Contrordine compagni
Il Capitano è uscito di scena, si sciolgono le riserve, nuovo governo in vista: la “Rai del cambiamento” entra in una terra di nessuno. Un tourbillon di porte girevoli. Cosa resterà del sovranismo televisivo
Attese, telefonate, incontri, appostamenti alle macchinette del caffè nei corridoi e pranzi in gran riservatezza con l’abbronzatura ancora addosso, da Vanni o nel nuovo scintillante Achilli Caffè, nato dalle ceneri di Settembrini. A Viale Mazzini va in scena il dramma di fine estate della “Rai del cambiamento”. Si entra in una terra di nessuno, ogni giorno è un giorno nuovo. Il Capitano è uscito di scena, le distanze tra Pd e Cinque stelle non sono più insormontabili, cadono i veti, si sciolgono le riserve come i ghiacci in Groenlandia, ritorna ricco e spietato come il conte Giuseppe di Montecristo l’ex premier subito investito “leader maximo” del caos italiano, mentre tutto presagiva un finale di partita da ospite fisso a La7, casomai “avvocato del popolo” a “Forum”. Forse “il ribaltone era pronto da tempo”, come va già ripetendo in tutti i talk-show il Truce senza riuscire a spiegare come mai il primo passa l’abbia fatto lui; o forse, come dice il Poeta, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Chissà. La crisi andata in scena in televisione è stata una parata di maratone Mentana, Sky Tg24 e Giorgino, versione maniche di camicia arrotolate, con inviati anonimi e opinionisti panchinari improvvisamente ascesi alla ribalta nazionale che approfittavano delle ferie dei colleghi più noti e “strutturati” (la crisi d’agosto è “un’opportunità”, diceva Salvini, avendo forse in mente tutti quei giornalisti precari rimasti chiusi nelle redazioni).
Adesso in molti si domandano che ne sarà del sovranismo televisivo, di quei palinsesti progettati con Salvini saldamente al comando del paese ma che ora decolleranno sulla scia di un impensabile, crudele, ritorno vendicativo del Pd. E’ l’ora del riposizionamento del “cambiamento”. Il passo può essere lesto, breve, fulmineo, un détournement a “trecentosettanta gradi”, come predetto a suo tempo dalla grillina Barbara Iezzi a proposito dell’informazione scientifica in Rai.
E’ l’ora del riposizionamento. Una svolta a “trecentosettanta gradi”, come predetto a suo tempo dalla grillina Barbara Iezzi
L’importante è non sbagliare i tempi, come “Report”, per esempio, riconvertitosi al “Sì Tav” un minuto prima della crisi e dopo la puntata del 2013 in cui spiegava in dettaglio il perché e il per come di “un’opera inutile”. Pessimo sincronismo. Quindi che fare? Riposizionarsi subito in vista del governo giallo-rosso o rosso-giallo? Scendere negli scantinati a riprendere i faldoni del piano Verdelli? Optare per un’attesa tattica, restare col Capitano e affidarsi al Sacro Cuore di Maria, oppure arrendersi a viso aperto? La straordinaria accelerazione delle giravolte populiste può trarre ispirazione dal Papeete Beach: “Questa non è una spiaggia schierata politicamente”, dice oggi il direttore artistico Matteo Molina; “se domani volesse venire a trovarci Matteo Renzi, per dire, faremmo salire sul palco anche lui. E comunque, per essere chiari, il 6 giugno è stato a pranzo da noi anche Beppe Grillo”. Tiè.
Nel tourbillon delle porte girevoli di viale Mazzini si immagina freneticamente una Rai Pd-M5s: per esempio un ritorno in pompa magna di Milena Gabanelli, oppure, memori dell’appassionato endorsement per Di Maio, una Orietta Berti al posto del già silurato Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, oppure Chef Rubio a “La prova del cuoco”, oppure un “Kilimangiaro” con Greta Thunberg e Camilla Raznovich, prodotto da Stand By Me per RaiYoyo; un “Ciao Rousseau”, in controprogrammazione con Bonolis, per un venerdì sera finalmente trasgressivo, con Piergiorgio Odifreddi e Gianluigi Paragone come “spalla”, sempre che riesca a pacificarsi con i turbamenti di coscienza (“mi dovrò guardare allo specchio e prendere le mie decisioni”, dice a proposito del nuovo governo in arrivo). Modello supremo di sperimentazione trasversale, plastica e flessibile è “Io e Te”, il programma di Pierluigi Diaco, ieri enfant-prodige e oggi definito forse ingiustamente da qualcuno il nuovo Paolo Limiti dell’èra populista. Diaco non manca mai di iniziare una puntata con venticinque minuti di ringraziamenti ai capi struttura Rai, ma gli va riconosciuto di aver inventato l’ascolto con “rapimento mistico e sensuale” dei brani musicali scelti dall’ospite di turno, con Diaco che chiude gli occhi, sprofonda nella poltrona, reclina il capo, apre le braccia, mima il volo dello spirito, mentre il malcapitato si gela e non sa più dove guardare per l’intera durata della canzone. Il Pd potrà intanto rivendicare “Storia di Nilde”, la fiction sulla vita di Nilde Jotti con Anna Foglietta, “una nostra supereroina”, in onda in autunno; il M5s quella sulla storia dei “Ragazzi dello Zecchino d’Oro”. Serena Dandini ha trovato il titolo giusto per il suo nuovo programma su RaiTre, “Assemblea generale”, show di satira politica tutto al femminile”. Vedremo.
