L'eccezione dell'Ispettore Coliandro
Di film e telefilm su poliziotti è piena la storia del cinema e della tv. Poi c’è Coliandro. Va in onda su Rai2 la settima serie della saga creata da Carlo Lucarelli e diretta dai Manetti bros. Parla Antonio Manetti
Non è noir o giallo, né pulp né d’azione e nemmeno comico, un po’ poliziesco e un po’ poliziottesco. E’ un bel calderone dove tutto trova il suo spazio, senza prevalere sul resto, una sorta di pop art cine-televisiva, un ready-made su schermo. E’ qualcosa che se per caso ti è piaciuto l’ispettore Nico Giraldi, i telefilm degli anni Ottanta, i film d’azione e il cosiddetto cinema di serie B si trasforma nel meglio che puoi trovare, una vera libidine, qualcosa da vedere per forza. Perché dentro L’Ispettore Coliandro (che mercoledì 14 novembre su Rai2 inizierà la settimana stagione) c’è tutto l’immaginario filmico e televisivo che ha appassionato quelle generazioni che si sono susseguite dagli anni Settanta ai Novanta.
Un mescolarsi sincero, non cercato, forse nemmeno voluto, una “cosa fatta col cuore. Siamo nati e cresciuti con un cinema che aveva una dimensione pop molto forte”, dice al Foglio Antonio Manetti dei Manetti bros., “abbiamo vissuto nell’epoca delle tv private che mandavano a ripetizione film poliziotteschi, commedie sexy, horror, western e tutti i cosiddetti b-movie italiani. Andavamo ai cinema di seconda visione quelli che ora non ci sono più. E poi c’erano i telefilm americani, Starsky & Hutch, Serpico, oltre ai cartoni animati giapponesi. Ne abbiamo visti tantissimi e forse molto di questo è rimasto, siamo figli dell’immaginario di quell’epoca. Non lo ricerchiamo, non siamo nemmeno coscienti di questo, non ci mettiamo a tavolino con l’intento di citarlo, ci viene naturale”.
Di film e telefilm sulla polizia è piena la storia del cinema e della televisione. Di poliziotti in pellicola ce ne sono stati e ce ne sono tanti, qualcuno brillante, qualcuno geniale, qualcuno corrotto, qualcuno buono e qualcuno cattivo. Poi c’è Coliandro, che è un po’ tutti questi ispettori e detective e nessuno di questi, che vive in un universo filmico ritmato come un videoclip degli anni Novanta, che è un insieme di luoghi comuni che tutti noi portiamo dentro ma di cui ci vergogniamo. Coliandro è Carlo Lucarelli alla scrittura e i Manetti bros alla regia. E questo basta per capire perché per una piccola, ma nemmeno troppo, fetta di pubblico è diventato un appuntamento imperdibile.
E non c’è iperbole, imperdibile lo è per davvero. Almeno per quella folla di seguaci che non solo solo “dei fan, ma degli ultras!”, ha detto il protagonista Giampaolo Morelli a TV Sorrisi e Canzoni, che si sono incavolati e non poco quando la Rai aveva, nel 2010, interrotto la serie.
Giampaolo Morelli con i Manetti bros. (foto tratta dalla pagina Facebook dell'Ispettore Coliandro)
E sì che l’Ispettore Coliandro poteva non arrivare nemmeno in televisione. I primi quattro episodi erano stati girati nel 2004, per due anni era rimasto in uno scantinato perché per gergo e per temi trattati non era cosa da mammarai, poteva urtare il comune sentire del pubblico e delle forze dell’ordine. L’ispettore Coliandro è infatti quello che un “minchia” val bene per ogni situazione, che una donna più che carina è “scopabile”, che se sei cinese sei un polloconlemandorle, se sei pachistano sei comunque India, oppure Calcutta, e immigrato vuol dire possibile criminale a prescindere. E’ quello che è sbirro più sbirro degli altri, che usa il distintivo come fosse uno sfollagente, che è quasi un luogo comune, un pregiudizio continuo. Lo mandarono in palinsesto nel 2006 in seconda serata. Fu un successo sopra ogni aspettativa. Uno sfigato che non diventa eroe, ma che riesce sempre in qualche modo a barcamenarsi. La Rai finanziò altre due stagioni, salvo poi bloccare tutto il 22 dicembre del 2009 per “esigenze di bilancio”. Doveva essere l’addio definitivo, fu l’inizio di un mailbombing mai visto, di proteste e minacce alla rete da parte dei fan. Sei anni di stop e sei anni di fan che chiedevano nuovi episodi. Nel 2015 la decisione che Coliandro sarebbe tornato. Sei nuove puntate mandate in onda nel 2016, altre sei nel 2017. La consacrazione.
