Mahmood e Achille Lauro. Questo Sanremo è stato la rivincita degli educati
Ultimo, invece di lagnarsi a casa sua, l’ha fatto su Instagram
Ci scuserete se abusiamo ancora una volta di Sanremo per distanziare popolo ed élite, dare segnali sociopolitici, raccontare il paese dei nostri sogni anziché quello reale. Ma quando è buona la prima, sapete com’è. Achille Lauro e Mahmood fanno il primo la trap e il rock (post rock, post punk, post trap, è tutto un post, un “in verità siamo outsider in tutto”) e il secondo il rap. Sono bravi, preparati, assennati (la gavetta l’hanno fatta alla vecchia maniera, senza scorciarla su Instagram) e pure educati, a modo, gentili, carucci, dolcissimi. Tutti attributi che non ci fanno pensare a Mick Jagger o a Kanye West e va bene, ma è di altri Mick Jagger e Kanye West che abbiamo bisogno noi, o il rock e il rap e la trap, o il futuro? Forse no.
La rivoluzione la faranno gli educati, disse Franca Valeri in un’intervista di un anno e passa fa. Suonò utopistico allora e, naturalmente, suona utopistico anche adesso, col bullismo più inarrestabile del dissesto idrogeologico, e il lessico dei governanti più colorito di quello di certi soft porno, o di certi reality show. Eppure, per un Ultimo che invece di farsi andar bene il secondo posto a Sanremo abbracciando i suoi colleghi e sfogando la delusione a casa sua, è filato in sala stampa a dare degli iettatori ai giornalisti, e poi su Instagram a far di conto per dire agli italiani che la volontà popolare è stata calpestata, e a rifiutarsi di posare per Tv Sorrisi e Canzoni, inanellando una cafonata dopo l’altra, di mitomania in mitomania, abbiamo guadagnato due campioni dell’antiprovocazione, della pacatezza, della moderazione, dell’auto-ridimensionamento. “Siamo giovani, la pressione è tanta”, ha risposto Mahmood quando gli hanno domandato di commentare la reazione di Ultimo. Sulla polemicuccia che ha scatenato il suo primo posto: “Mi fa sorridere, non ci faccio caso”. E non c’è stato modo, per noialtri pescecani, di scucirgli di bocca una mezza parola di protervia.
Lauro è stato accusato di aver plagiato, inneggiato alla droga, fornito un discutibile modello di crescita personale, essersi tatuato la faccia, e persino d’aver velato un invito all’autodistruzione – “Voglio una vita così, voglio una fine così, piena di Rolls Royce” (a un neppure trentenne che fa una canzone glam con dentro Miró e Paul Gascoigne, l’Italia mette davanti Simona Izzo che gli domanda se stia invitandoci tutti a suicidarci o, peggio, se voglia suicidarsi lui). Eppure lui ha tranquillizzato tutti, con la pazienza e la classe che credevamo annegate ed estinte per sempre; ha salutato, fatto inchini, ringraziato per l’applauso, per l’occasione, per “l’onore di essere qui con voi” e “l’onore di sedermi al tavolo con Orietta Berti” e “l’onore di fare un selfie con te, Mara”. Pure delle accuse di plagio s’è detto onorato: “Magari fossi capace di scrivere un pezzo come quello degli Smashing Pumpkins!”. Puoi fare il rock e non sfasciare la chitarra sul palco, nel salotto di una signora, nel salotto televisivo degli italiani? “Ciao stupenda”, ha detto il cantante degli Zen Circus a Mara Venier, a “Domenica In”. Il pregevole Nigiotti, che è nostalgico di tutto, specie di rock e campi di grano, e ha scritto la più brutta canzone del festival, Venier l’ha salutata dandole del sogno erotico. Chiara la differenza?
Natalia Aspesi ha scritto che s’è percepita, a Sanremo, “l’inquietudine di tutti col pensiero di sbagliare; di essere puniti, di scomparire”. E se anche fosse stato per questo che Mahmood e Lauro sono stati tanto bravi a star buoni, sarebbe comunque un’enorme vittoria per la buona educazione, finalmente riconosciuta come una pratica benefica, igienica, e protettiva.