Immaginare: un ritorno in pompa magna di Milena Gabanelli, Chef Rubio a “La prova del cuoco”, un “Kilimangiaro” con Greta Thunberg
Con quel pizzino di punti irrinunciabili in cui faceva bella mostra la “riforma della Rai ispirata al modello Bbc”, Di Maio nel frattempo ha lanciato un messaggio rassicurante. Marcello Foa voleva una Rai “sulla falsariga della Bbc”; Campo Dall’Orto voleva una Rai modello Bbc in chiave media company, “dove è netta la separazione tra politica e televisione”; il disegno di legge per la riforma della Rai presentato nel 2007 è stato fatto “sul modello della Bbc”, e potremmo andare indietro nel tempo, fino a Bernabei e oltre. Quando si vuole lanciare un messaggio distensivo alla “più importante industria culturale del paese” e ai suoi tredicimila dipendenti basta dire “modello Bbc”. In alternativa, picchiare duro sul mantra della “meritocrazia”, un po’ come “l’ipotesi del premier donna”, puntualmente battuta dalle agenzie a ogni crisi di governo nelle fasi di stallo delle consultazioni (avviso ai prossimi riformatori della Rai: la Bbc ha appena sfidato Amazon e Google lanciando “Beep”, l’“assistente vocale” in grado di riconoscere tutti gli accenti britannici; Viale Mazzini dovrà annunciarne almeno ventiquattro, uno per ogni sede regionale della Rai).
Imporre questo o quel giornalista diventa un vessillo di potenza, tracotanza, almeno fino al prossimo giro di valzer del Cda
Eppure era stata un’occupazione della Rai in grande stile, strabordante, affollata, trasparente, come non se ne vedevano da tempo, tanto che alla presentazione dei palinsesti estivi, la direttrice di RaiUno, Teresa De Santis, disse, come si ricorderà, che il suo editore era “Palazzo Chigi” (Bruno Vespa si era spinto fino a “il mio editore è la Dc”, ma c’erano ancora la destra e la sinistra). Qualunque cosa sia stata, il salvinismo lascia dietro di sé una scia televisiva di conduttori, format, rubriche e un Tg2 con rosario e finestre fisse sulla Grande Madre Russia di Putin. “Siamo abituati a usare la parola ‘sovranismo’ a sproposito, pensando sempre alla Lega”, diceva qualche tempo fa il guru del cambiamento catodico Carlo Freccero, “invece a livello televisivo indica che la tv generalista è fortemente identitaria. Il sovranismo è nel dna della tv generalista”. Affermazioni che oggi tornano utili alla causa. Naturalmente i cali e i disturbi e le frane negli ascolti non contano. Per esempio era nel dna della televisione generalista chiamare alla conduzione di “UnoMattina Estate” l’ex direttore di Radio Padania Libera e inviato nelle piazze indignate per “Quinta Colonna”, Roberto Poletti, portato in trionfo quest’estate da Libero con un ampio ritratto in cui si scomodavano persino Terenzio e l’antropologia riflessiva: “Forse è ancora presto per parlare di polettismo come fenomeno, ma di sicuro Roberto Poletti rappresenta un valore aggiunto per l’azienda”, ovvero, “ha dato vita a un genere che si potrebbe definire informational, una sintesi tra information ed emotional, in grado di riferire correttamente i fatti ma anche di immedesimarsi nel vissuto emotivo delle persone, quello che in antropologia si definirebbe osservazione partecipante o testimonianza attiva”; insomma, Poletti ha “quell’approccio che il poeta latino Terenzio sintetizzava nell’espressione humani nihil a me alienum puto, e ‘Unomattina Estate’ non è mera evasione, puro intrattenimento, e neppure solo dibattito impegnato”; roba grossa, casomai vi fosse venuto in mente che era lì perché è l’autore di “Salvini&Salvini. Il Matteo-Pensiero dall’A alla Z”, il primo manuale del leader della Lega.
