"Meglio una faziosità limpida ed esibita di una subdola terzietà". Così nasce il Tg2 sovranista
Tele Salvini? “Faccio ammattire quelli come Calenda, la vulgata dominante”. Salvini, Putin, il Nobel a Trump e l’amicizia con Conte. Una mattina a casa del direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano
Roma. Sulla libreria dello studio di casa ecco la foto in bianco e nero con Almirante, Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri. Il grande vecchio e i giovanissimi eredi. “Era il 1981. Eravamo all’università di Napoli”. Gli anni del Fuan. Politica e militanza. Eravate fascisti. “Sì, però scrivilo che qui a casa mia ci sono anche le foto con Mattarella e con il Papa. Altrimenti poi chi li sente, quelli”. Quelli chi? “Quelli del PUDPC”. Chi, scusa? “Il Partito unico del politicamente corretto”.
Gennaro Sangiuliano, cinquantasei anni, napoletano, direttore del nuovo Tg2 presto ribattezzato Tele Salvini o Tele Visegrad. Quando glielo si dice, lui non s’increspa neanche per un attimo. “Il mio telegiornale è politicamente equilibratissimo”, risponde con soavità. “Basta vedere i dati dell’Osservatorio di Pavia. E questo perché sto attento al minutaggio, sono maniacalmente attento che ci siano tutte le voci. Anche se il PUDPC vorrebbe mandarmi i gendarmi in redazione. E io mi sento Pinocchio. Tutti i giornali del mondo intervistano Alexander Dugin, l’ideologo di Putin, ma solo se lo intervistiamo noi Carlo Calenda fa un tweet”.
[Gli squilla il cellulare. C’è da comporre la scaletta per l’edizione pomeridiana del tg. “Direttore, con le dichiarazioni del Pd che dobbiamo fare?”. E lui: “Dobbiamo sempre mettere tutto”]
“Che dicevamo?”. Parlavamo di faziosità. “La tradizione del giornalismo italiano è politica. Ed è certamente più onesta una faziosità limpida ed esibita di una subdola terzietà. Il fatto neutro non esiste, lo diceva anche Heidegger”.
E la caratteristica di Sangiuliano, un uomo simpatico che sembra non avere spigoli, è forse la familiarità con le letture, insomma la pratica – rara – dei libri. E infatti in pochi minuti di conversazione sul populismo e sul concetto di conservatorismo lui è in grado di citare con facilità cospicua Heidegger, Dostoevskij, Pirandello, Prezzolini, Spengler, Confucio, Bobbio, Weber… però poi arriva a Salvini. “E’ tecnicamente un conservatore”.
Ma quando ci parli, Salvini ti capisce? Sei sicuro? “Guarda che legge. Frequentiamo la stessa libreria, e ogni volta che ci vado il libraio mi dice che compra un’enorme quantità di libri. Legge saggistica. Non è certo un intellettuale, ma ha la capacità di decriptare i fenomeni complessi”. In effetti cantava: “Senti che puzza / scappano anche i cani / stanno arrivando i napoletani”. E’ passato in un batter di ciglia dal nativismo settentrionale al nazionalismo. “Anche Mitterrand partì dell’estrema destra e arrivò ai socialisti. Garibaldi era a favore di una rivoluzione sociale e nazionale insieme. Poi rinunciò a quella sociale, e si incontrò addirittura con il re a Teano. In politica non si è mai statici”. E la puzza dei napoletani? “Il razzismo antimeridionale, nella Lega, non esiste più. E non per opportunismo elettorale, ma per questioni antropologiche. Se vai in giro a Torino o a Milano e scavi nelle biografie delle persone che incontri, anche quelle che parlano con l’accento settentrionale, scoprirai che sono tutti di origine meridionale”. Come hai conosciuto Salvini? “Il rapporto personale con Salvini nasce per un mio tweet su questioni di ordine pubblico. In quell’occasione Michele Anzaldi, del Pd, mi definì ‘il vicedirettore leghista del Tg1’. Così quel pomeriggio, a un certo punto, ricevetti una telefonata: ‘Buongiorno, sono Matteo Salvini. Volevo conoscere il vicedirettore leghista del Tg1’… però a questo punto devi precisare un fatto”. Cosa? “Che faccio il giornalista, non il propagandista politico. Sono soltanto un giornalista, come diceva Montanelli”.
La grande copia del bacio di Klimt accanto al televisore, i tre ampi divani di velluto grigio – uno è spaiato: a ramage assortiti – la bella casa del direttore del Tg2, nel quartiere Nomentano, è su una strada così pulita, spazzata, che non sembra Roma. “Vuoi un bicchiere d’acqua?”, chiede. Quando poggia il bicchiere sul tavolino da caffè, nel salotto, Sangiuliano si fa per un attimo pensieroso. Poi: “Mi ricordo quando scrivevano che Mario Monti aveva sulla scrivania soltanto un bicchiere d’acqua. Acqua liscia, specificavano. E aggiungevano: ‘Segno di grande sobrietà’. Quella sì che era piaggeria nei confronti del potere. Altroché. Vedi, una cosa è essere classe dirigente un’altra e essere dei tecnocrati. Monti non è classe dirigente. Essere classe dirigente significa avere visione, che è diverso da avere nozioni ben ordinate in testa. Craxi, Berlinguer, Fanfani, Almirante, erano tutti classe dirigente senza essere tecnocrati”.
E Salvini? “Ha una visione. Sa che esistono dei valori nazionali da tutelare. I tecnocrati invece sono un’altra cosa. Anni fa, sul Foglio, scrissi un pezzo dove paragonavo Monti a Salazar, il dittatore portoghese, che era un professore pure lui”. Ma perché insisti tanto su Monti, che ha messo l’Italia al sicuro in un momento difficilissimo? Che ti ha fatto Monti? “Niente. Gli auguro tutto il bene del mondo. Ma io, ai tempi del suo governo, fui il primo controcorrente in un momento di grande conformismo. Tanto che un suo collaboratore, Federico Toniato, a un certo punto disse: ‘Al Tg1 c’è un vicedirettore che rema contro’. E quando da noi al Tg1 fecero un pezzo che s’intitolava ‘Vedo la luce’, citando le parole del presidente del Consiglio che prospettava la fine della crisi, io fui l’unico a sollevare delle perplessità. La mattina della vittoria di Trump alle elezioni americane, entrai in riunione di redazione, guardai Mario Orfeo e tutti gli altri, sventolando una banconota da 50 euro: ‘Dove si compra il biglietto per vedere le vostre facce?’”. Trump ti piace? “Ha un piano per riappacificare Israele e palestinesi. Sta lavorando alla distensione con la Corea del nord. Vedrai che gli daranno il Nobel per la pace”. Se riappacifica il Medio Oriente il Nobel mi pare poco. “Minimo la santità”.
La Rai è governativa per definizione. Talvolta con più pudore, altre volte meno. Si può essere liberi alla Rai, anche facendo i direttori? “Certo”. E tu sei libero? “Sono uno di quelli che non hanno cambiato idee a seconda delle convenienze. Il Tg2 ha intervistato due volte Juan Guaidó, il capo dell’opposizione venezuelana. Facendo uno scoop. E’ evidente che intervistandolo abbiamo fatto una scelta di campo, in un contesto in cui il governo non ha preso una posizione univoca. L’ambasciatore venezuelano mi ha scritto una lettera, chiamandomi fazioso. Gli ho risposto che siamo disposti a intervistare Maduro… Ma deve venire a Roma, negli studi del Tg2”.
Sei molto criticato. “Dalla vulgata dominante”. Ma al governo c’è la Lega con il M5s, che non ti criticano. “La Lega e il M5s non sono il mainstream. E ti dico una cosa: al mainstream non dà fastidio il giornale schierato, perché noi siamo equilibratissimi come ti dicevo. Io ho fatto intervistare Renzi e anche Zingaretti. A loro dà fastidio che apriamo a idee scandalose. La diversità culturale li fa impazzire. Danno di matto se in un pezzo di Valter Vecellio il Tg2 ricorda che nel 1934 a Place de la Concorde si schierarono la destra dell’Action française assieme ai comunisti. Proprio come accade adesso tra i gilet gialli, dove trovi le bandiere del Che e i militanti di Marine Le Pen. Il partito unico del politicamente corretto, il PUDPC, queste cose non le sopporta”. Ma mi dici chi sono, precisamente, secondo te, gli iscritti a questo partito? “Sono gli interessi economici, intellettuali, il mondo accademico… Quelli che non accettano l’eresia. Nel 1910 a Firenze Prezzolini, Papini e Soffici organizzarono la prima mostra degli impressionisti francesi in Italia. Andarono a Parigi e si caricarono letteralmente sulla schiena i quadri di Monet, Degas, Sisley. Addirittura Prezzolini e Soffici litigarono su Picasso. Fecero la mostra a Firenze e vennero attaccati dalla stampa dell’epoca, la stampa della vulgata dominante dell’epoca, che definiva gli impressionisti degli ‘scarabocchiatori’. Chi ha avuto ragione?”. Il collegamento per la verità sembra un po’ acrobatico, ma non privo di fantasia suggestiva.
