L’ha detto anche Elio Germano premiato a Berlino col suo film “non omologato”: l’unico antidoto alla paura è la cultura. E la cultura in questi giorni ci ha in effetti dato tanto. Con l’epidemia globale si sfodera il gran repertorio del “pensiero critico”, della riflessione civile, letteraria, anticapitalista, accusatoria. Tanto più adesso che siamo in guerra col virus dell’agiatezza, del ceto medio, del benessere; un’epidemia non più cinese, esotica e lontana, che si accanisce invece sulla produttività lombardoveneta, nemesi perfetta e formidabile per l’intellettuale antifascista, difensore dei “diritti umani”, solo se gli umani sono “gli ultimi”. Per evitare le solite osservazioni sul collasso dell’economia, del turismo e del pil, il pensiero critico punta l’indice contro gli italiani. Era ora! Finalmente capiranno cosa vuol dire essere razzisti e discriminati e migranti, alé, champagne, ben gli sta (“c’è un’epidemia in Congo e noi ci preoccupiamo del coronavirus”, diceva già Saviano da Fazio, quando ancora si facevano gli appelli con gli involtini primavera).
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