X Factor: comincia la novena. La musica ha una ferita aperta
Persino in tv una canzone senza pubblico intorno è una canzone a metà. Comunque, bel tribunale: Emma ed Hell Raton promettono bene. Mika è Mika. Agnelli ha il pizzetto
In fondo, X Factor è una serie TV e dopodomani, quando saremo anziani, la rivedremo, sul Netflix del dopodomani, antologizzata e impreziosita da contenuti extra, per esempio Manuel Agnelli a colazione, e così allora il riassunto dell’edizione precedente, che oggi ci fa imbestialire e intristire, ci sembrerà sensato, forse addirittura utile. Ieri ci è stato ricordato che l’X Factor 2019, quando la vita era più facile e niente si faceva obbligatoriamente previa disinfezione, era stato vinto da Sofia, sedici anni, un verso bello “un aeroplano nella sera, la nazionale sembra una frontiera”, e quell’aria da minorenne per sempre che una trasmissione televisiva italiana premia per dimostrarsi meritocratica, ovverosia giovanecratica. Avevano detto che avrebbe circolato tra le radio in un niente, e sarà che siamo prossimi all’anzianità, ma non ci è parso poi tanto, e infatti l’avevamo dimenticata. Ma è stato un anno bizzarro, e non è ancora finito, e facciamo gli scongiuri, e quindi magari la scalata verso il successo di Sofia è stata inibita dal virus, che ha piazzato nella nostra vita una parentesi che gli autori di X hanno avuto la X per raccontare. Ecco, tra i riassunti delle puntate precedenti quello del Covid fatto a X Factor 2020, forse, se all’anzianità ci arriveremo vivi e pocofacenti, ci piacerà rivederlo. Milanese, asciutto, preciso, certo con quella patina di motivazionale ormai irrinunciabile, ma che cosa possiamo farci, è ormai inespugnabile, ha preso cittadinanza, gliel’ha accordata lo ius internet.
La cosa che non abbiamo smesso di fare, durante il lockdown, è stata cantare e quindi questo programma ha senso ancora, perché è fatto da gente che canta, se pure il mondo è molto cambiato e la musica è ferita, ferita a morte, ferita a vita, ferita e basta, più di tutto, perché la musica senza concerti è l’Europa senza Berlino, la storia senza Napoleone, Guerra e Pace senza la Russia: si può fare, ma fa schifo. “Quest’anno non c’è pubblico, siamo tra di noi”, dice Cattelan in apertura e c’è quell’effetto assurdo di aurora che diventa tramonto, giorno che nasce inscurendosi, come quando finisce Romeo e Giulietta, il principe di Verona urla “Tutti puniti!” e Shakespeare scrive che “un livido silenzio scende su Verona e il sole non osa affacciarsi”. E infatti ci sono soltanto i quattro giudici, Emma Marrone (perfetta, anche se un po’ troppo “attivista sopravvissuta”), Manuel Agnelli (per carità, radetegli quel pizzetto bianco), Mika (che invece di daje dice dage e sembra il solo intenzionato a fare quello che gli pare, dopotutto ha già dimostrato di saper abusare della sua faccia d’angelo e degli inciampi linguistici per apparire innocuo), Hell Raton (ma quant’è bello? Una si scorda pure che si chiama Hell Raton, per quant’è bello, e scusate la cosificazione. Certo, è anche bravo. Viva le seconde generazioni e viva la Sardegna). Gli aspiranti se ne stanno dietro le quinte, la carrellata di freak ci è risparmiata, tutto si è fatto più serio e così le selezioni non assomigliano a una Corrida per millennial, ma comunque qualche scappato di casa s’è visto, non è stato male, e i No riservati non sono stati mai scontati: non sembrano esserci quote intoccabili e forzate, è stata mandata a casa una rapper femminista, ammessa una alla quale Mika ha detto “ricordati che io sarò il tuo stronzo”, rimproverato uno senza identità, rimproverato uno senza identità, rispedite a casa tre sorelle convinte che nessuno avrebbe osato trovarle insignificanti, essendo loro spiritose, per metà marocchine, femmine. E invece. Speriamo che le dichiarazioni di intenti dei giudici non ci vengano somministrate all’inizio di ogni pre puntata, perché di rivedere Agnelli che dice “Sono tornato per farvi impazzire” non ci va – con quel pizzetto poi.
Non s’è visto nessun talento tranne una ragazza coi capelli verdi, gli occhi incredibili, il viso beato e anche angelico, che ha cantato “A case of you” di Joni Mitchell e ha fatto lacrimare tutto il tribunale, che l’ha ammessa con un plebiscito al prossimo step e ha poi discusso il pessimismo di Agnelli che s’è detto arrabbiato perché, “fuori da qui, in questo paese”, per una come lei, non c’è mercato: Hell (possiamo chiamarlo Hell? HR? Boh!) ha controbattuto che la salveranno loro (povero cuore). Mika ha detto alla ragazza coi capelli verdi e la chitarra lieve una cosa assai bella, e molto azzeccata: “qui tutti vengono a dire che sono star, tu invece dici: io sono una fan”. E non era un elogio dell’immodestia, ma del senso dell’ispirazione, che non è possessione misterica, ma tributo, lucido e leale.
Il Covid ha cambiato la nostra vita, facciamo tutto mettendoci in fila, il mondo è diventato un corridoio, e forse meditiamo di più, di certo cospiriamo (nei corridoi questo si faceva, quando c’erano: si cospirava, architettava, preparava la strategia, placava l’anima), e la spontaneità è diventata impossibile, la inibiamo come inibiamo abbracci baci caramelle, però la si ricostruisce a tavolino, in laboratorio, come un giorno faremo con l’acqua, come già facciamo con il rosé. E così vediamo conversazioni fintamente rubate, sugli scalini di Cinecittà, tra Emma Marrone e Cattelan, che sembrano confessarsi e invece elogiano subliminalmente il programma, come nel Truman Show ma con minore enfasi. I provini sono la via Crucis, attendiamo il resto (audition, bootcamp, last call) nell’attesa che si compia la beata speranza ed esca fuori almeno un trittico di talenti puri e si arrivi ai live, il 29 ottobre, senza lockdown addosso. Magari, da come verranno selezionati, capiremo qualcosa in più di come siamo peggiorati.
Politicamente corretto e panettone