Ancora una tv da rincorrere
In arrivo il digitale 2.0 per far posto alla tecnologia 5G. Indagine su una rivoluzione e le sue opportunità
Ricordate la tv a colori? Per noi è un lusso, sentenziò nel 1974 Ugo La Malfa, così l’Italia arrivò tra gli ultimi. E il passaggio dall’analogico al digitale concluso nel 2012? Questa volta l’Italia si era preparata, ma perse il treno poi salì sul vagone di coda scegliendo il predominio del digitale terrestre, che per molti era già una tecnologia obsoleta. Adesso il rischio di finire tra i ritardatari si ripresenta perché siamo alla vigilia di un nuovo salto tecnologico e puntuale riappare la sindrome della rincorsa. A partire dal prossimo anno, 18 milioni di televisori, quasi l’80 per cento degli apparecchi posseduti dalle famiglie italiane, rischierà di non ricevere nessun segnale. Si salva solo chi guarda la tv via satellite. Dal primo gennaio prossimo comincia il passaggio al digitale 2.0 che verrà completato due anni dopo. I tempi sono dettati dalle direttive della Commissione europea e il governo ha varato una tabella di marcia divisa per aree: cominciano da gennaio a maggio Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna, in sostanza il versante occidentale della penisola e poi via via a blocchi le altre regioni fino al primo luglio 2022. Perché questo cambiamento? Per uno stato di necessità, ma anche per compiere un salto tecnologico.
Sul colore l’Italia arrivò tra gli ultimi. E per dire addio all’analogico ha scelto il digitale terrestre, che per molti era già una tecnologia obsoleta
L’Italia come hanno già fatto altri paesi dovrà liberare alcune frequenze (quelle a 700 megahertz) che oggi sono impegnate da trasmissioni televisive per far spazio al 5G, cioè le reti mobili a banda ultra larga. I telefonini dunque cacciano le tv? Non esattamente. E qui entra in gioco la nuova tecnologia perché lo standard DVB-T2 consente di trasmettere gli stessi canali su meno frequenze e una banda più limitata. Non solo, la qualità dell’immagine e del suono sarà nettamente superiore. Un quarto dei televisori già in possesso delle famiglie supporta oggi il nuovo standard, quindi sarà sufficiente sincronizzare di nuovo i canali, gli altri dovranno acquistare un decoder o una smart tv. Il governo ha messo a disposizione incentivi per 151 milioni di euro che non saranno versati direttamente agli utenti, ma ai venditori i quali praticheranno degli sconti. I negozianti, in realtà, fin dal 2017 hanno l’obbligo di vendere televisori DVB-T2 o abbinati a un decoder compatibile. Chi usa la piattaforma satellitare gratuita di Tivùsat, invece, continuerà a ricevere tutta l’offerta televisiva italiana e internazionale, gratuitamente, in Hd e 4K.
Il digitale terrestre di prima generazione non è durato a lungo e francamente non ha dato grandi prove di sé. E’ stato presentato come la soluzione al problema numero uno del sistema televisivo italiano: il duopolio Rai-Mediaset. Anziché costringere l’uno e l’altro a vendere almeno un canale per far posto ad altri concorrenti, si è deciso di aumentare il numero di canali con il passaggio al digitale, e si è data priorità alla trasmissione terrestre. Mentre in buona parte dei paesi (a cominciare dagli Stati Uniti) si sceglieva il satellite e il cavo, l’Italia seguiva un percorso diverso, la sua terza via, non per ragioni tecnologiche, bensì politiche. Il risultato? I canali sono aumentati, ma sia Mediaset sia la Rai hanno hanno esteso la loro presenza, il duopolio si è riprodotto sia pure su scala più ampia. Il resto è poco o nulla, trasmissioni sostanzialmente marginali, di nicchia o canali locali. Doveva arrivare la tv personalizzata, il potere doveva passare al telespettatore che brandendo il telecomando come un’arma avrebbe scelto quel che più si adattava ai propri desideri o ai propri bisogni. Ebbene il risultato è stato, come nella canzone di Bruce Springsteen (“57 channels and nothing on”), tanti canali e niente di nuovo dentro. Ci sono eccezioni, naturalmente, ma non hanno cambiato la regola. Quel sistema non ha rispettato le promesse né ha soddisfatto le aspettative degli utenti. La pubblicità è rimasta arbitra e regina, non i telespettatori. L’idea di aumentare la concorrenza favorendo lo sviluppo di più piattaforme, è diventata una nuova imposizione dall’alto. Tutto questo finirà con il nuovo switch off?
