il foglio del weekend
Dal sentimento al trash. Chi si divide l'eredità di Raffaella Carrà
Un tempo c’erano gli “Scritti Corsari” di Pasolini e la Carrà. Poi sono arrivati “Uomini e Donne” e Barbara d’Urso. Lo schermo si è fatto sempre più piccolo. Nello smartphone la telenovela è sempre grande. Instagram tiene insieme tutto
Siamo qui a festeggiare insieme i due avvenimenti che hanno segnato maggiormente la contemporaneità italiana, i cinquant’anni del referendum sul divorzio e i quaranta della nascita della tv commerciale. Più che mezzo secolo di divorzio, infatti, l’antropologia sentimentale degli italiani l’hanno plasmata decenni di Canale 5 e di “Uomini e donne”. Dopo la sbornia di factual, reality, talent, il catalogo dei sentimenti televisivi è ancora quello: amori, lacrime, rancori, pentimenti, vendette, ricongiungimenti, matrimoni, figli, tradimenti spalmati su tutto l’arco del palinsesto. Ma rispetto ai ruggenti anni Novanta la concorrenza è spietata. Ci sono i social. Ci sono le serie tv che diventano eventi pop. C’è il peso sempre più invadente del “contenuto” e delle battaglie della società civile, e la tv del dolore oggi si fa anche su Instagram, in una disperata rincorsa all’intimità, alla lacrima vera, alla confessione pubblica, alla “messa a nudo di sé”, che fa un po’ rimpiangere i pomeriggi feriali di Alda D’Eusanio.
MM: Da un po’ di tempo poi va molto la coppia, i congiunti: la Venier col marito collegato da casa; Costanzo insieme alla De Filippi, che raccontano di sé. A gonfie vele anche l’amore filiale con tutte le sue complessità: si piange anche molto tra mamma e figlia, come Maria Teresa Ruta al “Grande Fratello”. Ritorsioni, accuse, perdoni. Lacrime comunque sempre in quantità.
AM: E’ chiaro, il gioco delle coppie conviene. Nel suo nuovo programma domenicale, Myrta Merlino si lancia in un’intervista improbabile al fidanzato, Marco Tardelli. Un micidiale “Carramba” home-made messo su per portare via due o tre spettatori a “Domenica In”. L’intervista al marito, al fidanzato, alla moglie è l’equivalente televisivo della recensione libresca tra amici, ma forse un po’ peggio. “Siamo molto imbarazzati tutti e due”, diceva Merlino (e te credo), “è stato veramente complicato decidere questa cosa per noi perché Marco è molto riservato, molto timido, fa davvero fatica a parlare dei suoi sentimenti”. Di conseguenza, e come se il discorso filasse, va a parlarne in televisione.
MM: Una televisione da camera, molto à la Cairo, al risparmio, con Tardelli che viene gratis e fa due ospiti: fidanzato e testimone oculare di Maradona.
AM: Una televisione fatta con amore.
MM: E chissà se Merlino ci sarebbe andata, a Catanzaro, col suo ex marito, il commissario a tutto Domenico Arcuri. Anche ritrovarsi a Catanzaro oggi è un po’ “Carramba”.
AM: “Catanzaro: che sorpresa!”, un nuovo format per mettere alla prova la tenuta delle coppie.
MM: Anche meglio di “Temptation Island”.
AM: “Carramba” ha dato in effetti un contributo specifico e peculiare alla scrittura dei sentimenti televisivi, degli amori filiali, delle lacrime torrenziali in cui sguazziamo ancora oggi. “Carramba” era “un traffico sudamericano di emigrati” (copyright Aldo Grasso) che ora non passerebbe le indignazioni dei social (perché parla solo ora? Chi gli ha pagato l’aereo? Dovrebbero occuparsi degli insegnanti deportati al Nord e strappati alle loro famiglie). E’ stato qualcosa di più di una semplice trasmissione. La Carrà era “la sacerdotessa di una nuova fede, la missionaria di una religione morbida, sentimentale, confortevole” (sempre Grasso). Da lì in poi prende vita una nuova “sentimental tv”, si apre una corposa ridefinizione dell’emozione televisiva, rilanciata poi da reality e talent, una tv sempre più “emotional” e sempre meno scritta.
MM: Però Carrà ha insegnato il sesso agli europei, eh. Lo dice il “Guardian”, mica Parioli Pocket. “Raffaella Carrà: la pop star italiana che ha insegnato all’Europa la gioia del sesso”. Certo anche i deputati ungheresi sui cornicioni ne avrebbero da insegnare. Lui ce lo vedo per un rifacimento dei classici con Renzo Montagnani, “La moglie in vacanza… l’amante in città”. in versione assembramento.
