Il Ristorante degli Chef fuori tempo massimo
Dopo sette anni dalla prima edizione di MasterChef, la Rai scopre i talent culinari. Con un format trovato in Argentina
Sette anni. Tanto ci è voluto perché la Rai percepisse l’esistenza del fenomeno MasterChef, scegliendo, deliberatamente, di farsi contagiare da una frenesia moribonda. I tempi da febbre del fornello sono ormai passati, e MasterChef è invecchiato, vittima di se stesso e di un meccanismo ripetitivo, lento. Gli ascolti sono calati, gli chef hanno smesso di fare notizia e la parabola della cucina formato tv ha finito per assumere una curva infelice. Cosa, questa, che però non è bastata a scoraggiare viale Mazzini.
La Rai, che negli anni non ha partecipato alla marcia dei cuochi, rifiutando di mandare in onda succedanei di MasterChef, ha cambiato rotta. Stasera, martedì 20 novembre, alle 21.20, su Rai2e andrà in onda Il Ristorante degli Chef, uno show a metà strada tra le due glorie cuciniere di Sky: Hell’s Kitchen e MasterChef. Il format, semi-originale, prevede, infatti, che la gara si disputi in parte all’interno di uno studio televisivo, in parte all’interno di un ristorante. Dieci cuochi, gente semplice per la quale la cucina è passione, non professione, sono chiamati a sfidarsi in studio. Poi, nel ristorante, dove la liturgia di MasterChef, i banconi, la dispensa ricchissima, la prova, l’assaggio e la scelta di uno o più migliori, cederà il passo alla liturgia di Hell’s Kitchen. E i concorrenti, giudicati da Andrea Berton, Philippe Léveillé e Isabella Potì, potranno misurarsi con le difficoltà di una vita in brigata.
“Mi sono chiesto a lungo se potesse avere un senso, per noi, entrare nel campo dei talent culinari. E, infine, mi sono risposto di sì”, ha detto Andrea Fabiano, direttore di RaiDue. E ha ricondotto la genesi de Il Ristorante degli Chef a tre ragioni principali: il prodotto, ha detto, “ha una capacità di linguaggio ed una estetica perfettamente in linea con l’identità della rete”, di cui sposa anche la missione strategica, ossia “accogliere e stimolare l’interesse di un pubblico più giovane e attivo”. Inoltre, “consente a Rai Pubblicità di cogliere opportunità di comunicazione diverse da quelle tradizionali”. In soldoni, permette di riempire la prima serata del martedì con il cosiddetto product placement, trasformando lo show in un “programma finanziariamente virtuoso” e “innovativo”. Ma dell’innovazione, vagheggiata in conferenza stampa, non sembra esserci alcun corrispettivo reale.
Il Ristorante degli Chef è costruito come tutti i talent culinari. Ha dei giudici, stellati e telegenici, e accenna la solita retorica di “creazione” e volontà di essere “stupiti”. Promette di “concretizzare il sogno dei concorrenti”, mettendo in palio la possibilità di formarsi all’interno dell’Alma, scuola internazionale di cucina italiana. Prevede le gare, gli impiattamenti “da ristorante”, i pianti e i cedimenti di chi, con il grembiule stretto in vita, capisce di non poterci stare. Chiede disciplina. Peccato, però, che lo faccia con un ritardo considerevole.
MasterChef, show che per primo ha idealizzato la cucina, rendendola patinata e appetibile, è arrivato in Italia nel 2011. Hell’s Kitchen, tre anni più tardi. Nel mezzo, è sorto Bake Off. E di innovativo, nell’ambito della cucina formato televisivo, è rimasto ben poco. Fabiano ha cercato di spiegare che Il Ristorante degli Chef sarebbe l’unico talent culinario della televisione generalista.
La Rai è in ritardo e Il Ristorante degli Chef (tratto per giunta da un format nato in Argentina per essere la versione senza diritti, e con ciò economica, di MasterChef) non ha nulla che possa colmarne il gap. Quasi, sarebbe più interessante lasciare la gara e ascoltare i giudici. Andrea Berton, due stelle Michelin e un passato internazionale. Isabella Potì, piccolo genio della pasticceria. Philippe Léveillé, che, un giorno, chiamato dal Vaticano perché cucinasse per Benedetto XVI, ha pensato fosse uno scherzo. “Ho un amico che si diverte a prendermi in giro. Mi hanno risposto, con pazienza, di osservare il prefisso”, ha raccontato. “Al termine della giornata, il Santo Padre è venuto in cucina. Nessuno avrebbe dovuto toccarlo, ma io, inchinandomi, gli ho stretto la mano. 'Siamo vestiti allo stesso modo – mi ha detto – e abbiamo lo stesso capo'”.