“L'inchiesta di Report su Salvini ha risvegliato la politica”. Parla Sigfrido Ranucci

Samuele Maccolini

Il presentatore del programma di Rai 3: “Abbiamo messo assieme le trame dei legami tra Salvini e Russia. Ora per i politici è più semplice prendere posizione”. Le anticipazioni della seconda puntata

L’inchiesta di Report sui presunti finanziamenti russi alle Lega di Matteo Salvini – che traccia un quadro del rapporto tra oligarchi putiniani, il mondo pro life americano e internazionale, e il Carroccio, attraverso ingenti scambi di denaro e una connivenza ideologica di conservatorismo radicale –, è diventato un caso politico dopo che nel cda della Rai i consiglieri indicati da Lega e Fratelli d’Italia, Igor De Biasio e Giampaolo Rossi, hanno accusato la trasmissione di aver violato la par condicio in vista delle elezioni in Umbria. “Non mi sorprendo di nulla. L’anno scorso eravamo nell’occhio del ciclone per le inchieste sui vaccini. Report è abituato a essere al centro dei cda”, dice al Foglio il conduttore della trasmissione Sigfrido Ranucci. “In Rai mi sento e mi sono sempre sentito libero. Ritengo che le inchieste vadano giudicate per la loro attendibilità, non per le loro ricadute politiche. Noi abbiamo dato a tutti i personaggi coinvolti la possibilità di ribattere. Abbiamo chiesto più volte a Salvini una replica, ma non ci è stata concessa”.

  

Sono stati molti i politici italiani a esprimere indignazione per l’inchiesta di Report. Paolo Gentiloni, Nicola Zingaretti, Enrico Letta, per citarne alcuni, hanno scritto tweet di sdegno. Il deputato del Pd Emanuele Fiano ha annunciato che presenterà un’interrogazione parlamentare per far luce sui presunti finanziamenti esteri alla lega. Eppure il programma di giornalismo investigativo di Rai 3 ha solo dato delle facce e delle voci a degli scenari che i giornali avevano già ampiamente presentato o immaginato. “Credo che la politica non abbia preso posizione fino a lunedì perché non avevano davanti la storia completa. Devi guardare il mostro in faccia per avere paura. Credo che il valore aggiunto della nostra inchiesta sia stato proprio avere messo insieme dei pezzi di storia che erano ancora staccati l’uno dall’altro. Ora che le cose sono più chiare è più semplice prendere posizione”, dice Ranucci.

 

Ma più che il ritardo della politica, Ranucci avverte quello del quarto potere. “Voglio lanciare un appello alla nostra categoria. Dobbiamo riprendere il nostro ruolo di cani da guardia della democrazia. Sui social network, dove Salvini vince, non c’è abbastanza controllo dell’informazione. Siamo tutti chiusi nelle nostre piccole roccaforti, ma non riusciamo a fare rete. La diversità è solo un bene”.

 

L’immagine di Salvini che traspare dal lavoro di Report è diversa da quella del leader risoluto, domatore di folle. L’ex ministro dell’Interno è inchiodato alla figura di Gianluca Savoini: il presidente dell’associazione LombardiaRussia, conosciuto ai tempi della Padania, ha plasmato negli anni il carattere di Salvini, coinvolgendolo nei suoi legami con l’oligarca Konstantin Malofeev e il filosofo militante Aleksandr Dugin. Eppure a differenza di Malofeev, Salvini non esprime la sua visione politica in maniera chiara. “L’ex vicepremier, come sui social network, formula opinioni istantanee a seconda di cosa gli convenga”, chiosa il conduttore di Report. “Lui sonda molto bene il suo elettorato, come dimostra il sondaggio esclusivo commissionato dalla Lega per testare le tendenze nazifasciste dei suoi elettori che abbiamo mostrato nella nostra inchiesta”.

  

Ma l’inchiesta non si ferma. La fabbrica della paura prosegue lunedì prossimo con elementi inediti. Il focus sarà sulla macchina della propaganda sui social network: “Vi faremo vedere come viene alimentata la fabbrica della paura attraverso i social. Con risvolti inquietanti”. Quali? “Perché politici italiani ripetono le stesse identiche parole di politici statunitensi durante comizi o sui social network? C’è qualcuno che li istruisce a usare una comunicazione intercambiabile? Continueremo a indagare queste stranezze e le metteremo in relazione con l’influenza russa sulle democrazie europee e americane – conclude Ranucci – Ci chiediamo se davvero certi politici non siano dei semplici burattini mossi dalla mano di Mosca”.

Di più su questi argomenti: