Nel mondo del coronavirus abbiamo ancora paura dei Diavoli?
Arriva su Sky Atlantic la serie tv prodotta da Sky e Lux Vide tratta dal libro di Guido Maria Brera. Il racconto di quando il nemico invisibile era la finanza
Alcune immagini della serie tv “I Diavoli” (foto Antonello & Montesi)
Roma. Nel mondo di prima (pre coronavirus), la paura e la rabbia si rivolgevano sempre più spesso, nelle piazze, sui giornali, nei talk-show, nei romanzi, contro un nemico considerato per “impalpabile, subdolo, pervasivo”, situato tra banche e finanza, a volte visti come i “poteri forti”, altre come l'inconoscibile che in quanto tale ti può colpire senza che tu lo sappia. Guido Maria Brera anni fa ci aveva scritto un libro (“I diavoli”, ed. Rizzoli), libro che ora è diventato serie tv (“Diavoli”, in onda per la prima volta il 17 aprile alle 21.15 su Sky Atlantic, con Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak, per una produzione Sky e Lux Vide).
Nel mondo di poi, cioè quello di oggi, dove la paura e la rabbia sono improvvisamente rivolte contro l'unico nemico generale dal nome in codice Covid19, i “diavoli” assumono via via le vesti di questo e quello: poteri locali, poteri globali, scienziati, controllori o controllati. E dunque fa uno strano effetto guardare, dal mondo di oggi, il mondo di ieri che è pronto a tornare in prima linea non appena l'emergenza sarà finita: mondo eterno fatto di lotte shakesperiane di potere, odio e amore tra padri, figli, fratelli, amici che tradiscono e amanti che non riescono a mettere la parola fine. E, con la lente del mondo in lockdown di oggi, ci si sorprende a guardare con nostalgia alla Londra brulicante che fa da sfondo a “Diavoli”, bellissima nei quartieri alti come nelle zone dove la vita scorre senza potersi nascondere al tavolo di un ristorante di lusso o dietro ai vetri della grande banca, dove senza preavviso tutto può succedere proprio perché si cerca di tenerlo al di fuori dal cosiddetto “tempio della finanza”.
E invece la vita irrompe la mattina in cui un importante dirigente della banca dove l'italiano Massimo Ruggero (un insolito Borghi in giacca e cravatta), uomo che si è fatto da sé e con l'aiuto del mentore Dominic Morgan (Dempsey), precipita dall'ultimo piano dell'edificio al centro della hall, all'ora di punta. E anche se viene in mente subito il caso Calvi, e il ponte di Blackfriars, la storia qui è un'altra, e lambisce tutti i punti della rabbia e della paura di ieri: le notizie che sfuggono, quelle tenute nascoste, la crisi della Grecia, i “leaks”, gli anarchici, i governi, gli hacker nella nuova guerra tra capitale e lavoro.
Chi è più diavolo, tra il mentore e l'allievo, e chi rinuncia davvero a se stesso? Nel ribaltamento continuo tra buoni e cattivi, tra trader spregiudicati e banchieri pentiti, mentre l'Europa vacillante e l'Fmi dei tempi di Strauss-Kahn diventano elementi non soltanto accessori della vicenda, gli “dei della finanza” sono descritti nell'iperbole della disabitudine alla lealtà, ma anche nell'improvviso insorgere di una diversa morale, sempre inseguiti dal tempo, la risorsa scarsa che li condanna a correre senza più sapere bene dove andare. Quando hai guadagnato tutto, vuoi il potere, dice a Ruggero il capo di un importante hedge found, quando il potere a quel punto non è più neanche all'orizzonte dell'aspirante vice-ceo, ché l'alternativa non è più tra vincere e perdere, e forse anche tra vivere o morire, ma tra il salvare se stessi e la propria memoria e il non sapere neanche più perché si nuota in quel mare da cui tutto era partito quando Dominic Martin, citando David Forster Wallace, raccontava la storia dei due pesci giovani che incontrano il pesce anziano, e quando il pesce anziano parla dell'acqua si chiedono “ma che cos'è l'acqua?”, tanto sono inconsapevoli, e il ceo dice ai suoi che loro invece sì, lo sanno, che cosa è l'acqua, e proprio questo è il loro vantaggio su tutti gli altri, che della finanza impalpabile non percepiscono neanche la presenza.
Politicamente corretto e panettone