Il mondo rovesciato di Freccero. Lettera e risposta
Il nuovo non è sempre brutto, caro direttore, il nuovo è brutto quando fa ribrezzo
Al direttore - Da quando sono rientrato in Rai ricevo attacchi continui dalla stampa. Se dovessi rispondere singolarmente non avrei più tempo per lavorare. Ma c’è di più. Le critiche sono legittime, ma, in questo caso rischiano di essere pretestuose. Assomigliano a quella tecnica per cui, se in un talk-show un interlocutore tratta un argomento scomodo, gli si parla addosso impedendo di far arrivare la notizia al pubblico. Il lavoro di un direttore dei programmi non riguarda tanto la singola trasmissione, ma il palinsesto finale, come ben sa ogni addetto ai lavori. Trasformare un palinsesto, che è un’abitudine d’ascolto, implica insuccessi momentanei dovuti al tempo necessario per creare nuove abitudini di ascolto nel pubblico. La parola abitudine non presuppone immediatezza, ma tempi lunghi. E spesso il pubblico a cui si mira non è lo stesso pubblico del presente che, nell’immediato, non si riconosce più nella nuova programmazione e ne compromette l’audience. Quello che voglio dire è: criticatemi pure, ma a lavoro concluso, quando tutti i pezzi saranno andati a posto e il mio lavoro diventerà leggibile. Le parole con cui Guido Vitiello critica il mio lavoro “sgraziato, sgrammaticato, stridente, stracotto” esprimono bene la situazione di transizione in cui ci troviamo. Tutto ciò che è nuovo, che interrompe abitudini d’ascolto, suona, in prima battuta come dissonante. Solo il tempo e la ripetizione trasformeranno la dissonanza in nuova armonia. Sono tecniche ben note alla comunicazione. Penso ad esempio al meccanismo della finestra di Overton, un sistema ideato dai think tank americani per imporre idee “impossibili” – come il cannibalismo – facendole diventare consuete e banali. Il primo stadio del discorso non può che rivelare esecrazione, ma, nel corso del tempo, dall’orrore per il cannibale si passerà alla difesa dei suoi diritti.Il nuovo è sempre brutto e stiamo assistendo, dopo un ventennio di pensiero unico e di politicamente corretto, a un brusco risveglio, a un cambiamento dell’ordine del discorso, alla sostituzione di un’episteme con un’altra episteme. Quello che oggi ci sembra sgraziato, sgrammaticato, stridente è destinato a diventare normale. Quindi il mio “situazionismo” potrebbe essere non indietro, ma un anticipo sui tempi. Vi ricordo che Debord è passato alla storia per la sua fama di profeta. E’ strano, da quando ho ripreso il servizio in Rai vengo attaccato anche per il mio passato situazionista. Le critiche vengono sia da destra che da sinistra e la loro diversità, nella comune condanna, deriva da diverse considerazioni rispetto alla figura di Debord. Per la sinistra Debord rimane un mito, che io avrei tradito per passare, come in “Star Trek”, al lato opposto della forza. Per Vitiello i sedicenti situazionisti sarebbero una compagnia di malpresi superati dai tempi che pensano di poter applicare il situazionismo a qualsiasi cosa, con esiti catastrofici.
Vorrei chiarire due cose. La prima è che non ho tradito Debord perché proprio a Debord devo quel risveglio dal sonno dogmatico che Kant attribuiva invece a Hume. La seconda è che quando faccio Televisione, proprio perché conosco Debord e le regole della comunicazione, mi sforzo di fare programmi che funzionano al contrario, ad esempio, al contrario del cinema di Debord, concepito per annullare ogni forma di spettacolo, allontanando il pubblico.
Io il pubblico vorrei attrarlo. Ma attrarre il pubblico significa, anche dialetticamente, barcamenarsi tra la ripetizione, che è sempre “politicamente corretta” e l’innovazione che invece viene percepita come disturbante, dissonante. Dissonanza è anche il termine che Adorno usa per definire la rivoluzione della musica dodecafonica nei confronti della conservazione, incarnata dalla musica tradizionale. Prenderò quindi gli aggettivi negativi che vengono attribuiti alla mia programmazione, come una sorta di complimento perché ne mettono in luce la natura “politicamente scorretta” anche se, in realtà il mio obiettivo è, come già detto, creare alla fine nuove assonanze, nuovi equilibri. Rimando il discorso teorico su Debord, su cui vorrei intervenire con calma in seguito. Ma non in questa sede, perché qui le accuse sono di altra natura. In sintesi, mi limito a dire che non ho tradito Debord perché è nel pensiero stesso di Debord che si cela il passaggio dallo spettacolo delle merci, oggetto del suo testo più famoso, “La società dello Spettacolo” al concetto di “spettacolo integrato” che rappresenta invece il tema de “I commentari” della Società dello Spettacolo. Nei commentari lo spettacolo passa da sinonimo di consumismo a sinonimo di propaganda.
Così come il Debord de “La Società dello Spettacolo” era stato profetico nel prevedere l’esplosione dei consumi, così il Debord dei “Commentari” è profetico nel prevedere il mondo del 2000, a partire dall’11 settembre 2001 e dalla martellante e permanente propaganda di guerra prodotta in nome della sicurezza. E’ per combattere la propaganda che sono tornato in Rai. In quanto alla mie citazioni provenienti dall’introduzione a “La Società dello Spettacolo” che Vitiello riporta nel suo articolo, penso che siamo in linea con il pensiero di Debord che dello spettacolo celebra l’onnipotenza al punto di coronare con il suicidio la sua esperienza filosofica. Ma nella mia formazione non c’è solo Debord. Debord rappresenta il lato critico, ma io insegno Scienza della comunicazione, e attingo piuttosto da lì i miei strumenti pratici. Vitiello si tranquillizzi. Debord rimane per me un maestro, ma nel mio lavoro, per forza di cose, non uso strumenti situazionisti.
Carlo Freccero, direttore di Rai 2
Il nuovo non è sempre brutto, caro direttore, il nuovo è brutto quando fa ribrezzo, quando è per l’appunto sgraziato, sgrammaticato, stridente, stracotto. E quando lei dice che quello che oggi ci sembra sgraziato, sgrammaticato, stridente è destinato a diventare normale non posso che risponderle con quello che diceva il suo amato Guy Debord: nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso. Un caro saluto.
Politicamente corretto e panettone