Il passaggio si colloca in realtà all’interno di un panorama completamente diverso rispetto a dieci anni fa. Diverso tecnologicamente, ma anche sul piano dei contenuti e degli attori che occupano oggi il mercato dell’intrattenimento e della comunicazione. Tutti sono coinvolti, i produttori e distributori di contenuti, gli operatori Tlc, gli Over the top, non solo i broadcaster. Con la tecnologia 5G, l’approccio alla rete e alle modalità di fruizione dei contenuti sarà completamente diverso, grazie all’internet delle cose, all’intelligenza artificiale e all’evoluzione degli apparecchi personali, device “intelligenti” che possono entrare in sintonia con le esigenze individuali, ascoltandone i comandi vocali, navigando nel web e alternando più piattaforme di contenuti diversi. Il cambiamento di paradigma televisivo è accelerato dal successo di Netflix: programmi on demand pagati in anticipo con un abbonamento e niente pubblicità, tagliando fuori l’advertising che invece è signore e padrone della tv tradizionale.
Le nuove generazioni guardano sempre più la tv sui loro computer portatili, sugli iPad, sugli smartphone, perché spendere altri soldi per comprare un nuovo ingombrante apparecchio televisivo? In un paese dove il gap digitale è ancora ampio, dove l’accesso a internet è nettamente inferiore a quello medio europeo, dove esiste un’ampia fascia di popolazione anziana che ha difficoltà ad accedere o a navigare, la questione si pone in modo meno drastico rispetto ai paesi dell’Europa del nord, dell’Asia, del Nord America dove la tv in streaming sta diventando la nuova frontiera. Ma in ogni caso non c’è il rischio di gettare denari dei contribuenti ai quali viene già imposta una tassa sul televisore, per incentivare un qualcosa che già fa parte del passato? Insomma, ancora una volta attraversiamo la sindrome dell’ultimo vagone. In realtà l’apparecchio televisivo non è destinato a scomparire, semmai cambia funzione. C’è naturalmente l’impatto della qualità: un film, ma ancor più un evento sportivo o una trasmissione in diretta appare sul grande schermo ad alta, anzi altissima definizione, in modo totalmente diverso. E poi il vecchio televisore oggi ultrapiatto e avveniristico, diventa un supporto polivalente collegando internet a banda ultra larga, trasmissione televisiva, gestione persino delle attività domestiche. I tecnologi ne fanno addirittura il centro della cosiddetta casa intelligente.
Il governo ha messo a disposizione incentivi per 151 milioni di euro che non saranno versati direttamente agli utenti, ma ai venditori
Futurologia fantascientifica? In Italia sì, perché scontiamo di nuovo un’arretratezza che si è fatta ormai endemica, tanto forte è stata e resta la resistenza al cambiamento. Basti pensare che il 5G sta muovendo solo adesso i primi passi. Ma non è così altrove. L’Asia in questo momento è il fulcro dell’avvenire per le telecomunicazioni. Da marzo a Singapore è disponibile sul mercato il nuovo modello Samsung Qled8K Q900R, dotato di un chip integrato che utilizza l’intelligenza artificiale per convertire i contenuti esistenti da 4K (quattromila pixel) in risoluzione 8K (ottomila pixel). Questi televisori sono provvisti anche di Bixby, il voice assistant di Samsung che consente di emettere comandi vocali oppure commenti generali. Il punto critico è che la risoluzione a 8K richiede schermi molto grandi, e finora non esistono contenuti adeguati. Insomma il rischio è che l’offerta sia andata più avanti della domanda. In Corea del Sud, dopo il lancio da parte del governo dei servizi commerciali 5G, lo scorso 5 aprile, la compagnia Tlc SK Telecom sta promuovendo una serie di offerte: per esempio ha aggiunto al suo servizio video, Oksusu, una sezione 5GX con tre tipi di contenuti ottimizzati 5G: VR, UHD e 5G Max. Anche in India le nuove tecnologie cambiano il modo di fruire i contenuti audiovisivi.
Per questo la Trai, entro la fine del 2019, prevede di introdurre nuovi set top box che consentiranno ai clienti di cambiare operatore e nuove norme che permetteranno di scegliere se pagare una tariffa più bassa per un pacchetto di rete, oppure una più alta per accedere singolarmente ai canali preferiti. Negli Stati Uniti è più che mai aperta la battaglia tra fruizione tradizionale della tv, il cui campione è Steven Spielberg, e il modello Netflix. E’ uno scontro che coinvolge persino l’assegnazione degli Oscar. “Dimenticate Netflix: il futuro della televisione è più televisione”, ha scritto Wired. Ma di questo, così come del valore di un modello aperto, realmente concorrenziale, parleremo in un prossimo articolo. Le nuove tecnologie consentono di realizzare quella convergenza della quale si parla da anni, ma che finora è rimasta solo un progetto. Stiamo attenti che in Italia non si ripeta l’errore della tv a colori.
Politicamente corretto e panettone