C’è lo strano caso di Simona Arrigoni, leghista e conduttrice di 7 Gold catapultata improvvisamente a “La vita in diretta” con tanto di rubrica in studio cucita su misura; c’è infine la ben nota affaire Lorella Cuccarini. Il suo “Grand Tour” sovranista alla scoperta della penisola in prima serata è stato un disastro (anche se, con buona pace di Heather Parisi, non è solo colpa sua: provateci voi a fare uno share decente con gli apicoltori transumanti della Val di Non, i matrimoni sardi o la gipsoteca di Possagno). La chiusura anticipata del programma coincise con l’inabissamento di Salvini e dunque grandi metafore, pioggia di allegorie e sincronicità junghiana per gli editorialisti, anche se la Cuccarini era stata già opzionata per la prossima stagione de “La vita in diretta” che condurrà con Alberto Matano. “Ho detto di essere sovranista solo perché amo il mio paese”, ha spiegato in questi giorni la soubrette, in un’interpretazione a maglie molto ampie (à la Freccero) della sua costellazione politica di riferimento. Ma tutto ora è mutevole, intercambiabile, fuggente. Più sfrontata e già calata nei panni della conduttrice di una “striscia di economia” che partirà a settembre, in coda a “UnoMattina”, Monica Setta: “I mercati amano la chiarezza politica che viene solo dal voto popolare”, spiega in un’intervista a Libero, “un governo che è invece frutto di un accordo tra Pd e M5s può crollare a ogni minima cosa”. Riposizionata da tempo la ex del Capitano, Elisa Isoardi, che promette nella prossima stagione de “La Prova del cuoco” uno sconfinamento pedagogico in compagnia del suo cane, Zenit, annunciato come ospite fisso in studio: “Non saremo solo cucina e chiacchiere ma cucina e cultura; senza presunzione intendiamo rieducare il pubblico con la gioia e la passione che ho anche io su questi argomenti”.
Modello supremo di sperimentazione trasversale, plastica e flessibile è “Io e Te”, il programma di Pierluigi Diaco
Ci si potrebbe domandare come mai a ogni ricambio di governo saltino sempre fuori annose controversie su “UnoMattina” o “Linea Verde” o “La Vita in diretta” o “La prova del cuoco”, format trasversalmente contesi da destra a sinistra, come un ministero o un sottosegretariato; format il cui unico motivo di interesse è in effetti proprio il balletto dei loro conduttori, dal momento che esistono (conduttori e programma) solo in funzione della politica di cui sono emanazione esplicita e diretta, ben al di là della semplice ingerenza o committenza editoriale. Imporre questo o quel giornalista diventa un vessillo di potenza, sopruso, tracotanza, un segno visibile della vittoria, almeno fino al prossimo giro di valzer del Cda. E invece nelle altre reti? Come ci si regolerà? L’altro ieri a “Stasera Italia”, versione estiva, andava ancora forte il salvinismo duro e puro delle origini. Nicola Porro e Maria Giovanna Maglie si arrovellano sulla fenomenologia di Giuseppe Conte: “Lo abbiamo tutti sottovalutato”; “non si capisce mai cosa pensa”; “ha ricevuto pure l’endorsement di Bill Gates”, insomma c’era aria di “deep State”, “Giuseppi” sembra già diventato un nuovo Belzebù, il Divo, la Sfinge, la Volpe di Volturara Appula, il Papa Nero. Poi una lunga “intervista esclusiva” senza domande a Salvini (vestito) sul “nuovo governo Monti”, col leader della Lega a ruota libera ma anche visibilmente provato: “Ci sono sei navi Ong in giro per il Mediterraneo”; “ha vinto Renzi”; “intrigo di palazzo!”; “l’inciucio era pronto!”; “si può scappar dal voto oggi ma la resa dei conti arriva”; “sto ricevendo solidarietà da mezzo mondo” (ma non da Trump). Anche lui però sembrava stanco di sentire sempre le stesse cose, sempre un po’ peggio. Poi un guizzo improvviso dell’intervistatore: “Ma insomma come sta Matteo Salvini?” “Ho detto a mia figlia: papà sta combattendo una battaglia per il tuo futuro, perché ho la netta impressione che questo inciucio sia nato a Bruxelles o a Parigi”. Sipario. Tra poco capiremo meglio come si regoleranno conduttori e programmi e reti che per anni hanno costruito pezzo dopo pezzo il trionfo del populismo in salsa sovranista. Vedremo come se la caveranno Formigli, Giordano, Merlino, Berlinguer, Porro, Giletti e tutti gli arcivescovi dei dibattiti sull’accoglienza alle prese con un governo che è già una creatura mitologica – metà élite, metà popolo – e un Matteo Salvini che si sposta nell’inedito ruolo della vittima dei “giochi di palazzo”, senza più felpe della polizia da indossare, pronto per stare “fuori dal coro”, sullo sfondo sempre più avveniristico del nascente partito di Urbano Cairo. Questo sì che sarà “un anno bellissimo”.