Bombe e follie
Arriva “Catch 22” di George Clooney, l’ennesima trasposizione di un romanzo sulle assurdità della guerra
I due grandi film anti-militaristi degli anni Settanta sono “M*A*S*H” e “Comma 22”. Il primo diretto da un allora sconosciuto Robert Altman: la sceneggiatura di Ring Lardner, tratta da un romanzo di Richard Hooker (pseudonimo di Richard Hornberger e Wilfred Charles Heinz, in italiano da Sur) era stata rifiutata da molti registi affermati. Tra cui Arthur Penn, Sydney Pollack e Stanley Kubrick, che nel 1957 aveva già dato il suo contributo alla causa con “Orizzonti di gloria”. Racconta tre allegri dottori in un ospedale militare durante la guerra di Corea – “M*A*S*H” sta per Mobile Army Surgical Hospital – e un’infermiera chiamata “Labbra bollenti” (il #MeToo ci sta facendo diventare nostalgici, accidenti, non esiste film del passato che con gli occhi di oggi non sia passibile di censura). Vinse la Palma d’oro a Cannes – presidente della giuria era lo scrittore Miguel Angel Asturias. Lanciò Donald Sutherland e Elliott Gould.
“Comma 22” porta la firma di Mike Nichols, che sconosciuto nel 1970 non era, già erano usciti “Chi ha paura di Virginia Woolf?” e “Il Laureato”. Anche qui c’è un romanzo, “Catch 22” di Joseph Heller, uscito una decina di anni prima. L’intenzione era ripetere il successo di “M*A*S*H”, ma non andò tanto bene. I costi salirono alle stelle, Orson Welles fece una capatina sul set – era il Generale Dreedle – e pretese di insegnare il mestiere a Mike Nichols.
Il successo di “M*A*S*H” generò subito una serie, andata in onda dal 1972 al 1983 (tra gli attori c’era il magnifico Alan Alda). “Catch 22” arriva adesso, sotto forma di mini-serie, grazie a George Clooney che produce, dirige (dividendo il lavoro con l’amico e prediletto sceneggiatore Grant Heslow), e riserva per sé il ruolo del tenente Scheisskopf. I primi episodi erano su Sky lo scorso 21 maggio (gli ultimi il 4 giugno, ogni martedì sera la dose è doppia). Il Comma 22, diventato un paradigma dell’assurdità, non solo militare, recita: “Chi è pazzo può essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. John Yossarian detto YoYo, bombardiere dell’esercito americano di stanza a Pianosa durante la Seconda guerra mondiale, vorrebbe solo tornare a casa, ed è costretto a sganciare bombe. Accusa vari dolori, sbaglia la posizione del fegato quando dice all’infermiera “mi fa male qui”, poi tenta di fingersi pazzo, per evitare le missioni che diventano sempre più numerose (pensi che siano dieci, cominci il conto alla rovescia, poi diventano quindici e poi venti).
Ma è difficile fingersi pazzo, quando attorno a te lo sono tutti. A cominciare dal generale Scheisskopf, che urla in stile “Ufficiale e gentiluomo”. Ma non si tratta di un’esercitazione. Vuole una parata ordinatissima, tira fuori il metro per controllare l’esatta distanza tra le braccia e il corpo durante la marcia. Non gli importa se poi i suoi uomini moriranno disordinatamente. Come capita al commilitone che crepa sul bombardiere, accanto a YoYo (il giorno dopo ci sarà ancora il sangue da grattare via).
Nella prima inquadratura YoYo è nudo, ricoperto di sangue, e urla. Poi la storia ricomincia dall’inizio. Con i personaggi che siamo abituati a ritrovare nei film di guerra, dal maggiore De Coverley che esige le sue cotolette di agnello, al trafficone Milo Monderbinder che gliele procura (nel film era Jon Voight, l’uomo da marciapiede). La regia e la sceneggiatura sono di buon livello. Ma perché il buon livello, anche in tv, deve accompagnarsi alla lentezza?