Il Festival più pazzo del mondo
Scandali e follia: Sanremo è sempre Sanremo
Baci proibiti, spalline audaci, disturbatori, esibizionisti. Perfino un uomo che minaccia di buttarsi dalla balaustra. Quello che succede attorno all’Ariston spesso è più interessante della musica. Un campionario per arrivare preparati al 4 febbraio
Pronti, via, neanche il tempo di cominciare e il Sanremo 2020 è già precipitato nel guazzabuglio della polemica. Facile, al tempo della canea da social network. La stura l’ha data in questo caso una frase di Amadeus tacciata di sessismo o di Dio sa cosa. Bazzecole, per la verità. Perché Sanremo è Sanremo, recitava il fortunato jingle degli anni di SuperPippo e del maestro Caruso, e non c’è Sanremo senza incidente, polemica, fuori programma, scivolone, imbarazzo. Tutto fa brodo e tutto fa audience nell’apoteosi del nazional-popolare che il Festival incarna da decenni. La storia della kermesse è costellata da momenti di quel genere, imprevisti più o meno rimasti nella memoria collettiva: incidenti, provocazioni, imbarazzi, persino un’enorme tragedia, il suicidio di Luigi Tenco. Tra baci proibiti, parole scandalose, disturbatori ed esibizionisti, il contorno ha più volte messo in ombra la musica. E’ il Festival, bellezza, e non ci si può fare davvero niente.
Una frase di Amadeus tacciata di sessismo è la prima polemica. Bazzecole, per la verità. La storia del Festival è piena di incidenti
Il più amaro, doloroso e tragico fuori programma legato al Festival di Sanremo resta la scioccante notizia che arriva dalla Città dei Fiori nel corso della gara del 1967. Luigi Tenco, raffinato cantautore della “scuola genovese” partecipa alla gara con il brano “Ciao amore ciao” e arriva al Festival con i migliori auspici. Ma la canzone del cantante ventinovenne non ottiene il successo sperato, non arriva nemmeno alla serata finale, raccogliendo pochissimi voti dalla giuria popolare. Deluso e amareggiato, Tenco dopo l’esibizione fa ritorno al suo albergo, l’Hotel Savoy. La collega Dalida prova a consolarlo, invano. Tenco si toglie la vita sparandosi un colpo alla testa. Lascia un biglietto in cui contesta l’esito della gara. E’ la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967: l’evento sciocca l’Italia e avrà anche uno strascico di inchieste a distanza d’anni che metteranno in discussione alcuni aspetti della vicenda senza però approdare a nuove verità. Per la cronaca, quell’anno al casinò vinse Claudio Villa con “Non pensare a me”, quinta Orietta Berti con “Io tu e le rose”, citata polemicamente da Tenco nel suo biglietto di addio, e tra i primi dieci si piazzarono diversi brani destinati a diventare evergreen come “Quando dico che ti amo”, “L’immensità” e “Cuore matto”.
Fortunatamente, la tragica vicenda di Tenco resta un capitolo a sé. E il lungo elenco di scandali, imprevisti e momenti di imbarazzo che ha costellato la kermesse più amata dagli italiani non ha come nel caso del suicidio del cantautore i contorni della tragedia. Abbiamo scartato alcuni di questi momenti, una decina di fuori programma tra loro molto diversi, ciascuno però in qualche misura entrato nella storia della rassegna canora e non solo di quella. Ne viene fuori un viaggio mica male nel costume dell’Italia. Si parte.
Il Molleggiato di spalle
Celentano prima dà le spalle al pubblico, poi viene bollato come reazionario per una canzone che passa per un inno al crumiraggio
Se c’è un artista che ha sempre saputo far parlare di sé per le sue pose quello è Adriano Celentano. Il cantante italiano che ha venduto più dischi nella storia, nel 1961 ad esempio, fece discutere per aver dato le spalle al pubblico di Sanremo, dove aveva portato “24 mila baci”. Non si fa, Adriano, non sta bene, lamentò l’Italia perbenista dell’epoca. Il Molleggiato, che aveva ottenuto una licenza per partecipare al Festival visto che all’epoca stava facendo il servizio militare, si piazzerà secondo, dietro la coppia Betty Curtis-Luciano Tajoli. Nove anni dopo, un’altra polemica attorno a Celentano. I tempi sono cambiati, è il 1970, e il cantante insieme con la moglie Claudia Mori vince il Festival con “Chi non lavora non fa l’amore”. La canzone non piace ai giovani di sinistra, Celentano viene bollato come reazionario per quello che passa per un inno al crumiraggio. La kermesse del casinò quell’anno fu ricca di successi: dietro ai coniugi Celentano si piazzarono i Ricchi e Poveri e Nicola Di Bari con “La prima cosa bella”, terzi Sergio Endrigo e Iva Zanicchi con “L’arca di Noè”. Ma gli evergreen non si fermarono ai primi tre: quell’anno tra le altre cose furono presentate a Sanremo “Pà diglielo a mà” e “La spada nel cuore”. E a proposito delle tensioni “politiche” dei Settanta attorno a Celentano, va ricordato che l’anno prima il Festival aveva risentito in pieno del clima sessantottino, ed era anche stata organizzata da Dario Fo e Franca Rame una pasticciata manifestazione di protesta, il “Controfestival”, che peraltro era stata criticata da sinistra perché ritenuta troppo chic e salottiera.
Lacrime e mascara
Quando il giovane Bobby Solo, per cantare “Una lacrima sul viso”, si presenta sul palco con gli occhi truccati, si apre lo scandalo
E’ il 1964, la Beatlemania sta per contagiare l’America, la musica leggera si prepara a voltare pagina per sempre. In Italia il cambiamento può attendere ancora qualche anno e la musica nostrana resta ancorata alla tradizione. E non solo la musica. Accade perciò che quando il giovane Bobby Solo, per cantare “Una lacrima sul viso”, si presenta sul palco con gli occhi truccati, il paese non parli d’altro per giorni. Uomini che si truccano, che scandalo. I Sixties irrompono all’improvviso nell’Italia conservatrice, paradossalmente sulle note stramelodiche di una canzone ultratradizionale. Al gossip sul trucco però se ne aggiunge subito un altro, l’immancabile polemica nostrana: Bobby Solo canta in playback per una (c’è qualche maligno che dice finta) raucedine. Si sparli purché si parli, il disco venderà quasi due milioni di copie. “E’ un miracolo d’amore”, e di marketing. Bobby Solo sarà decretato “vincitore morale” della manifestazione. Ma non andrà male nemmeno alla vincitrice ufficiale Gigliola Cinguetti, con “Non ho l’età”, che parteciperà anche per l’Italia all’Eurofestival, stravincendo (l’unico italiano che ci riuscirà dopo di lei sarà Toto Cutugno). “E se domani”, cantata da Fausto Cigliano e Gene Pitney, non entra nemmeno in finale. Poco dopo la incide Mina e diventa un grandioso successo.
Ha detto “sesso”?
L’anno in cui vinsero i Matia Bazar con “E dirsi ciao”, e arrivò seconda la rivelazione Anna Oxa, giovanissima e vestita da punk
I Sessanta lasciano posto ai Settanta, decennio di trasgressione, in cui le vicende della grande musica, all’estero, si intrecciano con la rivoluzione sessuale e con la diffusione delle droghe. Ma l’Italia è sempre l’Italia, un po’ bacchettona e puritana, e Sanremo è l’ideale vetrina del costume nazionale. E così, quando nel 1978 Rino Gaetano, cantautore calabrese arguto, sopra le righe e mai abbastanza rimpianto dopo la sua prematura morte, pronuncia per la prima volta sul palco la parola “sesso” nella sua fortunatissima “Gianna”, si grida allo scandalo. Già, basta un “comincia un mondo, un mondo diverso, ma fatto di sesso” ad accendere le polemiche. E dire che in quel periodo l’Italia, alle prese con gli Anni di Piombo, dovrebbe avere ben altri pensieri per la testa. La canzone, eseguita dal cantautore di Crotone in frac, tuba nera e scarpe da tennis, accompagnandosi con un ukulele, arriverà terza e la performance di Rino Gaetano, accompagnato con ironia dai Pandemonium, sarà acclamata da parte della critica per la sua leggerezza dissacratoria. Qualche fan duro e puro però vide in “Gianna” e nella passerella sanremese una caduta di stile del cantante anticonformista, fino ad allora avvertito come un corpo estraneo allo showbiz commerciale. Quell’anno all’Ariston vinsero i Matia Bazar con “E dirsi ciao”, seconda la rivelazione Anna Oxa, giovanissima e vestita da punk, col gioiellino “Un’emozione da poco”, scritta da Ivano Fossati e Guido Guglielminetti, già bassista di Lucio Battisti. La Oxa in seguito vincerà due edizioni (una in coppia con Fausto Leali) e, a proposito di scandali, farà parlare di sé per un perizoma in bella vista nel 1999, anno del suo trionfo con “Senza pietà”.
Il bacio e “Wojtylaccio”
Fa discutere l’appellativo di Benigni nei confronti di Papa Giovanni Paolo II. Il caso finisce perfino in Parlamento
Sanremo conosce una fase di stanca intorno alla fine degli anni Settanta. Risorgerà in pompa magna solo nel corso degli Ottanta. Che iniziano con un’edizione un po’ così, passata alla storia non per le sue canzoni ma per un bacio. Quello che si scambiano sul palco Roberto Benigni ed Olimpia Carlisi, interrompendo la conduzione (affiancavano Claudio Cecchetto). I due si abbandonano all’effluvio appassionato in diretta: una quarantina di secondi labbra contro labbra per il bacio più lungo nella storia della televisione. Fa discutere, e parecchio, anche il famoso “Wojtylaccio” di Benigni, che così appella Giovanni Paolo II. Il caso finisce anche in Parlamento (negli archivi di Radio Radicale si può ancora ascoltare il dibattito, un affascinante spaccato di storia). In quel 1980, in cui tra gli altri riapparve il desaparecido Gianni Morandi, vinse con “Solo noi” Toto Cutugno – non ci riuscì più – terzo Pupo con “Su di noi”, che sbancò le classifiche.
Gli anni del playback
Nella prima metà degli anni Ottanta, a Sanremo sono gli anni del playback. I cantanti mimano con le labbra le canzoni registrate in studio e trasmesse per l’occasione. Una prassi certo un po’ curiosa per una manifestazione canora, eppure dura per anni. Anche se a qualcuno proprio non va giù. Due sono i più famosi insofferenti del playback, due icone, una della musica nostrana e una di quella internazionale. Il primo è Vasco Rossi, nel 1983. Il rocker di Zocca presenta la mitica “Vita spericolata”, ma al termine della sua esibizione abbandona il palco prima del ritornello conclusivo, lasciando che sia il playback a terminare la canzone. Ancora peggio aveva fatto – non a Sanremo ma al Festivalbar del 1979 – il compianto Rino Gaetano, che rifiutando il playback era salito sul palco e si era acceso una sigaretta, fumando invece di muovere le labbra mimando il canto. L’altra star che manifestò tutta la sua insofferenza alla scelta del playback sanremese non fu un concorrente ma un ospite, cioè Freddie Mercury. I Queen presero parte allo spettacolo nel 1984 con la loro hit “Radio ga-ga”, in un periodo di grazia della loro carriera. Mercury, frontman con pochi pari al mondo, non gradì affatto la regola sanremese, estesa anche agli ospiti, del playback, e nel corso della sua esibizione non si sforzò troppo di far apparire verosimili i movimenti della bocca, tenendo anche lontano il microfono. Per la cronaca, il Festival del 1983 fu vinto da Tiziana Rivale e fu trasmesso anche in Unione Sovietica consacrando come star sempiterna da quelle parti Toto Cutugno, in gara con “L’Italiano” che si piazzò al quarto posto. Vasco finì venticinquesimo. Nel Sanremo 1984, l’anno dell’ospitata dei Queen, trionfarono Albano e Romina Power con “Ci sarà”, davanti a Toto Cutugno e Christian, e tra i giovani vinse lo sbarbato Eros Ramazzotti. Non fu un’edizione facile anche per la protesta dei lavoratori Italsider a rischio licenziamento che chiesero di fermare la kermesse: Baudo ne ospitò alcuni sul palco.
