La terza puntata di X Factor è una promessa non mantenuta
La sensazione è quella di una carrellata di frammenti di esibizioni che stordiscono lo spettatore, con pochi momenti memorabili. Poco male, le alternative televisive non erano granché
Se l’attesa del piacere è essa stessa il piacere, quella dell’X Factor di ieri ricorda più un appuntamento di Tinder. Una promessa non mantenuta. La terza puntata delle Auditions fatica un po’ a scorrere. La sensazione è quella di una carrellata di frammenti di esibizioni che stordiscono lo spettatore, con pochi momenti memorabili.
Orfani di un personaggio che regali carattere alla serata (hai detto forse Carote?), non resta che darsi al celebre gioco “bevi ogni volta che Sfera dice di un pezzo ‘non la mia tazza di tè’”. Anche perché l’alternativa sulle altre reti è “Un passo dal cielo”, la versione guardacaccia di Don Matteo, ma senza più Terence Hill. I cuori dei telespettatori sono teneri, certe scelte non si perdonano.
Eppure la puntata sembra avere tutte le carte in regola: i giudici scopriranno quale categoria è stata assegnata loro. Per la prima volta, la decisione è affidata ad Alessandro Cattelan. Una scelta coraggiosa, che potrebbe sparigliare le dinamiche del talent, portando i mentori fuori dalla loro comfort zone, regalandoci sorprese interessanti. Encomiabile la dedizione del conduttore, che sigilla e firma le buste segrete meglio di come abbia mai visto fare a qualsiasi presidente di seggio elettorale.
Le esibizioni iniziano con una standing ovation per i Keemosabe, che incantano tutti con “Roma Stasera”, di Motta. La Gang del Bosco (hanno “acchittato una piccola casa nel verde come studio di registrazione”) ha sintonia, tecnica, energia, oltre a delle affascinanti camicie che ricordano i divani del salotto buono di mia nonna. Per inciso, sono divani bellissimi.
Poi arriva Damiano. Se la performance vocale lascia un po’ a desiderare, il suo death drop entra di diritto tra il meglio di questa tredicesima edizione; la leggerezza con cui si sfascia a terra ogni volta gli dovrebbe valere la conduzione di un programma a sè. “Divertente e incredibile – chiosa Mara con eleganza – ma forse per X Factor è un po’ presto”.
Per avere un po’ d’azione si deve aspettare Kobi, con una versione acustica di Hey Ya! degli OutKast. Novello Lorenzo Fragola in camicia a quadri, sfiora il level pro di ruffianeria. “Mi sei sembrato un po’ paravento”, tenta Malika. Il pubblico rumoreggia, e lui passa con tre sì.
Nomi interessanti sono quelli di Beatrice Gilberti, Gabriele Troisi (“Rose Viola” di Ghemon al pianoforte), Maria Sitja e Lorenzo Rinaldi, che accarezza la chitarra in punta di dita; un occhio anche ai La Sierra, che sento già potrebbero diventare un mio guilty pleasure su Spotify.
Menzione d’onore alla torinese Giandujotta, che propone un remix dadaista di Rino Gaetano. Un cuore per Samuel, che, felicissimo, coglie l’occasione per rivangare le sbronze delle notti ai Murazzi.
Premio della critica a Michele Sette – ivoriano cresciuto a Roma – che apre la bocca e diventa Johnny Cash. Già nel mio podio di questa edizione (e dire che Salvini si era appena ripreso da Sanremo), condivide con Sfera gli esordi musicali nel coro della parrocchia. Più swag di Sister Act.
Si arriva a conclusione con l’apertura delle famose buste, ed è qui che tutto si incrina. Più prevedibile di un Casalino a cui hanno rovinato il Ferragosto, arriva il verdetto. A Samuel toccano i gruppi, a Mara gli over, a Sfera le under donne, e a Malika gli under uomini. Avanguardia pura. Unica consolazione, Mara che – vincitrice di diverse edizioni – apostrofa Sfera con “amico, stai sereno”. L’ultima volta che l’abbiamo sentito, è stato divertente. O forse no.
Politicamente corretto e panettone