Eterni Simpson
Che strano guardare i “gialli” di Matt Groening su Disney+. Il vecchio Walt non li avrebbe tollerati
Fa strano guardare “I Simpson” su Disney+, i disegni animati del vecchio Walt erano all’opposto. Il fondatore della ditta aveva una sua vena di follia, che gli suggerì l’insuccesso commerciale di “Fantasia”, ovvero la fiera del kitsch: brani classici illustrati, con Leopold Stokowski sul podio e Topolino che gli tirava la giacca del frac. Ma i disegni erano accurati, e le storie finivano sempre bene (Bambi superava il trauma della mamma ammazzata dai cacciatori, chissà cosa succederà nella minacciata versione “live action”, nell’èra della suscettibilità genitoriale).
“I Simpson” di Matt Groening sono disegnati così così (le prime stagioni anche peggio delle ultime). Personaggi appena sbozzati dalla psicologia elementare, per di più gialli, non proprio un colore che ben dispone. Erano in portafoglio alla Fox, acquisita dalla Disney nel maggio del 2019. Nello splendore delle loro trenta stagioni, ora si fanno ammirare sulla piattaforma della casa madre. Nella loro lingua, evitando i delitti perpetrati dai “doppiatori che il mondo ci invidia” – costretti, poveretti loro, a regalare un pesante accento sardo a un giardiniere scozzese con barba e capelli rossi, a volte pure il kilt.
Personaggi secondari a parte – ha passato i suoi guai anche Apu, cognome Nahasapeemapetilon, l’indiano proprietario della bottega, scuro di pelle e sprovvisto di pronuncia oxfordiana – la formazione rimane invariata. Non invecchia mai perché siamo in una sitcom (sta per situation comedy: sono sempre loro e sempre negli stessi posti). Padre Homer divoratore di ciambelle, figlio Bart che comincia ogni episodio scrivendo cento volte sulla lavagna “non devo ruttare in classe” (o sputare, o menare, o altri comportamenti indegni di un gentiluomo), casalinga disperata Marge, figlia superdotata Lisa, figlia Maggie con il ciuccio in bocca. Nella cittadina di Springfield, che sorge all’ombra di una centrale nucleare.
Siamo andati a fare un controllino, dopo tanto tempo (qui si spaccia soltanto merce garantita e collaudata). Siamo andati a guardare un episodio della prima stagione, e uno della più recente. In mezzo, tanti ricordi. Per esempio la scena con Bart che sputa dalle scale mobili del supermercato e si ritrova in un inferno preso pari pari dalle pitture deliranti di Hieronymus Bosch. O una serie di Speciali Halloween, che rifanno con ammirazione e geniali trovate i classici della letteratura horror. Dal “Corvo” di Edgar Allan Poe (più una bella manciata di racconti) a “La zampa di scimmia” di W. W. Jacobs.
Le circostanze avverse hanno guidato il “play” su “There’s No Disgrace Like Home”, imperdibile per la scena della terapia familiare: prima i manganelli in gommapiuma, poi le scariche elettriche. E sul più recente “Highway to Heaven”. Il Signore lassù, nel divano piazzato sulla nuvola, si lamenta che il paradiso è un mortorio. “Seguo i criteri d’ammissione”, spiega san Pietro (poi, per amor di gag, il club diventerà meno esclusivo). Lo diceva già Mark Twain: “Vorrei andare in paradiso per il clima, all’inferno per la compagnia”.