AM: Carràmba sul cornicione. Chissà la moglie, laggiù in Ungheria, come l’avrà presa. Però oggi l’eredità di “Carramba” se la dividono soprattutto Maria De Filippi e Barbara D’Urso, anche se in modi molto diversi. Un catalogo dei sentimenti televisivi non può che partire dall’amore defilippico. Non si sa se l’amore muove il mondo, ma quello di Maria De Filippi muove di sicuro la televisione. Lei affronta tutte le fasi dell’amore: lo crea con “Uomini e donne”, lo distrugge con “Temptation Island”, gli dà una “new opportunity” con “C’è posta per te”. E poi c’è l’amore per sé stessi, l’amore per il successo di “Amici”, il self-belief. La tv di Maria De Filippi esplora tutti i contorcimenti sentimentali, le pieghe, le declinazioni dell’amore: quello tra genitori e figli, fratelli e sorelle, l’amore etero, l’amore Lgbtq, anche l’amore tra Rai e Mediaset, con le sue comparsate amichevoli a Sanremo. “Uomini e donne” è un’epopea, il nostro “Fragments d’un discours amoureux”, coi segni zodiacali al posto di quelli semiologici: il balbettio della lingua, il borbottio di Maria. E’ il prodotto di una “factory”, seriale, industriale, interclassista, replicabile all’infinito. E’ anche un percorso che sfinisce. Perché la costruzione dell’amore defilippico è logorante, lenta, tortuosa, coi suoi rituali, i feticci, le “esterne”, il “trono”, “la busta”, le sacerdotesse, Gemma Galgani, Tina Cipollari. Non è morboso, è paziente e deliberatamente lento, anche perché ci si deve tirare fuori almeno una stagione. “Uomini e donne” ha i tempi dilatati del romanzo borghese, “Temptation Island” è invece la sesta “epoca” dell’amore stendhaliano: “Nasce il dubbio”. Come ha scritto Giorgio Cappozzo su “Internazionale” è “L’Otello con la prova”.
MM: E con l’iPad.
AM: Barbara D’Urso non ha questo ritmo ipnotico-dilatato. Non scava nelle delusioni e nelle amarezze, casomai va subito al sodo. Non racconta l’amore, lo esibisce come uno dei suoi tanti freak, via via sempre più inimmaginabili. Ecco Paolo Brosio con la nuova fidanzata ventenne che forse ha baciato un “imprenditore” mentre Brosio era nella casa del GF. Non c’è plot. Non ci tiri fuori una storia ma un battibecco, versioni che non coincidono, prove, insinuazioni, confronti, macchine della verità. Barbara D’Urso mette l’amore alla gogna, lo rimescola, è retroscenista. E’ il Marco Travaglio del discorso amoroso televisivo. Le storie d’amore costruite dalla D’Urso sono sempre “in esclusiva”, annunciate dal sottopancia con la grafica fucsia che va avanti in loop, come le breaking news dei tg americani.
MM: Sottopancia, colori, luci, personaggioni che solo lei riesce a scovare nella pancia del Paese e dell’internet. La De Filippi è la Cnn, la D’Urso è la Fox dell’amore.
AM: La sua è una pesca a strascico. Li prende che sono già “mostri”, poi gli mette addosso i riflettori della tv. Non è una factory, una scuola, un’accademia in cui si allevano amori, cantanti, tronisti, opinionisti. Si dice “i figli di Maria”, mentre quelle della D’Urso sono “creature”, esperimenti di laboratorio.
MM: D’Urso stana e valorizza la casalinga siciliana di “Buongiorno da Mondello”, certifica l’esistenza di Mark Caltagirone, tutto tra il vero e il verosimile. Come la Fox è a suo agio con gli “alternative facts”.
AM: Vedo già il cartello: “Esclusiva: tra poco in studio Alfonso Signorini svela i retroscena del GF e Donald Trump racconta la verità sulle elezioni americane”. Non farebbe una piega.
MM: Già c’è stato un leggendario collegamento con Ivana Trump e Rossano Rubicondi a “Live non è la d’Urso” (erano favorevoli a che Trump concedesse la vittoria a Biden). Ma il fatto interessante, mi sembra, è che c’è stata un’evoluzione della tv del sentimento in questo quarantennio: dai delitti, e dai torti, inflitti ad altri, si passa agli abusi subiti. L’ospite è carnefice e vittima insieme. Lo sa bene la D’Urso, che è autobiografia catodica del Paese: già a TeleMilano quando l’antenata di Canale 5 era ancora una tv citofonica per Milano2.
