La ragazza dei miracoli
Non ha paura di essere felice, è affamata di idee e sogni. Camilla Musso, l’adolescente dell’anno che verrà
A vent’anni si è stupidi davvero. E prima? Dipende da quale pre ventenne si sceglie di guardare, perché mai come prima d’ora le generazioni, per chi crede che esistano (e un po’ esistono, visto che un po’ esiste il tempo, almeno come condizionamento) sono complesse e variegate e imprendibili, così brevi e veloci che appena cominci a rintracciarle sono finite. Se cercate “La sera dei miracoli” su YouTube, il primo risultato che viene fuori è Lucio Dalla che la canta. Il secondo è Camilla Musso, sedici anni, che la canta a “X Factor”. Sette milioni e passa di visualizzazioni. Chi ha visto quell’esibizione sa quant’era stata potente e toccante. Incredibile. Piansero quasi tutti. Gli italiani da casa, Asia Argento che le disse: “Hai mille anime dentro”, Mara Maionchi che le disse: “Hai cantato una canzone da grandi e lo hai fatto in modo ineccepibile”. Pianse anche qualche hashtag. Possiamo arrogarci il diritto di scegliere quella esibizione come il manifesto di una generazione? No, naturalmente. Però, visto che sui giornali si deve anche avere il coraggio di essere arbitrari, possiamo almeno decidere che quell’esibizione fa di Camilla Musso l’adolescente dell’anno che verrà. E dobbiamo tenerla presente, Camilla, ogni volta che ci arriva un allarme Istat, un’analisi sociologica cupa, una rilevazione triste sui giovani, un articolo Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera.
A Lucio Dalla come ci è arrivata una sedicenne del 2019? Come ha fatto, lei, a cantare “La sera dei miracoli”, per tentare di qualificarsi a “X Factor”, circondata da ragazzini e ragazzini abili con il rap e la trap e l’hip hop? Lei che non era mai stata a Roma (è astigiana, e su questo giornali avevamo scherzato e ci eravamo chiesti se i suoi genitori non fossero leghisti della vecchia guardia), ma ha cantato e capito alla perfezione la canzone sull’euforia romana, su una festa senza santi e ragioni, una festa per fare festa, che Dalla incrociò per caso, come talvolta capita ancora, girovagando per la città, e gli fece scrivere “questa sera vola, le sue vele sulle case sono mille lenzuola”. Lei che non era mai stata in un vicolo romano eppure aveva cantato come se ci avesse vissuto, intuendo e rendendo alla perfezione l’universalità dei cani che parlano tra di loro, e della luna che sta per cadere. E’ stato un caso, è stato l’algoritmo di YouTube o di Spotify, sono stati mamma e papà? “Il cantautorato italiano l’ho ascoltato in casa. Il resto della musica che seguo mi viene consigliato dalle persone con cui interagisco. Per me è molto importante quello che ascoltano gli altri, non manco mai di chiedere, quando conosco qualcuno, di consigliarmi un disco, o un artista”, dice al Foglio. Niente algoritmo, signori. Badabum.
“Chi ha visto la sua esibizione a “X Factor” sa quant’era stata potente e toccante. Piansero quasi tutti. Il manifesto di una generazione
Qualche giorno fa il Tg1 s’è domandato, con grande preoccupazione, se gli adolescenti siano tutti cherofobici, perché “Cherofobia” di Martina Attili (sedici anni, anche lei ex concorrente dell’ultimo “X Factor”) ha 20 milioni di visualizzazioni su YouTube. La cherofobia è un disturbo che in pochi conoscevamo prima della canzone, tant’è che la parola è stata tra le più ricercate su Google nel 2018. Non conoscevamo il termine, forse, ma il disturbo sì, eccome. Chi ne soffre ha paura di essere felice e, più precisamente, fa in modo da evitare di esserlo perché ha paura che la felicità passi, e venga sostituita dalla tristezza, e lasci un rammarico insopportabile e inguaribile fino alla felicità successiva, ammesso che arrivi. Si tratta di una forma d’ansia, unita a una sfiducia cronica nel cambiamento, nella forza, nella resilienza e in tutte quelle cose che noi adulti abbiamo trasformato in esercizi da palestra e ricette per migliorarci la vita convincendoci che migliorarla sia sempre alla nostra portata e dipenda interamente dalla nostra volontà e dal nostro impegno.
