Sanremo, dateci le rose
La conferenza stampa del Festival ha promesso male, sarà una kermesse impegnata
Anche noi passoavantiste paghiamo il canone Rai e lo facciamo con piacere, con quel brivido felino che arrecano le azioni consensuali, avendo noi stipendi adeguati al merito nostro e al demerito maschile, e pertanto ci sentiamo in diritto di chiedere all’azienda di provvedere a un banqueting più dignitoso per Sanremo. Lì dove un tempo era tutto un mazzolin di fiori di riviera, cioè il tavolo della conferenza stampa del festival, martedì c’erano soltanto sterpaglie, qualche bocciolo spompato, molte buone intenzioni, forse troppe. Siamo passoavantiste e quindi signore, per noi la guerra è finita, vogliamo il bello il futile e lo spreco, grazie. Ci procuriamo il pane, ma dateci le rose. Se non le avete ve le spediamo noi, facciamo partire dei container dal grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano fatture, tanto alla fine, gira che ti rigira, dobbiamo sempre fare tutto noi. Rula Jebreal ha detto che devolverà metà del suo cachet (ma forse sarebbe meglio dire compenso, ché cachet fa avanspettacolo, la settima arte del machismo) a Nadia Murad, attivista yazida. E che le mancherà Michelle Obama (anche a noi, magari ci avrebbe dato due dritte su come non far morire il basilico – riflesso patriarcale, scusate).
Ha pure raccontato che quando ad Amadeus ha detto che avrebbe portato sul palco un discorso sulla violenza contro le donne – “tema apartitico” – lui ha espresso consenso entusiasta (e noi e voi a dargli del maschilista retrogrado per settimane, ma poverino, compagno e padre padrone esemplare quale è – “Le canzoni del festival sono tutte figlie mie”, “quando Sergio Cammariere canta ‘Tutto quello che un uomo’, chiamo Giovanna e gliela faccio ascoltare”, ha detto a Tv Sorrisi e Canzoni e per cortesia non prendete esempio, non chiamate, non citofonate, lasciateci sole, lasciateci in pace, lasciateci cantare). Noi passoavantiste non abbiamo bisogno di tv rieducativa e quindi soffriamo e soffriremo molto questo festival che ha rovinato tutti i piani di disimpegno che avevamo, come ogni anno, quando per cinque giorni scioperiamo dal cervello, da “Otto e mezzo”, dal tetto di cristallo, dal telecomando, da tutto quello che Anna Oxa non avrebbe cantato mai. E poi mai. E poi mai.