Gioiamo per Ezio Bosso in tv, ma forse le “regole” di divulgazione della musica sono cambiate

“Che storia è la musica” prova ad avvicinare il grande pubblico a Beethoven, ma i dati Auditel non premiano il compositore

Mario Leone

E’ raro che in tv si trasmettano in orari decenti programmi dedicati alla musica “classica”. Quando accade è motivo di grande gioia. Domenica sera il direttore, pianista e compositore Ezio Bosso ha proposto al pubblico di Rai 3 una lunga maratona dal titolo “Che storia è la musica”. Due Sinfonie di Beethoven, la Quinta e la Settima, eseguite con l’Orchestra Europea Filarmonica. Una sorpresa rispetto ai soliti palinsesti televisivi che propongono talent o fiction. Mentre Bosso dirigeva, contemporaneamente su Rai 5 scorreva la diretta del Concerto per Milano, l’annuale evento che vede la Filarmonica della Scala esibirsi gratuitamente in Piazza Duomo.

 

Potremmo chiudere qui, gioire per cotanta abbondanza e auspicare momenti più frequenti di questo tipo in tv. Ma occorre fare delle riflessioni perché spesso non basta trasmettere concerti, lezioni o cose simili per portare la musica a tutti e lasciare il segno. Lo dimostrano i dati Auditel dei due concerti. Domenica sera la maggior parte degli italiani ha visto la partita di calcio Portogallo-Olanda (14%), mentre molti altri (12,9%) hanno visto la fiction “Lontano da te”. Gli ascolti di Bosso sono stimati intorno al 5,3% (con un inizio del 4% che è leggermente salito con l’andare avanti della puntata) mentre quelli di Rai5 non sono nemmeno riportati. Certamente non ci si può fermare ai numeri ma questi ci offrono delle informazioni importanti.

 

“Che storia è la musica” non è un format originale. Da Bernstein a Bollani, passando per Muti e Barenboim, spesso grandi artisti si sono cimentati presentando la grande musica sul piccolo schermo. Lenny la spiegava ai bambini, Bollani ha provato a intrecciare generi diversi. Bosso prova a far dialogare il classico con aspetti della realtà presente e con voci lontane dalla stessa musica (vedi gli ospiti coinvolti). Il tentativo sembra forzato tanto da risultare pesante in alcuni passaggi. Una fatica che si amplifica anche nei 205 minuti di durata della puntata, troppi per un pubblico preparato, troppi per il repertorio sinfonico, troppi per le dure regole della tv.

  

I leoni da tastiera hanno criticato il direttore per come dirige, per la musica che scrive e per i contenuti. Non hanno risparmiato l’orchestra che, pur non essendo la Filarmonica di Berlino, ha suonato dignitosamente affrontando tutte le difficoltà che un’amplificazione pone. Gli stessi si sono accaniti sul programma “troppo pop” (a loro dire) proposto da Chailly per il concerto a Piazza Duomo a Milano. Insomma uno dei problemi della musica classica, spesso, sono proprio i musicisti, quelli che la sanno più lunga di tutti, il popolo è ignorante e via con le menate.

 

Un’ultima riflessione dobbiamo desumerla ancora dalla tv. Qualche mese fa la (delirante) fiction “La compagnia del cigno” (un racconto fantasiosi della vita al Conservatorio di Milano) ha ottenuto il 22% di share e nei mesi successivi il Conservatorio di Milano ha registrato un’impennata di iscrizioni. Solo un caso? Potrebbe essere. Ma forse questi numeri ci dicono come le “regole” di divulgazione della musica siano cambiate. Non serve più mettere un’orchestra, il grande repertorio e un direttore (Bosso o Muti o Bernstein) per avvicinare alle sette note. Forse serve riscoprire l’esperienza musicale come qualcosa di molto quotidiano, vicino, raccontato nei luoghi deputati all’insegnamento. Una esperienza della musica più immediata, banalmente più vicina. Riportare veramente la musica nelle scuole, nelle parrocchie. Sono congetture. Ma le regole del gioco sono cambiate. I grandi intellettuali della musica quando se ne accorgeranno? Per ora gioiamo che due Sinfonie di Beethoven siano risuonate al 5,3% di telespettatori della domenica sera che aspettano, un po’ malinconici, l’inizio della nuova settimana.

Di più su questi argomenti: