Mario Marenco con Renzo Arbore (foto LaPresse)

Mario Marenco, l'architetto geniale che praticava la comicità delle forme

Fabio Canessa

Perfetto per la radio e la televisione, ma “troppo intelligente” per Fellini

Mario Marenco è stato per la comicità quello che Gadda è stato per la letteratura e Klee per la pittura. Un genio che, per far ridere, non ha mai avuto bisogno di barzellette, sketch o battute: alieno dalla satira politica, era estraneo sia alla volgarità nostrana che allo humour inglese, perché non si interessava ai contenuti e preferiva manipolare le forme. Attore (originalissimo: non assomigliava a nessuno, anche se lui diceva di avere come modello Danny Kaye) per hobby, era di mestiere architetto (di fama e di talento). Così, anche nell’arte dello spettacolo lavorava come un architetto che smonta e rimonta i meccanismi della comunicazione: i suoi personaggi stralunati sembrano esseri umani guasti o difettosi, troppo candidi o troppo scaltri per sintonizzarsi con la normalità. La loro follia, costruita coi pezzi del linguaggio quotidiano reale, però franto, slittato, deostruito e decontestualizzato, smaschera l’assurdo dell’esistenza. La sua verve lunare si scatenò soprattutto alla radio, con il mitico “Alto gradimento”: la Sgarambona, Vinicio, il professor Aristogitone, lo studente Verzo, il colonnello Buttiglione (poi diventato il generale Damigiani per le proteste di un colonnello vero che si chiamava proprio Buttiglione), l’astronauta Navarro, Pasquale Zambuto e molti altri sono state le fonti a cui si sono abbeverati tutti i comici di oggi, da Teo Teocoli a Nino Frassica, che è il suo erede migliore, in una cifra più popolare, concreta, figurativa.

 

 

Marenco invece era astratto, aristocratico, visionario, e toccò il vertice del surreale nei duetti con Arbore a “L’altra domenica” e nelle scombiccherate irresistibili poesie firmate Marius Marenco (alcune finite nei suoi libri, memorabili già dai titoli, come “Stupefax” o “Lo scarafo nella brodazza”). Dino Risi, che lo diresse in una serie tv, lo paragonò ai grandissimi della commedia all’italiana, ma in versione impazzita. Federico Fellini lo scelse come protagonista di “La città delle donne”, ma dopo una serie di provini gli sembrò ingestibile e lo sostituì con Mastroianni, dichiarando che Mario era troppo intelligente per fare l’attore. Il gusto dei corti circuiti pindarici, dei tormentoni dal ritmo claustrofobico, dei lunghi inutilissimi elenchi genialmente sgangherati troverà ora la sede più adeguata in Paradiso, dove la mente dei beati è così allargata e illuminata che Marenco farà sganasciare dalle risate anche quelli che sulla Terra non lo capivano e si sentivano più a loro agio con Gino Bramieri.

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