Di Maio non vuole Orfeo al Tg3 e la tentata truffa a Foa va in procura
Quando la situazione in Parlamento s’impantana, tutto si ferma pure nella tv di stato
Roma. La notizia sarebbe che almeno una volta le vicende di casa Rai procedessero spedite senza bisogno del timbro della politica. E invece quella notizia anche stavolta non si può dare. Perché la politica, com’è normale che sia finché non ci sarà una riforma sul modello Bbc, a Viale Mazzini fa il bello e il cattivo tempo. E quando la situazione in Parlamento s’impantana, tutto si ferma pure nella tv di stato. Dove l’attuale vertice sembra finito dritto nelle sabbie mobili. Una paralisi frutto, come sempre, di veti incrociati sulle nomine che però riflette una situazione d’impasse più ampia che riguarda i partiti di governo. Pd, M5s, Italia viva e Leu, se sono riusciti a portare a casa la manovra di bilancio, sono fermi però sul resto, a cominciare dalla legge elettorale che ancora non vede nemmeno una bozza di accordo. Ma i dossier caldi sul tavolo di Palazzo Chigi sono diversi: Alitalia, Ilva, il referendum sul taglio dei parlamentari, la commissione banche, l’intervento a favore della Popolare di Bari. Con continue fibrillazioni dovute alla ricerca di visibilità di Renzi ma pure all’azione di disturbo di quei pentastellati che ancora mal digeriscono l’accordo coi dem e rimpiangono Salvini.
Tutto ciò si riverbera su Viale Mazzini. Dove l’amministratore delegato era pronto per partire con un’infornata di nomine che avrebbe dovuto da una parte dare lo start al suo piano industriale (con le 9 nuove direzioni di genere) e dall’altra risolvere questioni che si sono aperte col cambio di maggioranza (le tre reti principali più qualcos’altro). E invece tutto si è fermato, si dice per un veto di Luigi Di Maio alla nomina di Mario Orfeo alla guida del Tg3 al posto di Giuseppina Paterniti, che sarebbe scivolata verso Rainews, mentre Antonio Di Bella era diretto all’approfondimento. Orfeo aveva il merito di mettere d’accordo per una volta Pd e Italia viva, che si ritengono sottorappresentati nei telegiornali. Per Di Maio, però, Orfeo ha il demerito di essere stato il maggior rappresentante della Rai targata Renzi. “Il Tg3 è posto da prima linea, non può andare lì, mettetelo altrove”, l’input arrivato dai 5 Stelle. E quindi tutto si blocca, con addirittura Rita Borioni che giovedì non ha partecipato al cda “per manifestare il profondo disagio di fronte alla situazione di drammatico stallo che coinvolge tutti i settori dell’azienda”, fa sapere. Un cda che non è riuscito nemmeno a nominare Angelo Teodoli alla direzione coordinamento generi perché il suo curriculum è arrivato troppo tardi ai consiglieri. E su cui hanno pesato le parole rilasciate giovedì da Salini a Repubblica. “Io sono un uomo d’azienda, la Rai non può giocare a tetris con la politica”, dice l’ad. Che con il suo sfogo tenta di uscire dall’angolo in cui l’hanno cacciato i partiti, ma cerca pure di spiegare che non è lui il colpevole dello stallo. “I partiti paralizzano l’azienda, la politica resti fuori. Il mio mandato aveva l’esplicito compito di tenere i partiti fuori dalla Rai”, osserva. Ciao core, si dice in questi casi a Roma. I suoi poteri, però, gli consentono di procedere ugualmente. Le nomine corporate, infatti, non passano dal cda.
Su reti e generi, invece, i consiglieri possono esprimere un parere non vincolante: se dicono no, l’ad può andare avanti lo stesso. L’unica nomina vincolata al consiglio sono i direttori dei tg: con 5 voti contrari (due terzi) il nome proposto dall’ad viene bocciato. Insomma, si poteva procedere. “Non l’ho fatto per senso di responsabilità, perché ci tengo a tenere unito un consiglio che oggi vive le stesse divisioni della politica”, sostiene il manager. Parole che non sono piaciute agli altri consiglieri. E in cda il presidente Marcello Foa e Igor De Biasio gliel’hanno fatto notare. “E’ stata un’uscita inopportuna nei contenuti e nelle modalità…”, è stato detto. “Sembrano le parole di un uomo disperato, che non sa più che pesci pigliare”, si vocifera nei corridoi. “Il cda sui nomi si divide sempre, nomine all’unanimità non ci sono mai. Quindi tanto valeva andare avanti. La legge dà a Salini pieni poteri sulle scelte. Un manager deve sapersi imporre e anche rischiare, se necessario…”, fa notare Rita Borioni.
Il cda poi si è interrotto perché Salini e Foa sono dovuti andare in Vigilanza per fornire chiarimenti sulla vicenda del finto Tria e del tentativo di truffa ai danni del presidente. Un’audizione secretata ma che, a detta di molti, “è stata imbarazzante per Foa”. Che sembra ci fosse cascato in pieno. Giovedì qualcuno ha mandato le carte alla procura della Repubblica, perché le versioni di Foa e Salini non coinciderebbero.
Politicamente corretto e panettone