo in coppia con la disgrazia, sennò è protervia mascherata male.
L’idea peggiore Lodo l’ha avuta quando ha recitato male il temino sul punk, che ha confuso con il rock, del quale pure s’è fatto un’idea tutta personale, cioè irrimediabilmente sbagliata. E quando ti permetti di farti un’idea personale di qualcosa che è stata incisa prima che tu nascessi su dischi che non solo ti precedono ma ti sopravviveranno, la sceneggiata dell’umiltà non regge neppure se te la fai scrivere da uno bravo. Ai Red Bricks Foundation, quelli a cui solo Asia Argento sarebbe stata capace di tirar fuori qualcosa che non fosse lo scimmiottamento del 1975, quelli che solo lei ha reso sopportabili nonostante il cantante insopportabile, Guenzi affida l’inutile traduzione in heavy rock di un pezzo heavy pop, New Rules. Poiché Guenzi, com’è deducibile dalla sua musica (dai testi della sua musica), ritiene che il pubblico a casa sia duro e lento a capire, spiega anche di aver scelto, per loro che sono rock! - una cosa ritenuta ancora dirompente giusto nel salotto di Carlo Verdone - e che soprattutto, dice lui, hanno un’attitudine punk, un brano che “parla di regole nuove, perché solo chi rompe le regole ne può scrivere altre, di migliori”. Ora, a parte la breve lezione di filosofia del diritto, Guenzi o s’è scordato o non ha mai saputo che il punk le regole non le ha mai volute riformulare ma solo distruggere, tanto che il post punk nacque per rimettere insieme i cocci del “No future” dei Sex Pistols. Dopodiché, da degno rappresentante di una generazione che la rivoluzione se l’è sentita implorare da mamma e papà, vai a occupare scuola, tesoro, mamma ti porta i biscotti a mezzanotte, dai, completa la didascalia del “sono un ribelle, mamma, vai a letto, non stare ferma nella stanza”, informandoci che ascoltare i Bowland è per lui come “entrare in un buco nero, come quando limoni al liceo e cominci alla prima ora e finisci alla terza”. Questa deve avergliela suggerita un consulente anziano abbastanza da non ricordarsi più che i baci peggiori si danno a scuola, quando cioè finisci bocca a bocca con un ragazzino agitato che essendosi allenato a usare la lingua su uno specchio, ti sbava in faccia - e cosa dire di te, che hai l’apparecchio fisso coi salatini incastrati dentro.
Lodo non è l’unico a pensarci scemi: c’è anche Agnelli, che a proposito di didascalie, per spiegare la ragione per cui a Martina ha affidato un brano di un gruppo sconosciuto, tira in ballo Siouxsie e i Cocteau Twins, aggiungendo che “lo so che non li conoscete, sono un pipparolo”. Neanche avesse detto Luciano Cilio.
Agnelli, per cortesia, si plachi, si faccia un giro e non si preoccupi: Siouxsie la passano in radio più degli Afterhours.