L'epica sportiva di “All American” e l'elogio della fuga (anche da se stessi)

In onda su Premium Stories la serie tv sul football

David Allegranti

Roma. L’epica americana sportiva ci ha regalato negli anni molti film sulla pallacanestro e il football, da “Coach Carter” a “When the game stands tall”, da “Remember the Titans” a “Friday night lights”, alcuni basati su storie vere, quelli che a fine pellicola hanno le foto dei protagonisti invecchiati per davvero che si sovrappongono alle immagini cinematografiche, altri no; tutti però con al centro il grande sogno americano e la sua capacità di mantenersi saldo e incrollabile nonostante la concorrenza sleale della Cina anche nella conquista dell’immaginario.

 

Pochi giorni fa Premium Stories ha iniziato a mandare in onda “All American”, una serie che negli Stati Uniti è stata trasmessa nell’ottobre scorso e che un paio di giorni fa è stata rinnovata per la seconda stagione, ispirata alla vita dell’ex  giocatore di football americano Spencer Paysinger, classe 1988, che per sette anni ha giocato nella NFL come linebacker per i New York Giants (per quattro stagioni), i New York Jets, i Miami Dolphins e infine i Carolina Panthers. Paysinger aveva un sogno: giocare nell’NFL e smettere con il football una volta arrivato a trent’anni. Missione compiuta, l’ex linebacker si è ritirato nel 2017 dopo aver vinto peraltro un Super Bowl nel 2011 con i Giants ben frequentati da gente come Eli Manning, Justin Tuck e Victor Cruz.

 

“All American”, che cerca inevitabilmente il confronto con una serie classica come “Friday night lights”, è la storia di Spencer James – cioè Paysinger – un ragazzo che vive a Crenshaw, un quartiere a sud di Los Angeles, e che a un certo punto ha l’occasione della vita: cambiare liceo e andare a giocare per la squadra di Beverly Hills, che sta a mezz’ora di macchina ma è un altro mondo. Ricco, senza gente che spaccia nei parchi dove giocano i ragazzini, con i padri che fanno i produttori discografici e non i traffichini di quartiere al servizio di pettoruti delinquenti con le pistole in tasca.

 

In “All American” i due mondi si tengono insieme; Spencer vive sia a Crenshaw, sia a Beverly Hills. Il quartiere in cui è cresciuto è la sua comunità – una comunità di cui si deve prendere cura e si sente responsabile ed è per questo che non potrà mai staccarsene. Nel corso delle sedici puntate si scoprirà che la ricca Beverly Hills ha un sacco di problemi analoghi a quelli dei sobborghi poveri di LA, che le bugie famigliari sono universali e il rapporto fra genitori e figli è complicato, se non identicamente complicato, ovunque.

 

L’epica americana in questo caso non sta solo nella storia dell’adolescente che riesce a fare touchdown scappando da una vita ghettizzante e asfissiante, dove ogni giorno non è chiaro se riuscirai a tornare a casa sulle tue gambe, ma in tutta la storia di Paysinger, che pur avendo trent’anni è riuscito a mettere a segno diverse fughe. La prima è quella dalla vita già predefinita di chi nasce in un quartiere complicato e ha poche strade di fronte, tra cui quella di morire ammazzato. La seconda fuga è quella dallo sconforto della depressione da fine carriera e dagli infortuni che condizionano non poco la vita degli sportivi che hanno passato un paio di decenni a fracassarsi le ossa sul campo di gioco senza poi più sapere come tornare nel mondo reale. E’ abbastanza inusuale che un ex giocatore riesca, a otto mesi dal suo ritiro, a ispirare una serie tv sulla sua storia e a reinventarsi in altri campi (insieme ad altri Paysinger ha creato un fondo di investimento gestito esclusivamente da atleti). “La fuga per me è importante quasi quanto il gioco”, ha detto una volta Paysinger spiegando di aver speso il suo intero primo giorno libero al cinema, cercando di mantenere dunque un distacco dal football e scrivendo da solo le storie sul football da sottoporre ai produttori televisivi. Un insegnamento per gli sportivi che non vogliono restare schiacciati dalla fama fugace ma anche da chi, ogni giorno, si ripete come Paysinger una frase tratta dal film “The players club”: “Usa quel che hai per ottenere quello che vuoi”. Anche se le risorse che possiedi sono poche, possono bastare a fuggire.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.