La nuova serie su Sky Atlantic
Teen drama, poca trama
Tanti patemi, troppi “sono confuso”. Ma i giovani visti da Guadagnino saranno candidatissimi ai prossimi premi
Chioggia High School. Speriamo siano già state stampate le magliette, non soltanto le poche da mostrare nella serie “We Are Who We Are” (prodotta da Hbo e Sky, su Sky Atlantic dal 9 ottobre). Stanno appese alla pareti della scuola americana dentro a una base militare in Veneto, sarebbero un regalo graditissimo per tutti i guadagnini sfegatati. O per chi lo è un po’ meno, però apprezza l’indiscussa bravura tecnica. Dopo avere reso piazza e Duomo di Crema mete turistiche per i giovani americani, e non solo, in cerca di avventure – “Chiamami col mio nome” è stato un irripetibile successo internazionale – Luca Guadagnino immagina per la sua prima serie una base militare americana vicina a Chioggia.
Chi prova a cucinare il baccalà mantecato e chi regala ai nuovi arrivati una torta-bandiera, con fiocchetti di panna bianchi, rossi e blu. Non c’era luogo più adatto per raccontare la terra di mezzo dell’adolescenza. Complicata sempre, e doppiamente complicata quando le ossessioni sessuali delle generazioni cresciute senza YouPorn sono un vago ricordo. Nel presente, regnano incertezza e confusione. Non c’era regista più adatto (nonché sceneggiatore, assieme a Paolo Giordano, Francesca Manieri, Sean Conway) a girare una serie più d’atmosfere che di trama.
La fotografia all’inizio è fredda e lagunare, il cast ben assortito e diretto da uno che conosce il mestiere. Le inquadrature sono studiatissime, nella nuova tradizione della teen serie d’autore – segue dibattito – inaugurata da “Euphoria” di Sam Levinson (era targata Hbo, per gli spettatori italiani su Sky Atlantic). L’attrice Jordan Kristine Seamón, nella parte di Caitlin, ha qualcosa di Zendaya, giovanissima vincitrice di Emmy come migliore attrice. “We Are Who We Are” sarà candidatissimo ai prossimi premi. Possiamo già fare il nome di Francesca Scorsese, figlia di Martin, che nella serie è l’amica grassa ma simpatica, diversa dal modello classico per la frenesia sessuale (nella vita è così spiritosa da aver confezionato i regali di Natale con la carta dei supereroi, dopo che il padre ne aveva detto malissimo).
Primo della lista, Jack Dylan Grazer: 17 anni, lavora da cinque, era uno dei ragazzini di “It” diretto da Andrés Muschietti. Con i riccioli ossigenati, alla base militare è il quattordicenne Fraser, “figlio di due mamme”, catapultato a Chioggia da New York. La madre biologica, Chloë Sevigny, è appena diventata comandante della base. Al passaggio di consegne, le augurano buona fortuna, e fanno l’elenco dei poco militareschi trascorsi: 20 risse, 3 stupri e due suicidi. Fraser la odia e intanto sta con il naso sui libri, anche di poesia, e frequenta la biblioteca scolastica, segno sicuro di un qualche tormento. La serie è ambientata nel 2016, i sei mesi prima dell’elezione di Donald Trump. “America First”, dicono gli americani in trattoria. Un locale risponde “America Second” ed è subito rissa, anche fuori dalla base.
Serve per un po’ di distanza, dice Guadagnino, ma soprattutto per introdurre un altro conflitto che separi padri e figli, bianchi e neri, libertari e militaristi. Più conflitti, più drammi, giustissimo. Ma poi il dramma si stempera in languide scene, in qualche esercizio di stile (i primi due episodi mostrano gli stessi avvenimenti visti da due personaggi diversi), e in qualche accelerazione che fa dire “allora si può”. Si potevano raccontare gli adolescenti con i tempi degli adolescenti d’oggi, mostrando i loro patemi e la loro confusione senza dovere sentire ogni momento: “Sono confuso”.
Politicamente corretto e panettone