AM: Perché anche nella lacrima e nell’amore ormai ci vuole il contenuto, la trama sociologica, la profondità. Anche la logica del “confessionale” si dà un tono. Il tronista coatto, la corteggiatrice svampita, i casi umani del “Grande Fratello” non sono più portavoce di sé stessi e basta. Quando piangono, quando si “mettono a nudo”, quando raccontano un trauma o anche quando dicono “con te nun me ce trovo perché sei scorpione”, ambiscono ormai a farsi portavoce e testimonial di un disegno più grande di loro. Gli si appiccicano addosso i grandi temi del dibattito pubblico, femminicidio, violenza di genere, discriminazioni, fat-shaming, qualsiasi cosa può andare bene. Non è più “il mio dramma”, ma “il dramma di tutte le donne”, di “tutti i figli abbandonati”, di tutti quelli presi in giro a scuola da bambini. E poi anche gli uomini sono diventati tutti un po’ Lady Diana: non fanno che confessare abusi e angherie.
MM: Diana siamo noi. E le reazioni isteriche che suscita “The Crown” testimoniano molto lo spirito dell’epoca (la nostra). Tutti inferociti, infatti, istantaneamente, dalla famiglia reale in giù, per questa quarta stagione. Tutti a dire che non è vero niente, si sono inventati tutto. Eppure, ciò che funziona della serie è proprio che è più vera del vero (il creatore, Peter Morgan, già autore di “The Queen”, ha detto che sì, qualche dettaglio viene cambiato, ma per rendere tutto ancora più vero). C’è anche una super esperta che controlla tutti i dettagli, si chiama Annie Sulzberger, figlia del proprietario del New York Times. Che l’erede del più importante quotidiano del mondo controlli i dettagli di uno sceneggiato è anche una bella metafora sul giornalismo. Ma tornando a noi: ci si arrabbia perché è finto (la famiglia reale: Diana non era così! Elisabetta non è così!), e perché è troppo vero: l’altro giorno (certo con scarso tempismo) Camilla Parker Bowles ha postato un aggiornamento di una delle varie opere caritatevoli di cui si occupa, e l’hanno prontamente massacrata. Come osi parlare di beneficenza, proprio mentre scopi con Carlo tradendo la povera Diana (i pochi che non erano a conoscenza della tresca d’epoca si sono subito indignati, ritenendo esservi un’unità di tempo di luogo e d’azione tra la fiction, i fatti di quarant’anni fa, e la realtà di oggi).
AM: Certo se Diana quell’estate non avesse preso la Mercedes di quarta mano con l’autista ubriaco e imbottito di psicofarmaci e avesse aspettato fino a oggi, avrebbe risolto il problema. Con Instagram sarebbe stata un’instancabile influencer, avrebbe riempito la rete di stories e avrebbe mandato in rovina i paparazzi.
MM: Hanno detto che lei inaugura un nuovo tipo di celebrità, ma non è del tutto esatto. Lei inaugura il tipo della celebrità lamentosa. Forse istruita sulle storie della nonna adottiva Barbara Cartland, regina dei polpettoni amorosi, Diana cresce in vaste tenute desertiche di affetti e riscaldamenti, carica come una bomba a mano di affetto e rancore, e desiderosa sia di status regale che di confessare a ciascuno ogni più recondita sofferenza del suo animo. Tradimenti, mali di vivere, disturbi alimentari e di personalità, tutto pronto per far immedesimare le masse.
AM: La sua è un’intuizione fondamentale: legare tutta l’articolazione di emozioni, sentimenti e gesti amorosi o compassionevoli al paradigma vittimista. Sono una donna forte, moderna, autonoma, ma sono una vittima.
MM: Diana cresce parallelamente alla nascita delle tv private che trasmettono le prime soap opera. Fino alla fine degli anni Settanta in Italia non esisteva il genere. Poi dal ‘79 con Telemilano che poi diventa Canale 5 arriva tutto l’universo di polpettoni sentimentali: Sentieri, Destini, Quando si ama, Beautiful. Col matrimonio di Carlo e Diana (1981) e la nascita ufficiale di Canale 5 (1980) si apre il secolo del piagnisteo.
AM: Nel 1997, di fronte all’isteria mediatica dopo l’incidente mortale a Parigi, Pierre Bourdieu scrive: “Ho la sensazione che con la morte di Diana siano saltate le ultime inibizioni dei media”. Tutto il suo libretto, “Sur la television”, che è una grande incazzatura contro i media degli anni Novanta, ruota intorno alla morte di Diana. Scrive Bourdieu: “Le famiglie principesche e reali di Monaco e di Inghilterra, come le altre, saranno conservate come una sorta di serbatoio inesauribile di soggetti da soap opera e da telenovela, ed è chiaro che il grande happening al quale la morte di Lady Diana ha dato luogo si iscrive bene nella serie di spettacoli che incantano la piccola borghesia d’Inghilterra come di altre parti del mondo: queste sono grandi commedie musicali come Evita o Jesus Christ Superstar, nate dal matrimonio del melodramma e degli effetti speciali di alta tecnologia, feuilleton televisivi lacrimevoli, film sentimentali, romanzi rosa da grande tiratura, musica pop della più facile, divertimenti di tipo famigliare”, insomma tutta roba che ormai è sbarcata su Instagram, il nuovo impero delle confessioni pubbliche e delle soap.