Incinta per finta
Dopo Rino Gaetano, un’altra calabrese fa scalpore al Festival. Loredana Bertè nel 1986 si presenta sul palcoscenico dell’Ariston con un finto pancione, in un abito succinto, accompagnata da due ballerine anch’esse in finta dolce attesa. La spettacolare coreografia è curata da Franco Miseria. L’esibizione dà scandalo. La canzone “Re”, firmata da Mango (autore anche della bella sigla dell’edizione cantata dalla conduttrice Loretta Goggi, “Io nascerò”), alla fine si piazza nona nella classifica stilata in base ai voti espressi con il Totip (che per gli eventuali lettori giovanissimi era un concorso a premi sulle corse dei cavalli). Un risultato non male, ma dopo lo scandalo e le polemiche l’etichetta discografica Cbs darà il ben servito alla cantante. Il lato B del 45 giri, sempre a firma Mango, è “Fotografando”, con cui la Bertè viene premiata a “Vota la voce”. Quell’anno a Sanremo vince Eros Ramazzotti davanti a Renzo Arbore e al suo clarinetto e a Marcella Bella. Ultimissimi gli Stadio, penultimo Zucchero. Ma il tempo per entrambi è galantuomo.
La spallina galeotta
L’incidente sanremese più hot si ha nel 1987. Tra gli ospiti internazionali del Festival – siamo nell’èra di Pippo Baudo – ci sono gli Eighth Wonder, l’ottava meraviglia, gruppo inglese la cui cantante, Patsy Kensit, fa impazzire i teenager più per la sua avvenenza che per le sue doti canore. La bionda e bellissima Patsy si presenta al Teatro Ariston con un abitino leopardato. Ma nel bel mezzo della sua esibizione una spallina cede e lascia intravedere un seno per qualche secondo. Resterà quello il momento più famoso di quell’edizione del Festival, che pure vede la partecipazioni di ospiti internazionali di grandissimo prestigio, da Paul Simon ai Duran Duran fino a Whitney Houston, che strega tutti con un’interpretazione da brivido di “All at once” (concede pure il bis a grande richiesta). Durante l’ultima serata Pippo Baudo interrompe la gara per dare notizia della morte di Claudio Villa, spirato in ospedale a Padova. Vincono Umberto Tozzi, Enrico Ruggeri e Gianni Morandi con “Si può dare di più” davanti all’eterno secondo di quegli anni, Toto Cutugno, che come autore firma ben quattro canzoni classificatesi tra le prime sette.
Papere e querele
Nel 1989 i quattro “figli di” si ritrovarono a condurre la manifestazione canora inanellando una papera dopo l’altra
Gli intermezzi comici del sopra citato Sanremo 1986 sono affidati al Trio, che tornerà a Sanremo l’anno dopo e nel 1989, l’anno dell’infelice e impacciatissima conduzione dei quattro “figli di”. Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi dovevano affiancare Renato Pozzetto nel primo Festival dell’èra Aragozzini. Ma il comico milanese diede forfait e i quattro ragazzotti dagli illustri genitori si ritrovarono a condurre la manifestazione inanellando una papera dopo l’altra. Agli scivoloni verbali della gaffe dei presentatori, si aggiunge quello vero e proprio di Jovanotti sui fiori (anni dopo, nel 2007, cadrà a Sanremo anche Michelle Hunziker, capita). Quanto al Trio, in questa terza apparizione, Solenghi, Marchesini e Lopez susciteranno le critiche indignate del mondo cattolico per il famoso sketch su San Remo tacciato di blasfemia (chi scrive ricorda ancora l’indignazione della sua insegnante di religione, una mite suora scandalizzata in particolare dal gioco di parole “liturgico” su Christian). Ma il vero mattatore di quell’edizione fu Beppe Grillo con un memorabile monologo di fuoco (in cui, tra le altre cose, se la prese col Festival stesso) che costerà al comico genovese, non ancora capopopolo, un po’ di querele. Per la cronaca, vinsero la gara i favoritissimi Anna Oxa e Fausto Leali davanti al solito Cutugno e ad Al Bano e Romina. Solo nona Mia Martini con la sublime “Almeno tu nell’universo”, firmata da due assi come Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, che però ricevette il premio della critica.
