Maschi che a Sanremo fanno un passo indietro verso il catfight
La scissione tra Bugo e Morgan è la sintesi di tutte le canzoni del festival: lascia che il tuo io sbrodoli
“L’io, questo palo”, scrisse Gadda.
Era il Novecento, l’egomania era di là da venire, o forse era un bebè, ed era difficile, persino impossibile, immaginare che sarebbe diventata il muro che è oggi e che siccome non ci fa vedere che noi stessi ci illude che siamo incredibilmente interessanti, e che quello che vediamo e sentiamo noi sia tutto ciò che c’è da vedere e sentire in assoluto, e così ci isoliamo dagli altri, ai quali non resta che venire a sbatterci contro, oppure dileguarsi. Questo ha fatto ieri Bugo, quando Morgan ha cominciato a far cantare il suo muro, stravolgendo “Sincero”, la canzone con cui hanno gareggiato insieme fino a quel momento, e che è pure molto bella. S’è dileguato.
Morgan è salito sul palco con il suo gigantesco, ingombrante muro, e Bugo è andato via, lo ha lasciato solo sul palco e non è più tornato. La musica è finita e gli amici se ne sono andati.
Scissione. Pure a Sanremo. Li ricorderemo come gli anni in cui le relazioni diventavano insostenibili all’improvviso, così insostenibili che reciderle e liberarcene era talmente insopprimibile che i tempi del divorzio breve ci risultavano biblici e allora sceglievamo la scissione.
Lo sapete, ma ricapitoliamo per chi non lo sapesse, avendo ieri osato addormentarsi soltanto all’una (vergogna, ma che patrioti siete?): Morgan ha iniziato a cantare il pezzo stravolgendone il testo e infilandoci dentro versi improvvisati e insultanti, probabilmente per dire a Bugo che era merito suo e soltanto suo se erano lì, e altri vaneggiamenti da padre padrone tossico, e quell’altro, signore, ha abbandonato il palco. Squalificati tutti e due. Giustamente. Scissione all’italiana, con cascame di stupende reazioni su Twitter, tra i superstiti della diretta (Oscar per il miglior live tweeting a Filippo Sensi e Fabio Vassallo, che hanno scritto entrambi: “Musica e Bugo scompare”). Vedete, a volte è necessario far così. Si deve voltare le spalle all’egomane, anziché stare a domandargli di contenersi, placarsi, ascoltarci, fermarsi. Bisogna abbandonarlo e basta, all’improvviso, pagando la ritirata come Bugo ha pagato il suo facendosi squalificare da un festival che s’è sudato (e per il quale ha scritto una delle migliori canzoni in gara, come da tradizione rifilata agli ultimi posti della classifica perché vuoi mettere con Gabbani e i Pinguini Tattici Nucleari, che stanno bene su tutto e s’ascoltano sempre che è un piacere, pure quando fai gli squat). La scena madre di tutto il festival è stata questo duello tra maschi, altro che Fiorello che bacia Tiziano Ferro e si scusa con suo marito e quando quello arrossisce lui dice “c’è del bacismo” (e così in un colpo solo fa un grande servizio di rappresentazione/normalizzazione del matrimonio omosessuale e placa i fessi che ieri hanno sul serio creduto che lui e Ferro avessero litigato – sempre per quelli che dormono o non guardano il festival con attenzione perché hanno un dottorato: ieri pomeriggio a un certo punto è circolata la voce che Fiorello si fosse offeso per la battuta di Ferro sull’eccessiva durata del festival, e avesse minacciato di non continuare; era un gioco concluso con selfie dei due che s’abbracciano e un fatevela ‘na risata in dida).
Gli uomini non cambiano e infatti si divertono sempre nello stesso modo, facendosi del male, e chissà che guai saranno adesso che completeremo l’operazione di detox della mascolinità e li convinceremo a buttar fuori angosce, paure, crisi, emozioni, tutto. Chissà se diventeranno tutti uomini che cambiano. E se impareranno la preziosa arte della passivo aggressività. Se saranno ricattatori o sinceri. Furbi o ipocriti. Melensi o presenti. E chissà come diventeranno le città di giorno, quando le notti smetteranno di contenere uomini che piangono perché avranno imparato anche loro l’ostensione della sofferenza – “Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono che niente, non è niente, solo un sogno triste” (Martin Amis, “L’Informazione”, il più bel libro sull’amicizia tra due maschi, sul fallimento, sull’ingiustizia, sul successo).
Morgan ha sbrodolato, ha fatto quello che la maggior parte delle canzoni del festival invitano a fare e cioè lasciarsi andare, sfrenare l’io, comportarsi come se la propria libertà fosse la sola cosa che conta e che merita un microfono, e Bugo non ha fatto un passo indietro, ma un passo laterale. Maestro.
A proposito di passi indietro, finalmente ieri abbiamo avuto il piacere di vedere all’opera Francesca Sofia Novello, la valletta della discordia, quella della quale Amadeus aveva elogiato la bellezza e la virtù del passo indietro. E siccome noi siamo femmine e passoavantiste ci possiamo permettere di rilevare che, nello specifico caso, la ragazza nient’altro che la valletta bambolina ha mostrato di saper fare (e se non ce lo possiamo permettere pazienza, ci esponiamo volentieri al crucifige). Bisogna indignarsi e combattere e brigare per tutti, per tutte, per le compagne che sbagliano e per quelle alle quali se un conduttore dà della bamboline non frega assolutamente niente. Ma ne siamo sicure? Quante volte avete litigato, a cena, con il fidanzato della vostra amica perché alle domande che voi facevate a lei rispondeva lui? E quante di quelle volte lei vi ha ringraziate e quante altre, invece, vi ha guardate con compassione, con gli occhi che vi dicevano “povera sciocca, ma cosa vuoi che me ne freghi se questo qua fa il prepotente, ma fallo giocare, faglieli tirar fuori qui gli attributi ché io a casa glieli faccio lasciare fuori dalla porta, non metterti in mezzo, non capisci che questa tua scenetta pseudo femminista è la ragione per cui io sono accoppiata e tu no, io rispetto te ma tu rispetta me, a me di conversare non frega niente, fai parlare il maschio, ché così io posso pensare alla lista delle cose da fare domani, stai buona, su, non prendertela per me, io me la vedo da sola”?
Ma siccome l’io è un palo, non lasceremo che certi episodi biografici ci facciano ricredere sulla nobiltà della lotta contro Amadeus e il patriarcato indotto e il sessismo inconsapevole alla quale ci siamo recate per settimane per difendere una ragazza che di certo ieri sera non si è resa conto di essere infelice, soggiogata, svalutata eccetera eccetera. Meno male che ci siamo qui noi a renderci conto di tutto al posto suo. Di tutto, ma proprio tutto, compreso quello che tutti hanno pensato ma nessuno ha osato dire: la descrizione che di lei ha fatto l’Amadeus della vergogna qualcosa di vero la diceva.
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