Stiamo faticando così tanto per riuscire a prendere sul serio una questione che dovrebbe essere grave come una crisi di governo – in mezzo a tutti questi Luigi “Alvaro” Vitali, che si deresponsabilizza nottetempo, con il costruttore della Xylella che si responsabilizza oltre la zona Cesarini e viene salvato dal Var, con la senatrice del Pd affittata in leasing ma per il bene del paese – che per distrarci forse è il momento di provare a prendere sul serio una cosa che invece non è grave per principio, anzi per statuto sarebbe “leggera” ma spesso scade nel comico assoluto: insomma il Festival di Sanremo. Che necessita, sì, di qualche momento d’attenzione: se non altro perché, a osservarlo, ci si trova la radice del disastro politico del paese. Il direttore artistico di Sanremo (pro tempore come qualsiasi premier) per una settimana all’anno si convince di essere la persona più importante d’Italia (tipo un premier, o giù di lì). Ma a causa della friabilità liquefatta di tutto quel che gli sta intorno, a partire dalla Rai, il suo sentimento plenipotenziario si dilata, regolarmente, in lunghi mesi prima del fatidico evento canoro. Voglio questo e voglio quello, Morgan lasciatelo fuori come un Mastella qualsiasi, Ibra sì Ibra no.
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