La trappola della Rai
Per evitare un botto tra Lega e Cinque stelle salta la riunione della Vigilanza che doveva processare Foa e Salini
Roma. Ieri nessuno si è stracciato le vesti quando la presidenza della commissione di Vigilanza Rai ha deciso di sconvocare la riunione prevista per l’ora di pranzo. La scusa, per la sconvocazione, erano i lavori parlamentari. Ma in realtà si è trattato di un lavoro da artificeri: la seduta è stata “disinnescata”. Perché all’ordine del giorno c’erano pietanze bomba in tempi di tramestio dentro la maggioranza di governo, tra Lega e M5s: l’audizione dell’amministratore delegato Rai Fabrizio Salini e il voto sul doppio ruolo di Marcello Foa come presidente di Rai e di RaiCom, la consociata di Viale Mazzini il cui compito è la commercializzazione dei prodotti della tv di Stato all’estero. La Lega vuole fa fuori Salini. I Cinque stelle Foa.
La nomina di Foa a presidente di Raicom è stata duramente contestata dalle opposizioni, Pd in primis che, tramite il suo capogruppo in Vigilanza Davide Faraone, ha presentato una mozione per chiedere a Foa di lasciare questo secondo incarico, perché “incompatibile e in conflitto d’interessi” con la presidenza di Rai Spa. Anche il Movimento 5 Stelle, nel frattempo, aveva espresso forti critiche, concordando sul fatto che “Foa in quel posto non ci può stare”. Ma per non stare sotto cappella dei dem, i pentastellati hanno presentato una loro mozione autonoma dove si chiede più o meno la stessa cosa: le dimissioni di Foa da RaiCom. Posizione che ha generato notevoli frizioni con la Lega, che invece sta dalla parte del presidente. Il voto doveva tenersi ieri, ma diversi senatori, causa esame dello sblocca cantieri in commissione a Palazzo Madama, compresi anche esponenti del Pd, hanno chiesto lo slittamento. Per il Pd si poteva andare a ieri sera, alle 21, ma si è preferito rinviare alla prossima settimana. Con un sospiro di sollievo dei due partiti di governo, che così hanno evitato una votazione che li avrebbe visti contrapposti a soli due giorni dal voto, con le urne ancora calde e le fibrillazioni in corso. “Dividersi oggi (ieri, ndr) su Foa avrebbe significato un braccio di ferro pericoloso tra i due partiti che in queste ore devono coltivare più i motivi che li uniscono e non esasperare ciò che li divide”, ragiona un esponente leghista in Vigilanza. Poi, però, non è tutto così schematico. Alcuni parlamentari leghisti non sono marmorei nella difesa dell’ex cronista del Giornale, così come nei Cinque Stelle s’avanzano perplessità sulla linea anti-Foa. “Il rinvio ha fatto gioco a tutti, specialmente alla maggioranza dove ci sono delle riflessioni in corso. Quindi meglio prendersi ancora qualche giorno…”, racconta una fonte autorevole della commissione. “Stanno litigando”, dice più esplicitamente Michele Anzaldi (Pd). Secondo cui “la Lega deve aver avvisato i 5 Stelle: guai a chi tocca Foa, e i pentastellati ora sono in difficoltà perché indeboliti dal risultato delle urne: era meglio votare su Foa prima del 26 maggio, come avevamo chiesto noi”. Insomma, secondo i dem, “Di Maio & C. ormai pure sulla Rai non toccheranno più nemmeno una palla”.
Viale Mazzini, si sa, è lo specchio della politica e spesso la anticipa. Qui il ribaltone pro-Lega era già nell’aria e i riposizionamenti sono in corso da tempo. Non è un caso che, dopo settimane di trattative, il trasloco di Fabio Fazio a Raidue, con la benedizione di Salvini, sia stato annunciato proprio il 27 maggio, a urne appena chiuse. Così come, si racconta nei corridoi di Saxa Rubra, sarebbe già partito un assalto al Tg1, con Giuseppe Carboni nel mirino dei leghisti. “Si aspetta solo il casus belli, poi verrà sostituito”, si sussurra nelle redazioni. E Carboni motivi di scontento finora ne ha regalati, dalla rissa con un suo giornalista (Angelo Polimeno) agli ascolti deludenti, col Tg5 in rimonta. I nomi dei possibili sostituti sono quelli di Gennaro Sangiuliano (in questo caso Carboni andrebbe al Tg2) e Fabrizio Ferragni. Oppure un giornalista dello stesso Tg1.
Altro effetto delle elezioni è l’indebolimento di Fabrizio Salini. Che ora avrà meno copertura politica per resistere alle richieste leghiste. La macchina spartitoria tra M5S e Lega, che finora ha funzionato alla perfezione, ora rischia di pendere, e molto, verso il Carroccio. Si capirà qualcosa in più dai palinsesti estivi, già molto in ritardo. Sarà interessante, per esempio, vedere se l’ad accetterà di sbloccare i contratti (da lui stesso congelati) per la nuova infornata di autori a Unomattina (dove capo autore è ancora il portavoce di Foa, Marco Ventura), tutte persone vicine all’area del Carroccio.
Infine, c’è la madre di tutte le battaglie: il piano industriale. Che, dopo l’approvazione a marzo, si è arenato nelle sabbie mobili della politica. Per valutarlo ancora devono iniziare le audizioni in Vigilanza e poi ci sarà il voto, dirimente, del Mise, previsto ormai, se tutto va bene, per l’autunno inoltrato. Un allungare il brodo che lascia presagire che alla fine il bersaglio grosso della Lega potrebbe essere proprio lui, Fabrizio Salini. Il caso Campo Dall’Orto-Orfeo docet. Ed erano solo due anni fa.