Appello agli autori di X Factor: fate vincere Martina e finiamola qui
Anche ieri sera non è successo niente. E Lodo Guenzi è buono per fare la pubblicità di uno Swatch, non il giudice
Gentili autori di X Factor, buongiorno. Una modesta proposta da una sopravvissuta: fate vincere Martina Attili e finiamola qua. Basta con tutto questo televoto, questo processo, questa parità di opportunità: la democrazia è già in sedia a rotelle, vediamo di non sprecarla per peggiorare l’intrattenimento televisivo. Di cosa avete paura, di far schizzare il fascistometro di Michela Murgia? E che sarà mai.
Peraltro, alcune persone ieri sera per tenersi sveglie proprio al fascistometro hanno giocato (per chi non sapesse di cosa si tratta: un test de l’Espresso che calcola il vostro grado di fascismo interiore sulla base di quante frasi da bar, delle sessantacinque che vi vengono proposte, spuntate, cioè avallate). Alcune altre persone hanno persino formulato frasi aggiuntive. Capite a cosa avete ridotto il vostro pubblico? Fine della preghiera.
Cari lettori, cari tutti, poveri voi, poveri noi, anche ieri sera non è accaduto niente di niente. Per di più, le canzoni erano fiacche, Manuel Agnelli aveva la tracheite, Lodo era Lodo al suo peggio, su un altro canale c’era Pechino Express, in giro per l’Italia c’erano alcuni insospettabili individui riunitisi in preghiera per domandare scusa al Signore per quello che il mondo sta facendo a Kevin Spacey (oggi comincia la sesta e ultima stagione di House of Cards e lui non ci sarà per colpa del #metoo) e Giorgia Meloni andava dicendo in giro che il 25 aprile e il 2 giugno sono date “divisive”, quindi sarebbe meglio abolirle. Tutti a divertirsi tranne noialtri forzati dell’X-Factor.
A giocare in favore della democrazia, va detto, gli italiani da casa hanno televotato per mandare in ballottaggio i Red Bricks Foundation, quelli con il cantante convinto d’essere Iggy Pop (la deformazione onirica capita anche ai migliori, quanti talentuosi Napoleone abbiamo mandato in Russia?). Grazie, italiani: è bello vedere che v’affannate per ottenere la remissione dei peccati (il 4 marzo, il 4 dicembre, gli ultimi 15 vincitori di Sanremo, eccetera). A facilitare l’espulsione di costoro, ci hanno pensato il cantante, come al solito e più del solito, urlando sempre e urlando tutto (ma dove siamo, ragazzo, al Vaffa Day, in sala parto, in un ristorante romano? Vuoi svegliare tutto il palazzo?) e Lodo Guenzi.
Direte: ma come, non erano nella sua squadra? Sì, lo erano. Non l’ha mica fatto apposta, Guenzi, a raccomandarli con una supercazzola prematurata che avrebbe fatto spedire a casa, per antipatia riflessa, pure i Beatles. Ha detto: “Votateli perché restano attaccati al loro principio di divertimento per poter fare il cazzo che gli pare!”. Cos’è un “principio di divertimento”, Guenzi, scusi? Ha a che fare con la termodinamica o con la giurisprudenza?
Ora, cari italiani, vedete cosa accade quando fate quasi vincere Sanremo a un ragazzino perché vi canta un pezzo con dentro una parolaccia (la canzone era “Una vita in vacanza”, l’ardito verso era “nessuno che rompe i coglioni”) e tanto basta, per voi, per considerarlo coraggioso? Succede che quello poi diventa giudice di X Factor e se la fa sotto e tiene la coda tra le gambe tutto il tempo perché gli hanno raccomandato di restare umile e però, poi, quando deve mettere un po’ di spirito, un po’ di sale, dice che 4 ragazzini meritano di passare il turno perché “fanno il cazzo che gli pare” (abbiamo notizia di centinaia di direttori di Conservatorio che da questa mattina firmano circolari per dire ai propri studenti: ehi, fate il cazzo che vi pare, solamente così diventerete grandi musicisti e grandissimi artisti). Mara Maionchi (finalmente) reagisce male (finalmente) e gli fa notare che avrebbe potuto risparmiarselo, allora lui sfoggia la sua migliore espressione da orsacchiotto Trudi e dice: “Io mi sento di difendere il loro principio di divertimento”. Maionchi lo deride con un “esimio” e fa capire ai pochi italiani che ancora non l’avevano capito che Guenzi è buono per fare la pubblicità di uno Swatch, non il giudice X Factor.
Altro? Certamente. Ai Seveso Casino Palace, Guenzi affida un mash up disastroso che li fa sembrare una band di cinquantenni ubriachi a una festa di Halloween. E pensare che, quando ancora c’era Asia (che avrebbe fatto meraviglie, tanto con i Seveso, quanto con gli stornellatori del V-Day di cui sopra), in una puntata degli audition, tutti e tre i giudici avevano spiegato le ragioni per cui un modo sicuro per ammazzare una performance musicale è fare un mash up (che però ai noi spettatori ignoranti piace sempre, ci fa sempre dire: “geniale!”, e infatti facciamo un altro mestiere). Guenzi, va bene non studiare Simon Reynolds, ma almeno lo storico del programma che le dà il pane vuole conoscerlo, almeno a grandi linee? E diamine.
Grande momento televisivo con Naomi - che è bravissima, però un po’ freddina, ed è molto Callas e pure un po’ Tina Pica - della quale viene trasmesso un fuori onda in cui apre un pacco speditole da sua madre e ci trova dentro una parmigiana (autori, per carità divina, se dovete scopiazzare Amici, almeno attingete dal serale). La canzone più bella della puntata la canta lei ed è “Never Enough”. No, un momento, aspettate: la canzone migliore l’ha scelta Agnelli per Martina Attili che canta “Sober” di Lovato e ci fa venire voglia di andare a San Lorenzo (Roma) ad abbracciare adolescenti inguaiati. Commento di Guenzi (ad Attili): “La cosa che mi manda giù di testa di te è che prima mandi giù un teatro e poi hai questa vocina”. Sì, Guenzi, quello che lei reputa schizofrenia (e la ragazza, furbona, chiama “cherofobia”) è professionalità.
Leo Gassmann è sempre bellissimo, ma la tessera della palestra ancora non gliel’hanno levata e quindi niente, di graffiare non graffia. Canta “Next to me” degli Imagine Dragons e l’intento di tutti di renderlo il Leonardo DiCaprio del 1997 è fin troppo chiaro. Qualcuno lo salvi. Al ragazzo serve uno Scorsese che gli faccia fare qualcosa da lupo di Wall Street.
P.S. Una sola delle centinaia di frasi che potete trovare all’hashtag dedicato al ragazzo, se indirizzata una donna, avrebbe convinto fior di giudici a istruire processi per stupro preterintenzionale a carico di un’intera generazione. Giudici del popolo, naturalmente. E tribunali di Twitter, altrettanto naturalmente.
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