Non è il festival dei giovani. È il festival della giovinezza, ed è parecchio diverso. I giovani invecchiano, la giovinezza no. I giovani sono stupidi davvero, specie a vent’anni, la giovinezza no. I giovani hanno un’età, la giovinezza no. La giovinezza richiede un certo talento, una chiara capacità, una sfacciataggine che possiede chi è molto nuovo e quindi inconsapevole o chi è molto vecchio e quindi accorto. Se fosse stato il festival dei giovani, avrebbero suonato soltanto sottotrentenni e ci saremmo fatti due palle così, primo perché piuttosto spesso i sottotrentenni, quando salgono sul palco di Sanremo, si fanno prendere dalla fregola di dimostrarti che sono all’altezza della grande tradizione italiana; secondo perché non nascono più incendiari da almeno un ventennio, anche perché gli incendi inquinano, e sappiamo come alle nuove generazioni importi più l’equità forestale di quella salariale. Le vituperate quote anziani, ovverosia Berti e il medley del Pleistocene (Bella, Leali, Cinquetti) non erano, come molti hanno pensato o scritto o chiacchierato, old washing – metto i vecchi in minoranza, ma do loro i ministeri con portafoglio, così sembra che il potere è dei ragazzi. E no. Amadeus non ha ragionato né in termini di rottamazione, né in termini di mediazione, cioè di Democrazia cristiana. Ha tentato, sta tentando una sinergia. Ed è la sola cosa da fare, in un paese dove la rottamazione ha fallito anche perché non ha i numeri per governare. Amadeus ha cercato, sta cercando di dire: stante che l’Italia è un paese per vecchi soprattutto perché è un paese di vecchi, come possiamo, intanto, trasformarla almeno in un paese di vecchi che però sia un paese per giovani? Visto che il Pd ha i suoi problemi, la sinistra non ne parliamo, il governo ha da farci vaccinare, e l’ultima ondata di giovani in Parlamento non ha portato il migliore dei mondi possibili, il festival si propone come laboratorio di questa transizione.
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