MM: E’ lo schermo che è diventato piccolo (quello del telefono). Ma la telenovela è sempre grande. Instagram tiene insieme tutto, come un grande palinsesto un po’ selvaggio, come il mondo delle tv private anni Settanta. Universo rutilante di emittenti sgangherate dove, girando canale, potevi imbatterti velocemente in televendite e psicologi e cartomanti e soap operas sudamericane. Cioè esattamente quello che è Instagram oggi. Solo che Instagram è ancora più frammentato, concentrato, sincopato. Ognuno oggi fa tutte queste cose insieme. Se guardi qualunque storia di qualunque influencer, c’è il momento televendita (“ecco la crema per le rughe X, che mi ha dato il mio amico Y, vi do il codice sconto”); e poi subito dopo ecco questo libro che sto leggendo, leggetelo anche voi; mi sta proprio prendendo, peccato per la carta, l’imballo però ok. E poi l’angolo dei consigli di coppia. “Siamo usciti una volta sola, sesso top, però adesso mi ha ghostato, che fare?”. Si fonde e si tiene tutto, c’è il confessionale del Grande Fratello e c’è il telegiornale, giovani imberbi che hanno appena chiuso Wikipedia e ti spiegano il medioriente e i bitcoin e Shakespeare con un filtro che ti mette un ananas in testa (e altri giovani zombie che chiedono: te lo faresti tu il vaccino?).
AM: Ecco perché i Ferragni sono il “The Crown” italiano. Fedez un principe Filippo decorativo, lei una regina Elisabetta tipo prima stagione, che però ti vende le borsette e il pre-balsamo. E fa il discorso alla nazione, con tanto di appunti, sempre più sul sociale. La pioniera di Instagram che approda alla tv pedagogica, al Maestro Manzi.
MM: La Ferragni è la nostra Margaret, anzi Margherita. Ultimamente fa anche pubblicità per un mini-forno da pizza. E però hai notato che invece i cuochi sono un po’ scomparsi dalla tv. La grande orda di chef che all’alba del 2000 imperversava in televisione adesso non c’è più, e comunque non interessa più. Nessuno ha voglia di cucinare, in questa seconda fase. E i poveri influencer stanno rinchiusi in casa, a spacchettare inutili regali con bigliettini patetici di uffici stampa pieni di cancelletti e codici sconto – gli uffici stampa che puntano su questi influencer sono i veri angeli della seconda ondata. A un certo punto tutti i gonzi influencer trangugiano un’acqua di una certa marca, con tutti i bigliettini di questi spacciatori di beni di consumo gratis, e le case di influencer saranno invase di queste casse, tipo Fantozzi al casinò (continui a bere!). L’influencer che riceve la merce gratis deve poi celebrarla, con tutti questi ristoranti e trattorie e pasticcerie chiuse al pubblico che gli mandano dei pacchettini in cerca di un po’ di pubblicità; dunque ecco questo pane della premiata panetteria Mirella, ecco il cosciotto della trattoria di Paderno Dugnano, e l’influencer cita, mette cancelletti, scalda questi pasti al microonde, li impiatta, trangugia anche micidiali cocktail (l’ultima moda) che arrivano in buste, devi solo aggiungere ghiaccio! (o forse del cianuro, e farla finita).
AM: Intanto deve rispondere alle domande dei follower sempre più frequenti.
MM: E’ la nuova posta del cuore, un’altra cosa che Instagram ha rubato per sempre ai giornali. Gli influencer rispondono con durezza, paiono ispirati tutti al modello Susanna Agnelli. Tutti vogliono sapere del moroso, della morosa, devo cercarlo, lui non mi cerca, lei prima mi cercava e ora non più. Risposte: trovati piuttosto un trombamico tamponato. Paolo Morando fa coincidere l’inizio degli anni Ottanta quando per la prima volta lo spazio una volta occupato dagli “Scritti corsari” di Pasolini sul Corriere viene appaltato ai sentimenti. Il 13 settembre 1978, un lettore cinquantenne pone la sua disperata questione sulla prima pagina del primo giornale italiano: non sa decidere tra la moglie e l’amante. Scompiglio nel Paese, già provato dalla tragedia Moro. Diana all’epoca era ancora una ragazzina immersa nella lettura di Barbara Cartland. Il mondo non sapeva ancora che di lì a breve sarebbe iniziato il secolo del cuore aperto.
Politicamente corretto e panettone