“Pippo, mi butto!”
Il Sanremo del 1995 è tra i più visti di sempre, ma il momento che resta nella memoria collettiva è quello della minaccia di suicidio
Siamo a metà dei Novanta, un quarto di secolo fa: Pippo Baudo impera, con la bionda e con la nera, nella fattispecie le splendide Anna Falchi e Claudia Koll. Lo share di quel Sanremo 1995 è altissimo, è uno dei Festival più seguiti di sempre. Ma il momento che resta nella memoria collettiva è quello della minaccia di suicidio dalla balaustra dell’Ariston. Un uomo, Pino Pagano, si arrampica lassù e minaccia di buttarsi di sotto. Lo psicodramma si consuma in diretta tv. Pippo Baudo comincia a parlare con l’aspirante suicida, monta anche lui sulla balaustra, lo abbraccia, lo bacia e tra gli applausi di un Ariston che viene quasi giù lo convince a più miti consigli. Anni dopo, Pagano dirà che si trattò di una messinscena. Solo tre anni prima, un altro festival di Baudo aveva avuto un altro fuori programma, quando nel corso della prima serata Mario Appignani - meglio conosciuto con lo pseudonimo di Cavallo pazzo, noto “disturbatore seriale” di eventi vari – aveva fatto irruzione sul palco gridando: “Questo Festival è truccato e lo vince Fausto Leali!”. Lo portarono via di peso e alla fine, per la cronaca, il Festival lo vinse invece Luca Barbarossa con “Portami a Ballare” davanti a Mia Martini e Paolo Vallesi. Nell’anno del minacciato suicidio, invece, trionfò Giorgia con “Come saprei”, davanti al duo Gianni Morandi-Barbara Cola e a Ivana Spagna. Solo quarto Andrea Bocelli con l’operistica “Con te partirò” che da lì a breve sarebbe diventata un successo planetario.
Anche gli orchestrali si incazzano
Il 2010 fu l’anno in cui volarono gli spartiti. Dieci anni fa, il Festival va in scena dal Teatro Ariston dal 16 al 20 febbraio, affidato alle cure di Antonella Clerici. E una volta tanto, sono i compassati musicisti dell’orchestra sanremese a far parlare di sé. Accade, infatti, che nella serata finale, l’orchestra di Sanremo, per la prima volta nella storia del festival, protesti per il risultato della competizione. Quando l’inedito trio composto da Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici si aggiudica un clamoroso secondo posto con “Italia amore mio”, l’orchestra inscena una protesta lanciando in aria gli spartiti. Pare che gli orchestrali avessero in particolare apprezzato il brano di Malika Ayane, che fu poi quello che ebbe più passaggi in radio. Il decennio si chiuse così con clamore, così come si era aperto per la kermesse. Nel 2001, infatti, il Festival presentato da Raffaella Carrà aveva avuto i suoi momenti trasgressivi, sia per le battute un po’ spinte di Massimo Ceccherini (sul palco c’era Megan Gale, chi l’ha dimenticata?) sia quando Brian Molko dei Placebo aveva spaccato la sua chitarra contro un amplificatore con stile molto poco sanremese. Erano volati fischi e insulti dal pubblico. Poi la kermesse era tornata su binari più consoni alla tradizione, con la vittoria di Elisa tra i big (con la sua prima canzone in italiano) e dei teenager Gazosa (della scuderia di Caterina Caselli) tra i giovani. Questi ultimi, prima di sfornare la loro hit estiva “www mi piaci tu”, misero in riga, tra gli altri, un certo Francesco Renga. Cose che capitano a Sanremo.
Politicamente corretto e panettone