E allora è inevitabile dirlo: un po’ sembri Carlo Freccero, il pirotecnico Freccero, l’attuale direttore della tua rete, lo sai? Ha detto di essere diventato patriota e sovranista. “E infatti ormai ci chiamiamo fratelli. Io studio la cultura di sinistra, lui conosce bene quella di destra” (e a questo punto Sangiuliano si alza, va verso la grande libreria bianca che circoscrive le tre pareti dello studio, e tira fuori i volumi di Gramsci, le biografie di Togliatti, il saggio sulla rivoluzione bolscevica di Edward Carr, “edizione Einaudi del 1970. Quella che girava ai tempi della contestazione”, precisa. “Ma uno dei libri che amo di più in assoluto è ‘Il profilo ideologico del Novecento italiano’ di Bobbio. Un libro sulla contaminazione tra le culture”).
Freccero in effetti era (è?) di sinistra: è stato un gran dalemiano della tivù ai tempi del dalemismo imperante e strapotente. “Ma adesso la sinistra è diventata il braccio armato delle élite iper capitaliste. Se guardi le persone più ricche del mondo, le prime cinque, tolti Carlos Slim e Amancio Ortega, sono tutti liberal come Jeff Bezos”. Non so se Jeff Bezos sia proprio di sinistra, in realtà. “Una volta c’erano i Krupp, gli Agnelli che indossavano la camicia nera, i conservatori inglesi che erano tutti ricchissimi come i gollisti francesi. Ora i ricchissimi sono tutti di sinistra. Ecco, questa secondo te è una cosa seria o è una battuta sovranista di Sangiuliano?”.
Ex direttore di Roma, il giornale che fu di Pinuccio Tatarella. Il ministro dell’Armonia ai tempi dei primi governi di Silvio Berlusconi. Ma come si passa da Tatarella a Salvini? Dall’Armonia alla Ruspa? Dall’idea del dialogo con la sinistra alle divise della polizia? “Sono due figure molto lontane, lo capisco. Ma in realtà Tatarella aveva un forte culto dell’identità nazionale. Quindi un legame c’è”. E chi sono i tuoi amici rimasti del mondo della destra missina? “Gasparri. Ogni tanto sento Bocchino. Ma poco”. Fini? “Mai. Ma non abbiamo litigato. Invece ho mantenuto rapporti con diversi magistrati che furono insieme a me militanti del Fuan a Napoli e adesso sono pm importanti. A volte al telefono sento Storace. Parlo con La Russa. Però adesso ho scoperto nella Lega una classe dirigente di primissimo livello. Giancarlo Giorgetti è il nuovo Tatarella. E’ colto, mite, preparato”.
Di Maio lo conosci? “Sì lo conosco. Ma quello che conosco meglio è Giuseppe Conte. Siamo amici. Questo non lo sa nessuno”. E com’è che siete amici? “E’ stato mio professore. Quando ho fatto il master in diritto privato europeo (100 centesimi con lode e una tesi sulle sentenze della corte di Strasburgo). E’ così che ci siamo conosciuti. Adesso talvolta parliamo di geopolitica al telefono”. E secondo te riesce a esercitare la sua funzione di capo del governo? “Nella Prima Repubblica abbiamo avuto Pella, Goria, Forlani, Spadolini, che non erano i tenutari della maggioranza. Ma elementi di mediazione tra forze contrapposte”.