Chissà che la cherofobia non sia (anche) una reazione a tutto questo complesso di cose, un modo con cui gli adolescenti ci dicono: l’avete fatta troppo difficile, troppo artificiale, preferiamo il lato oscuro. Felicita Pistilli del Tg1 è andata a piazza del Popolo, a Roma, e ha intervistato qualche adolescente (il servizio è stato intitolato “Il nostro viaggio tra i giovani”). Tutti conoscevano la canzone, nessuno ha detto di temere la felicità, qualcuno ha però spiegato che è la perdita (di chi li ama, di chi li fa star bene, dello stato di benessere) a spaventarli un po’. “Io ho paura di perdere le idee, crescendo”, dice Camilla Musso al Foglio. Le idee su come esprimersi al meglio, su come “riuscire a dire tutto quello che ho da dire, che è tantissimo, e che ho il terrore di non essere capace di esprimere e far comprendere completamente. Sono utile se riesco a farmi capire da chi mi ascolta”.
“Non manco mai di chiedere, quando conosco qualcuno, di consigliarmi un disco, o un artista”, dice al Foglio. Niente algoritmo
Una canzone non fa generazione, ma gli adulti puntualmente se ne convincono e così, per via di “Cherofobia”, gli adolescenti italiani sono diventati ai loro occhi dei depressi in via precauzionale, anche un po’ squilibrati. Martina Attili, che è molto intelligente e molto furba, s’è presentata sul palco di “X Factor” in modo che venisse considerata sì un’adolescente sui generis, estrosa e pure un po’ controversa, ma soprattutto la voce di un lato nascosto, seppellito, quindi del lato più importante, dei ragazzi prima dei vent’anni. Nella sua icona, che ha perfezionato e confezionato con cura, puntata dopo puntata, c’erano il talento, la problematicità, l’inafferrabilità, l’inquietudine, una strana forma di allegria un po’ schizoide, la visionarietà, la precocità. Moltissime cose, tutte parecchio complesse. Il suo successo è stato così immediato e vorace che ci siamo domandati se davvero la sua canzone e lei, che è tutta la sua arte, e che coincide con la sua espressione in modo tanto accurato e preciso (studiato, com’è giusto che sia per un artista), non rappresentassero una voce unica e completa, un ritratto esaustivo dei giovani (scusate la parola).
Per cantare “La sera dei miracoli”, Camilla era salita sul palco con addosso una maglietta da pomeriggio in biblioteca, pure un po’ scolorita, un paio di pantaloni altrettanto insignificanti, da tutti i giorni, ma tutti avevamo notato i suoi capelli, per metà grigi e per metà neri, una testolina perfettamente divisa in due – “così chi mi guarda sa subito che può prendermi da due punti di vista diversi”, aveva detto prima della performance. Aveva cantato la canzone con una voce stupenda, toccante, però acerba, che in un paio di punti le si era persino strozzata in gola, e con l’intonazione imperfetta (Manuel Agnelli non aveva mancato di farglielo notare). E delle moltissime cose che si possono dire, favoleggiando un po’, di quella esibizione tutta interpretazione e zero tecnica, la più importante è che Camilla era felice. Non sembrava: era. “La sera dei miracoli”, d’altronde, la canti se sei felice, o se lo sei stato almeno una volta e quindi sai cosa significhi esserlo.
“La felicità è capire come stare bene nonostante quello che ci succede intorno”. Di cherofobia neanche l’ombra
“Ho avuto molte difficoltà con la felicità ma ho capito che è una cosa che costruisci. La maggior parte delle persone che conosco non si sentono felici, io lo capisco e mi ci ritrovo, ma mi sono messa a lavorare per sentirmici e per esserlo. La felicità è capire come stare bene nonostante quello che ci succede intorno”, dice al Foglio. Di cherofobia neanche l’ombra, dopotutto i ragazzi di piazza del Popolo a Felicita Pistilli hanno suggerito una cosa precisa: “Cherofobia è solo una canzone”. E anche “Ricchi per sempre” di Sfera Ebbasta è solo una canzone, però è importante che Alessandro D’Avenia non ometta che il ritornello, oltre a “Saremo ricchi per sempre, sì ricchi per sempre”, dice anche “O forse no, vabbè fa niente, scrivo una canzone sì quella è per sempre”. E’ solo una canzone anche “La sera dei miracoli”. O forse no, si vabbè fa niente, però è per sempre, e nonostante sia “una canzone da grandi”, l’ha cantata una ragazzina che con Dalla non condivide niente, però ha sedici anni, gli stessi che “compiva quel giorno la mia mamma, le strofe di taverna le cantò a ninna nanna e stringendomi al petto che sapeva sapeva di mare, giocava a far la donna con il bimbo da fasciare” (e se non avete riconosciuto la canzone siete molto infelici e ci dispiace).