L’Ispettore Coliandro riprese da dove era finito, allo stesso modo di prima. Perché possono cambiare i personaggi, i volti e il copione, ma ogni puntata di Coliandro si sa già come andrà a finire e cosa succederà: l’ispettore ficcherà il naso dove non deve, si metterà nei casini, si innamorerà di una donna ovviamente bellissima, verrà scaricato e tutto andrà a finire più o meno bene, con un buon numero di cattivi morti e con l’immancabile incazzatura dei superiori. E’ questo il bello: serialità totale, personaggi che non mutano, che sono sempre gli stessi, un ritorno indietro a quando le serie tv si chiamavano telefilm. O meglio, “segue la costruzione classica dei film alla James Bond”, dice Manetti. E in un’epoca piena di serie che si accorciano per allungarsi, che affettano in puntate e stagioni storie intricate e dagli esiti per niente scontati, la saga dei Manetti bros. fa ritornare gli spettatori al piccolo mondo antico della tv di una volta: “E’ una storia verticale, una serie classica, come i vecchi telefilm”. Eppure ogni volta è qualcosa di diverso, una novità continua: “Ogni puntata è un genere a sé. Certo c’è Coliandro, che è sempre lui, con i suoi difetti e le sue particolarità, c’è sempre una donna e un cattivo. Quello che cambia è il modo di narrare la storia, di metterla in scena. Quando ha davanti un supercattivo alla James Bond Coliandro sembra essere all’interno di un film di 007, quando ha a che fare con un serial killer sembra quasi muoversi in un film di Dario Argento”. Nessuna puntata è girata come un’altra, tutto cambia, tutto muta al mutare dei casini nei quali Coliandro si caccia. Al mutare del personaggio che l'ispettore prova a imitare: "Il personaggio di Coliandro è un appassionato di cinema, è legato a un immaginario americano, è convinto di essere, o meglio vorrebbe essere, un Callaghan o un Serpico".
Carlo Lucarelli e l'ispettore Coliandro
Cambia rimanendo lo stesso. “La scelta è di Carlo Lucarelli, è lui che ha inventato il personaggio e che continua a scrivere le sceneggiature. Ci tiene che ogni puntata sia una storia sola, che si apre e si chiude proprio come fosse un romanzo o un fumetto di Topolino o Tex Willer. E noi siamo stati fortunati in questo. Abbiamo trovato lo scrittore perfetto per noi. La serie di Coliandro è capitata per caso, c’è stata offerta, ma quando abbiamo letto la sceneggiatura abbiamo capito che era fatta apposta per noi, anche se per molti versi è diversa dal cinema che siamo soliti fare”.
L’Ispettore Coliandro è uno strano caso di sottocultura di successo, qualcosa che non si capisce perché abbia generato tanto seguito. E’ pop, ma raffinato. E’ politicamente scorretto, ma non in modo prevenuto. E’ ben girato ma più che al cinema colto strizza l’occhio a quello di Bruce Willis. Si nutre di luoghi comuni, ma non è esemplificazione di faciloneria intellettuale, unisce in modo trasversale giovani e meno giovani, ground e underground, punk e rap, pop e indy, e tutto questo lo fa spiattellando in faccia a tutti gli spettatori ciò che gli spettatori odiano di loro stessi, quello che non sono disposti a riconoscere.
E’ la seconda faccia di Lucarelli, quella che non siamo soliti vedere, quella meno pubblica. Racconta Manetti che “Carlo Lucarelli ha due parti: da un lato è una persona molto seria che studia e analizza i fatti di cronaca e storici di cui tratta nelle sue trasmissioni, dall’altro è anche un appassionato dei libri e dei film di azione, di genere, è uno che ama la cinematografia pop e comica. Ha voluto con Coliandro divertirsi e mettere in scena questa sua passione”.
E’ l’altro Lucarelli scrittore quello che si diverte a creare una realtà dove tutto è un po’ gonfiato o sgonfiato, esagerato o ridotto, estremizzato o reso macchietta. Dove non c’è sorpresa e il colpo di scena è chiamato a gran voce e proprio per questo perfetto. E’ la botta di fortuna che tutti vorremmo, il nostro sogno migliore.
Politicamente corretto e panettone