La Rai trasformi Rai1 in una specie di ‘Telescuola' dell'emergenza”, dice Aldo Grasso
Secondo il critico televisivo l'emittente pubblica dovrebbe dedicare un canale all’esigenza di dare continuità al processo di insegnamento-apprendimento, pur di non far sentire solo nessuno studente
Roma. I giorni della reclusione, il crescendo di restrizioni e di corrispettiva ansia, le giornate di chi non lavora (bambini, adolescenti, pensionati, persone che lavorare non possono) che diventano infinite. La televisione finora ha scandito l’esplodere della crisi, con le dirette dai luoghi delle prime zone rosse e con i bollettini su contagiati e deceduti. Ma, man mano che la consapevolezza della gravità della situazione nel paese cresce, e che il mondo di prima assume i colori del paradiso perduto, anche la televisione deve adeguarsi. Ma come? Il critico tv ed editorialista del Corriere della Sera Aldo Grasso lancia un’idea: “La Rai dovrebbe prendere uno dei suoi canali, e io dico Rai1, e usarlo come fosse ‘Telescuola’, l’esperimento fatto nel 1958: la televisione italiana trasmetteva, in aule virtuali ricreate, un vero corso che copriva l’intero anno scolastico per i residenti delle zone sprovviste di istituti. E c’era una disciplina, un orario, c’erano dei compiti”.
Oggi si stanno attivando in molte scuole le piattaforme on-line per l’insegnamento a distanza, ma le difficoltà sono tante. “La lezione on-line”, dice Grasso, “funziona sicuramente per le scuole superiori e le università. Ma per le elementari e medie è più difficile, considerato anche il fatto che ci sono ancora molte famiglie che non hanno un computer a casa – senza contare quelle in cui il genitore in smartworking usa magari l’unico computer. Non bisognerebbe lasciare bambini e ragazzi in una lunga vacanza forzata, nel disorientamento”. Qualcosa è stato fatto: “Raicultura e Raistoria”, dice Grasso, “hanno cercato di adeguare i programmi all’emergenza, su impulso e buona volontà di alcuni dirigenti Rai, ma la Rai dovrebbe dare un segnale in più, si deve ricordare di essere servizio pubblico non soltanto stravolgendo i palinsesti ma dedicando appunto un canale all’esigenza di dare continuità al processo di insegnamento-apprendimento, e di non far sentire solo nessuno studente”. Ricorda poi Aldo Grasso che nel 1951, durante l’alluvione del Polesine, la radio, che era allora ancora l’unico mezzo di informazione di massa, si era messa a completa disposizione della gestione dell’emergenza, e che nel 1968, dopo il terremoto nel Belice, la tv aveva coordinato i servizi di soccorso.
E oggi? “Oggi, in una situazione di gravità spaventosa, la televisione pubblica ha il dovere di essere anche davvero ‘di servizio’. Senza moralismi, dico che ora alcuni programmi in mano a persone che fino a ieri si occupavano di gossip forse dovrebbero lasciare il passo a un’assunzione di responsabilità. La Rai, mentre il paese lotta contro il contagio, dovrebbe farsi ‘altra’ dal web, luogo virtuale dove, pur nella indubbia utilità della connessione globale, si assiste anche in questi giorni a scene di pura ipertrofia dell’ego. Ora c’è bisogno di comunità, al telegiornale in questi giorni forse non abbiamo necessità di sentire che le decisioni non vengono prese perché si aspetta che cosa ne pensi Matteo Salvini e che le decisioni vengono contestate al governo da chi ritiene che potrebbe esserci un governo migliore. In questo momento è inutile fare polemica. In questo momento la televisione deve contribuire a informare senza inseguire e alimentare l’ansia, senza rimpalli tra opinionisti, non sempre competenti”. Non si tratta tanto di evitare i film angoscianti e distopici, dice Grasso, “quanto di fare, come tv pubblica, il vero salto di qualità. E per questo ripeto: la Rai prenda Rai1 e la trasformi in rete di servizio nei giorni duri dell’emergenza virus”.
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