Camilla non è durata molto a “X Factor”. Manuel Agnelli, a un certo punto, aveva dovuto scegliere tra lei e Martina Attili ed essendo diventato un uomo molto didascalico (succede a quelli che vanno alle feste dei grandi quotidiani e spiegano all’uditorio come si dovrebbe fare la rivoluzione) aveva scelto Attili. “La mia paura è di distorcere la tua visione della musica, che è molto dritta”, le aveva detto. E lei gli aveva sorriso, con addosso un’altra delle sue tenute da casa, pantaloni camouflage e camicetta da soldato Jane ed era filata via. Gli italiani da casa non avevano reagito bene, e l’avevano subissata di messaggi motivazionali, di conforto, di sprone, d’amore, di grande amore. E lei, che Facebook lo usa poco e malvolentieri, prima aveva risposto a uno a uno e poi s’era decisa a fermare quella pioggia di crocerossini con un lungo status nel quale spiegava di stare benissimo e che per lei non era finito niente ma iniziato tutto e che il suo obiettivo non era mai stato vincere “X Factor“ ma fare in modo che la gente sapesse di lei. Saluti, grazie, baci, abbracci enormi. Era il 20 ottobre scorso. La cosa di cui meno crediamo capaci i ragazzini è quella di cui, invece, sono più capaci: reagire. Da allora, sulla sua pagina, ha condiviso altri cinque post, praticamente niente.
Sul suo profilo Instagram ci sono tre fotografie, anche piuttosto scialbe. Sembrano scatti degli anni Novanta, quando le foto non ci venivano mai né troppo belle né troppo naturali e il fotografato era sempre un po’ goffo e imbarazzato. Non ci sono filtri, né hashtag nelle didascalie. Follower: 29,9 mila. Seguiti: zero. Martina Attili, che è agli antipodi di Camilla per tante cose, ha condiviso su Instagram, dalla data del suo primo post (era l’estate del 2017), meno di 40 fotografie. L’eredità di Chiara Ferragni non è stata raccolta? Dipende sempre dal ragazzino che si sceglie di guardare.
Viene fuori che “i giovani” non sono apolitici, né inerti, né pappemolli, né tutto quello che siamo noi, che li decifriamo su YouTube
“Non lo faccio per snobismo, né perché sono particolarmente gelosa della mia privacy, ma ci tengo a selezionare molto bene quello che condivido con gli altri sui social network e a organizzare bene quello che dico. Però ci sono giorni in cui non guardo affatto il telefono, perché cerco di godermi la vita vera, e altri giorni che trascorro interamente a rispondere a chi mi scrive e in quei giorni mi sento molto sotto pressione”, ci dice. Anche i giorni in cui s’informa sono selezionati: “Mi rendo conto che è stupido, ma quando sto troppo male preferisco non leggere le notizie. Non vorrei scoprire qualcosa che mi ferirebbe ancora di più”. Quindi leggi i giornali?! “Dal telefono, sì. Lo preferisco perché ho modo di approfondire meglio, cercare più velocemente le cose che non conosco o non capisco bene”. Come va con la politica? “Mi interessa, ma m’interesserebbe di più se la capissi meglio e spesso non ci riesco, perché le informazioni da incamerare sono troppe e il mio cervello non regge quel ritmo. Allora lascio stare”.
Cari politici, che gran fortuna avete a governare un paese dove esistono sedicenni che quando non vi capiscono non pensano che la colpa sia vostra e delle vostre inestricabili supercazzole: pensano che sia colpa loro, e di tutto quello che non sanno e devono ancora imparare a conoscere. Cari politici, vi meritate tanta fiducia e tanto senso della responsabilità? Ci meritiamo questi ragazzi con un’idea dritta della musica e anche della politica, e del mondo, e del futuro, e di loro stessi? “La sindrome di Aspeger mi fa vedere le cose in bianco o in nero”, ha detto Greta Thundberg , sedici anni, svedese, ai giornalisti che l’hanno intervistata quando è andata in Parlamento, con addosso un impermeabile giallo, per chiedere al governo del suo paese di ridurre le emissioni di gas serra.
E s’è seduta, rimanendo dritta, come la visione della musica di Camilla, che il bianco e il nero se li è messi in testa, per dimostrare che è una dalle idee nette, ma pure che non c’è idea netta e precisa di cui non sia disposta a considerare il rovescio, la contropartita: non c’è idea che non sia pronta a rivedere e contraddire, a guardare dal bianco, se è nera, e viceversa. Un piccolo controllo a campione e voilà: viene fuori che i giovani non sono né cherofobici, né apolitici, né inerti, né pappemolli, né tutto quello che siamo noialtri, che li decifriamo dal numero di visualizzazioni di un clippino su YouTube.
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