Non aprite quella tivù
Se la rissa Sgarbi-Mughini vi sembra la schifezza peggiore prodotta dalla televisione, è perché non avete visto il servizio dopo. Là fuori è peggio
Non aprite quella finestra. Perché là fuori è peggio. C’è questo film horror, perdonerete se non ricordiamo né il titolo né il regista, non è nemmeno un gran film del resto. Comunque c’è uno scrittore di libri splatter che va fortissimo, anche più di uno Scurati, la gente si ammazza letteralmente fuori dalla libreria facendo la coda, ma poi chi legge diventa un zombie o demonio e finisce a schifìo: la fantasia, più che superare la realtà, se l’è maciullata. Il protagonista alla fine sfonda una finestra, esce fuori, si ritrova in strada e dice, per un attimo: pfui, era solo un incubo. Ma per un attimo, poi si accorge che quella robaccia inventata dalla fiction è diventata il mondo vero. E allora non aprite quella finestra, la finestra sul mondo che una volta era la televisione, perché l’orrore là fuori, sulla piazza e tra la ggente, è peggio che dentro lo schermo. Tutto questo per spiegare lo sgomento, ma anche le grasse risate (sì, noi ciniconi delle élite sappiamo ancora sospendere il giudizio di irrealtà) provocato mercoledì sulla rete splatter del Biscione, Rete4, dal programma splatter Stasera Italia condotto da Giuseppe Brindisi. Una cosa che passerà alla storia, qualche gradino sotto la rissa delle comari, come “la rissa di Sgarbi e Mughini”. Ma serve una premessa. La cattiva televisione, i talk strillati, il caravanserraglio degli ospiti non sono un accidente anodino, sterile, chiuso in una provetta di vetro. Generano mostri, là fuori. I mostri generati poi diventano la politica, i politici come li conosciamo adesso. Sappiamo anche di chi è la colpa, ma non lo diremo.
E dunque. Ci sono Vittorio Sgarbi e Giampiero Mughini, siciliano fumantino la sua parte, ma per solito barocco e paradossale, insomma in self control. Il tema, vagamente, è il Russiagate di Salvini. Mughini pone un’affermazione piana, persino neutra: “C’è un’indagine che è stata aperta”. Ma non ha il tempo. Sgarbi non fa nemmeno più finta di dover carburare per sbroccare, oramai sembra la caricatura di Mario Giordano: “Non è un’indagine, è un crimine”. “Questo termine appartiene a te”, risponde Mughini, erroneamente pensando di essere in un qualche salotto intellò, tipo a Tiki Taka. Sgarbi è già in orbita: “Vergona, sono indagini politiche di una magistratura corrotta, CORROTTA, CORROTTA”, (agita il braccio come stesse spiegando un quadro di Bartolomeo della Gatta a delle capre). Mughini: “Non rompere le balle”. Lui: “TESTA DI CAZZO TESTA DI CAZZO TESTA DI CAZZO”. Non puoi insultare Mughini impunemente, quello pure s’accende come un fiammifero. Anche perché non aveva ancora espresso un pensiero. Ma Sgarbi: “Sei una merda. Pagata da Berlusconi per giunta”. Da lì al mughiniano “lo prendo a pedate”, al gesto di alzarsi dalla sedia, e al brandire le sedie, è un attimo. In studio ci sarebbe il conduttore, Brindisi appunto. Sembra un sacrista piombato in un sabba, invoca pace e bene. Manco si sente l’audio.
Pausa. Popcorn. Prima di giungere al gran finale, un’altra annotazione merita. Seduta tra i due ossessi, matronale nel mezzo, c’è Maria Giovanna Maglie. Non proprio una che non sappia cos’è una rissa mediatica. Invece, mentre i due pupi si menano sullo sfondo, è lì, serafica e immobile, anzi col sorriso sulle labbra. E sembra, oddio ora lo dico cosa sembra: sembra Greta, la sua cara Greta, quando fa quel ghigno satanico che sembra dire: vi vedo che siete contenti. Questo è ciò che ha prodotto la tivù, dentro al suo pitale trasparente che abbiamo sempre creduto a tenuta stagna. E invece no, quella roba immonda ha sgocciolato fuori, ha figliato, e si è mangiata il mondo reale.
Perché finisce così, ed è la più illuminante, geniale delle epifanie, una trovata che Duchamp non l’avrebbe trovata. Lo spaurito Brindisi, cincin, per cercare di rimediare, mentre quelli ormai sono alle mani in faccia, dice “per calmare gli animi vediamo un servizio”. Parte il servizio. E il servizio è il faccione di Beppe Grillo, il mostro politico generato dalla tivù, che grida: “Vaffanculo”. Titoli di coda.
Politicamente corretto e panettone