Sanremo è confusione

L’epoca dei bis è finita. Per tornare a essere un evento, il Festival deve cambiare volto

Stefania Carini

Sanremo. Il Festival specchio del paese? No: Sanremo è confusione. E non “perché ti amo”. Bensì perché testo e contesto, sala stampa e artisti, testa e pancia, realtà e finzione paiono andare ognuno per la propria strada. C’è nervosismo. Il Festival attira da sempre gli umori positivi e negativi del paese. Eppure quest’anno il frullatore pare non fermarsi mai, forse va così un po’ per tutto. Non è facile fare questo Festival, non è facile scrivere di questo Festival. “Sarà di destra o di sinistra” è diventato “Sarà sovranista o non sovranista?”. Nell’anno in cui, complice il film, tutti si son ricordati dei Queen in riviera, nessun grande ospite straniero. Sovranismo! Realtà: in un’epoca in cui i dischi si vendono sempre meno e la promozione si fa in ben altri modi, certi artisti vengono solo a pagamento. E la Rai i soldi non li ha. Sarà comunque un Festival che sottolineerà la nostra identità culturale, spiega la nuova direttrice di RaiUno Teresa De Santis. Un Festival della canzone italiana da sempre è legato alla nostra identità, mi pare. Moriremo di didascalismo. “E il conflitto di interessi di Baglioni?”.

   

Striscia la notizia lo accusa di aver favorito alcuni cantanti rispetto ad altri. De Santis replica: “La nostra industria non è così strutturata e per certi versi deve far tesoro di certe contiguità. Per come sono state gestite molte importanti manifestazioni, come il Live Aid, è molto frequente che siano le filiere amicali degli artisti a stare alla base dell’organizzazione”. Un discorso così semplice! Ma non possiamo rinnegare il complottismo di questi anni, così mi confondete. “E cosa farete coi migranti?”. Monologo di Bisio nella prima serata: “Passerotto non andare via è un invito ai migranti a restare, è stato lui a fargli venire l’idea. E l’ha detto trent’anni fa. È lui che li ha sobillati, loro non ci pensavano nemmeno stavano belli lì paciarotti, con il pentolone, a cantare Hakuna Matata”. E ancora: “Trent’anni dopo ha scritto una canzone intitolata ‘Tutti qui’. Capite? E mentre quelli arrivavano poi fa ‘Io me ne andrei…’. Beh allora sei furbetto!”.

  

      

Oggi i testi, non solo quelli delle canzonette, vengono sottoposti a continue torsioni interpretative. Da un lato si ha paura a dire qualsiasi cosa, dall’altro ci si permette di dire di tutto. Che confusione! E infatti anche Bisio pare confuso, non sicuro del pezzo, timoroso del pubblico, tanto che sul finale spiega: era solo un gioco per superare le polemiche. Ci tocca pure lo spiegone, e le polemiche persistono. Luca Morisi accusa Bisio di essere razzista per via del “pentolone”. Basta estrapolare, e il gioco è fatto. Perfino la battuta “Salutiamo i Casamonica” della Raffaele diventa imperdonabile. Moriremo tutti zitti? O tutti bercianti solo e solamente stupidate e cattiverie? Conviene smarcarsi.

  

Nella prima serata Baglioni pare volersi smarcare da Baglioni, cantando poco le sue canzoni, e da direttore del Festival, procedendo quasi svogliato come se fosse stanco di tutto. Bisio e Raffaele non hanno un chiaro ruolo, e non c’è l’armonia evocata da Baglioni. Ma l’armonia è facile se il tempo è prevedibile, qui frulla.

  

“E gli ascolti?”. A parte le fiction di RaiUno e gli show della De Filippi, nelle scorse settimane gli ascolti del prime time hanno riservato talvolta amare sorprese. C’è così tanta offerta oggi che le stories su Instagram dei vari vip, influencer e persino dei vicini di casa possono sembrare più interessanti di uno show televisivo. Sanremo resta comunque un evento capace di generare attenzione e ascolti (e quest’anno pure nelle preziose fasce più giovani). Sul palco di sicuro qualcosa è mancato, gli ascolti della prima serata ne hanno risentito, ma era quasi fisiologico. Nei media tutto va così veloce che ogni secondo esige una novità, figurarsi ogni anno. Forse l’epoca dei bis è finita. Per essere evento con tanto di effetto sorpresa, Sanremo deve cambiare volto sempre. Mostrarsi nuovo almeno nell’apparenza. Il camaleonte del cambiamento. Per confondersi e confondere.

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