E cosa farà dopo, Conte? “E’ un uomo con i piedi per terra. Credo gli manchi l’insegnamento. Ho anche recensito sul Sole 24 Ore il suo ultimo libro, di cui voi giornalisti ovviamente non vi siete accorti, obnubilati come siete dal pensiero unico”. Tutti iscritti al PUDPC. Sembra una fissazione. “Devi sapere che Conte ha una conoscenza dei sistemi giuridici europei e delle normative europee che uno come Macron si sogna di avere. E’ uscito con un libro edito da Giuffrè che si intitola ‘L’impresa responsabile’. Ed è un libro accademico, certo. Ma il diritto è politica. E lui nelle premesse fa un ragionamento che condivido alla lettera sulla distanza tra il turbocapitalismo e il capitalismo renano. Il mercato dev’essere temperato con una quota di partecipazione dello stato”. Nazionalizzazioni. Alitalia. Reddito di cittadinanza. Sussidi. E’ così che si rilancia lo sviluppo economico? “Anche la nostra Costituzione prevede interventi dello stato in economia. L’Iri, l’Eni di Mattei, la prima Cassa del Mezzogiorno sono state cose importantissime in Italia”. Siamo entrati in recessione con questo governo. “Siamo in recessione perché la Germania ha perso un punto di pil, e noi siamo diventati i terzisti della Germania. Se Bmw e Mercedes rallentano, anche i freni della Brembo si vendono meno. E poi il tessuto produttivo del paese si è ristretto sostanzialmente al nord-est e al nord-ovest con piccole enclavi nel centro Italia. Il sud si è prosciugato”.
E adesso nella politica che succederà? “Secondo me il voto abruzzese e sardo ci dice che si può tornare a uno schema classico centrodestra contrapposto al centrosinistra. Anche se per adesso questo voto consolida la tenuta del governo, perché Di Maio non si può permettere di tornare alle elezioni”.
E il M5s è finito, è destinato a prosciugarsi? “Quando apparve la Lega dei primi anni Novanta, in tanti pensavano che fosse un incidente temporaneo della storia. Mai dire cose definitive. I fenomeni della politica sono sempre molto lenti a consumarsi. Pensa ai monarchici. Hanno retto fino agli anni Settanta, malgrado l’8 settembre e il tradimento dei Savoia”. Sì, sono sopravvissuti, ma stavano forse al 2 per cento. “Io mi chiederei piuttosto perché si è generato questo movimento. Il sud d’Italia oggi sta molto peggio che negli anni Sessanta. Catania veniva chiamata la Milano del sud. C’era un reticolo produttivo. Ora nessuno guarda più a tutto questo. E allora ti sei trovato il Movimento cinque stelle”.
Sulla piccola scrivania dello studio c’è una pila di libri sulla Cina. “Sto scrivendo la biografia di Xi Jinping”. Dopo quelle di Putin e di Trump. “Il presidente cinese ha in testa un forte richiamo al confucianesimo. Ci sono dei paralleli interessantissimi perché anche Putin si richiama all’ortodossia. Nella globalizzazione vince chi sta all’interno del meccanismo globale ma con un forte richiamo nazionale identitario”. Sovranismo globale. “L’occidente è in condizioni di decadenza socio-economica che sono conseguenza di decenni di decadenza morale e culturale. Come si fa a superare questa decadenza? Con il richiamo all’identità storica della nazione”.
[Gli squilla ancora il telefono. Si sente che gli dicono: “Ti piace l’intervento di Renzi in Aula? Lo mettiamo?”. E il direttore: “Preferisco Giachetti, metti lui”]
Al Tg1 con chi hai lavorato meglio, da vicedirettore? “Ho lavorato meglio con il direttore più di sinistra che ho mai avuto, Andrea Montanari”. Prima c’era Mario Orfeo. “Un grande tecnico. Lui avrebbe potuto dirigere indifferentemente la Pravda o un giornale tedesco degli anni venti. E con la stessa straordinaria capacità. Adesso però devo andare a Saxa Rubra. E’ tardi”. Ci salutiamo. Sulla strada, Sangiuliano indica un box auto nel cortile del suo palazzo. “Quello è il garage di Putin”, dice ridendo. Come il lettone a casa di Berlusconi? “L’ho comprato con i soldi del libro, che ha venduto centomila copie”.