Da Baudo a Hunziker, se a Sanremo gli ospiti sono migliori dei padroni di casa
Michelle ha fatto, in meno di dieci minuti, quello che a Virginia Raffaele non riesce di fare da due sere di fila. Pippo ha dimostrato che la sua presenza all’Ariston è ancora opportuna e necessaria
La trasparenza. Principio cardine del grillismo, entrato poi nel paniere valoriale del governo tutto intero. All’esecutivo stenta ancora a dare frutti, ma lasciateli lavorare, caspiterina, vedrete ora col reddito di cittadinanza, vedrete come trasparirà il nero. A Sanremo, che del governo è la sala ricevimenti, sta già funzionando. Non ci si tiene niente, via le fruste regole d’etichetta, ipocrisia, contenimento della verità. Non un fiore di circostanza viene sprecato, a parte che per qualche mazzo alle donne o ai rimbambiti. Non un retroscena viene celato: “Potevano continuare a dire problema tecnico, invece di spiegare che la situazione aveva a che vedere con i cessi”, ha detto Patty Pravo dopo che Baglioni s’è sentito di spiegare che il ritardo della di lei esibizione, la prima sera, è stato causato da un’irrefrenabile minzione del pianista. A Mollica, al Tg1, Loredana Bertè ha confessato il suo rimedio naturale contro l’ansia che le provoca il palco dell’Ariston: “Penso di essere al Gay Village e passa tutto”.
Élite. Le brighi contro per tutta la tua vita da giovane, finché un giorno ti svegli e qualcuno ti dice “Sei tu l’élite”, come ha raccontato ieri sera Bisio nel suo monologo d’apertura. “M’hanno detto di parlare con le élite, io ho detto non c’ho voglia e allora m’hanno detto ma come, sei tu l’élite. Io? Ma io non sono laureato, non distinguo neanche la forchetta del pesce” (come Leonardo DiCaprio in Titanic! Solo che lui poi è affogato). Claudio the Second ha così firmato la reazione della casta all’odio anti-casta. Ha letto alcuni tweet insultanti (e pure i nomi e cognomi degli autori, che godimento), scritti come al solito in sottoitaliano, s’è arrabbiato per essersi preso dell’interista (è milanista) e ha consigliato di rileggere sempre prima di inviare, dicendoci la sola cosa che c’è da dire sugli odiatori: non sanno cosa odiano, non sanno niente di niente.
Senza. Paola Turci è di nuovo senza reggiseno. Nessuno, in Europa, non indossa il reggiseno alla perfezione come lei. Forse solo Chiara Ferragni in quel post su Instagram con cui ha risposto a chi le dice che adesso che è mamma deve darsi un contegno. Mille e lode a Paola. Mille like a Chiara.
Senza brividi. Tre ore di spettacolo e non un picco emozionale. Cocciante ha fatto Margherita quando l’Italia che non ha paura era già a letto. “Senza farlo apposta”, hanno cantato i giovani Carta e Shade, ed è facile inneggiare all’irresponsabilità quando o non hai un cognome o te ne scegli uno tremendo - il futuro sarà popolato da persone con nomi e cognome d’arte orribili, forse Nigiotti, l’autore del prossimo inno di Pontida, ha avuto ragione a cantare che questo mondo dove tutti parlano l’inglese anziché il livornese fa schifo. Senza di noi guardate come si sta meglio: da Baudo a Hunkizer, gli ospiti hanno presentato e movimentato il palco meglio dei padroni di casa, a esser complottisti si potrebbe pensare che trasformare l’Ariston nel red carpet di tutti quelli che ci stanno sopra meglio di Bisio e Raffaele sia stata un’altra elegante mossa d’auto-sabotaggio di Baglioni.
Michelle. Ma belle, sont des mots qui vont très bien ensemble. Hunkizer ha fatto, in meno di dieci minuti, quello che a Virginia Raffaele non riesce di fare da due sere di fila e che ormai è evidente che non farà. Ha ballato, cantato, recitato, presentato, si è divertita, ci ha divertiti, è ringiovanita, ci ha ringiovaniti, ha evitato di avere un accento. Michelle ma dove sei stata, perché te ne sei andata, perché ci hai abbandonati con questa qua che ci tratta tutti come dei rincoglioniti bisognosi di poltrona Frau reclinabile.
Abbracci. Pippo Baudo è salito due volte sul palco. La prima per convincerci, come se ce ne fosse bisogno, che la sua presenza all’Ariston è ancora opportuna e necessaria; la seconda per dimostrarlo. “Mi chiedono come mai ho ancora voglia di apparire, ma come si fa a rinunciare a questo abbraccio?”, ha detto mentre il pubblico batteva tutto il battibile per acclamarlo. Fiorella Mannoia ha abbracciato Baglioni mentre rivisitava “Quello che le donne non dicono”, la canzone per merito della quale noi ragazze percepiamo il reddito di compassione, pure se non lo vogliamo.
Ha aggiustato il verso “Ti diremo ancora un altro sì”, effettivamente obsoleto ora che il #Metoo ha riscritto le regola del consenso, e ci ha aggiunto un “Forse, non è mica detto che diciamo sempre sì”. Applausi scroscianti da tutte noi. Non molto dopo, Baglioni ha duettato con Raffaele, che si strofinava sul pianoforte come Julia Roberts in Pretty Woman finché Claudio delle città e dell’immensità non si è alzato e, cantando, non l’ha fatta ballare, guardandola come Javier Bardem guarda Scarlet Johansson in Vicky Cristina Barcellona. E noi a casa abbiamo capito che a Baglioni diremo sempre di sì, ancora un altro sì. Sì per sempre. Troviamoci un Baglioni da amare. Uno gentile. Uno che sembra quasi fesso da quant’è gentile. Uno che ha scritto alcune delle più belle canzoni italiane di sempre ma quando dirige il Festival della musica italiana evita di cantarle, e duetta su quelle degli altri, persino quando gli altri sono Marco Mengoni. Poi dite che in questo paese non lasciamo spazio ai giovani, santo cielo: ieri sera al posto di Amore bello ci è stata rifilata L’essenziale – i complottisti, sempre loro, pensano che Baglioni ha voluto così dimostrarci che essere giovani non basta per essere migliori degli anziani.
Cambia il vento ma noi no. Governanti, avete preso appunti? Questo verso Mannoia non l’ha riadattato mica: l’ha cantato uguale uguale. Secondo voi perché?
Evviva #Sanremo... pic.twitter.com/1FCzfqIWn2
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 6 febbraio 2019
Terroni. Comandano, è chiaro. Salvini si è fatto il selfie abbracciato alla tv mentre erano in scena Pio e Amedeo, i Zuzzurro e Gaspare (se, magari) di Foggia. Un attimo prima che, proprio del Capitano, sottolineassero il razzismo trasformista. “Prima ci odiava, mo’ ci vuole bene”. Michele Riondino, che viene da Taranto, è salito sul palco con addosso una camicia turchese. Così ora la tipica tenuta da invitato a ricevimento meridionale (battesimo, comunione, laurea breve, matrimonio, sesto anno di vita, sesto mese di gravidanza, San Rocco) ha superato le colonne di Eboli.
Politicamente corretto e panettone