Sanremo salvato da Elodie (e anche dai ragazzini)
La seconda serata vola che quasi sembra un pezzo di Dalla, l'assenza di Ibra non si sente, Amadeus batte Fiorello, e finalmente si balla, perfino con il medley degli anziani. Berti è madrina e sirena
Dev’essere stato Draghi. Sanremo s’è corretto in tempo record, è intervenuto laddove era necessario, lo ha fatto senza consultare Rousseau, senza primarie, senza scissioni e pure senza recovery plan. Sì, Amadeus e Fiorello devono aver fatto uno Zoom notturno con Draghi, probabilmente su richiesta di Draghi - il quale, da turboumanista qual è, sa che se pure il festival viene una schifezza si rischia la guerra civile - elaborando con lui un intervento tecnico ma pure politico, economico ma pure empatico, e così la seconda serata è filata decisamente meglio della prima, quasi è parso fosse un altro festival, e magari lo era, chi può dirlo, ormai ci aspettiamo di tutto.
Ci eravamo lamentati della platea vuota e Fiorello l’ha riempita di palloncini sorridenti, sembrava il compleanno di IT pagliaccio cannibale. Avevamo trovato ospiti e gareggianti un po’ troppo dimessi e ci sono stati dati Laura Pausini con addosso un bellissimo plaid da sera e Lo Stato Sociale in tenuta pro sommossa, gli Extraliscio e Willie Peyote e Bugo in forma smagliante neanche fossimo nel 1991.
Che insolenti banderuole questi signori del festival, non puoi muovere una critica che subito t’accontentano, furbi e cerchiobottisti come algoritmi. Ci tocca rivedere il semi disastroso bilancio di martedì ma non del tutto, stiamo cauti, stasera non ci sarà Elodie, purtroppo, e tornerà Ibrahimovic, il quale ieri in un’intervista alla Stampa diceva che Amadeus vuole fare un record di ascolti “e grazie a me ci riuscirà”, ed effettivamente c’è stato un calo degli ascolti pari al calo della libido degli italiani nei primi mesi di lockdown, quando la sola attività extra coniugale consentita era andare a comprare viveri – nessuno parla della ferita profonda inferta ai cittadini da settimane di solito sesso, ma sappia il governo che non di sola dad muore l’italiano.
L’errore perpetrato è stato tuttavia quello di piazzare i giovani all’inizio della serata, nel disperato tentativo di sottolineare che la canzone italiana non è un paese per Marcella Bella, cosa smentita tre ore dopo, quando Fausto Leali, la già citata e Gigliola Cinquetti si sono esibiti in un commovente medley di successi del Pleistocene, che questo paese di giovani percepiti ha contestato su Twitter e adorato sul divano – tutti, ma proprio tutti, ci siamo ritrovati a fare pensieri che non condividiamo, ci siamo sentiti uscir di bocca: questa nuova scena italiana non ci farà mai una “Montagne verdi”, una “Non ho l’età”, una “Mi manchi”, e poi dice una si butta a destra.
A mettere d’accordo tutti, a creare quel raccordo mancato ieri, c’è stata Elodie, che ha dimostrato di saper fare tutto, come Ornella Vanoni quando le mandano un pessimo intervistatore e allora lei conduce l’intervista da sola. Diversamente da Matilda De Angelis, Elodie non ci odia, anzi: ci vuol bene, si emoziona, quasi piange, indossa abiti e non rivendicazioni, fa un mashup degno di Jennifer Lopez, circondata da ballerine, canta balla presenta discorre fa tutto, talvolta un po’ impacciata ma molto sincera, come Draghi quando ha chiesto “ditemi quando mi devo sedere”, dopo l’applauso in Senato al suo primo discorso per la fiducia.
Elodie è stata fantasmagorica: elegante, educata, a modo, professionale, calda, gentile, fuoriclasse dell’oscurare tutti gli altri standosene al proprio posto. Quando ha tenuto il suo monologo, abbiamo temuto il peggio, e invece anche lì ci ha fregati, sopresi, ammutoliti, annientati: niente storytelling resiliente, niente storie di periferia, ma un vocale di dieci minuti soltanto per dirci quanto è felice di essersi liberata dell’ossessione di essere all’altezza di tutto, incluso il palco di Sanremo, e quanto le dispiace non aver studiato canto e non aver preso la patente, ma è andata così, Inshallah. Finché Elodie va, lasciala andare. E a proposito. Orietta Berti è stata magnifica, e ci onoriamo di averlo previsto. Ha cantato una canzone rispettabilissima, ha detto “Ciao Amedeo”, ed era così a suo agio che le si sarebbe potuto dare della ragazza dell’indie se non avesse indossato quella maglietta con le conchiglie disegnate sul seno, un po’ sirena del Po e un po’ madrina di cresima nel profondo Veneto, dove il cielo è limpido.
La canzone migliore l’hanno cantata gli Extraliscio con Davide Toffolo, che per quanto ci riguarda portano a casa anche l’Oscar ai costumi. Incredibilmente, a fine serata, non sono arrivati ultimi in classifica – lo vedete che c’è speranza perfino nella democrazia? Tra gli autori del pezzo c’è anche Elisabetta Sgarbi, la signora dalla multiforme mano invisibile - cosa non ha fatto, in cosa non s’è espressa, forse soltanto una linea di profumi.
“Strano il mio sentimento che mi fa male, mi tiene vivo”, “ho paura di camminare se perdo la tua luce bianca, se perdo la tua luce nera, se perdo la tua luce bianca, se perdo la tua luce nera”, “Mi curi medicamentosa”, “dimmi che c’è un treno che parte e noi ci sediamo vicino”, “non importa dove andiamo”: testo splendido sul caro estinto desiderio, antico crimine culturale nonché piaga biblica debellata dall’autodeterminazione.
Ottimo Bugo, che senza Morgan è come Jennifer Aniston senza Brad Pitt. Otto meno a Fulminacci, che ha scritto canzoni migliori di questa ambientata a Santa Marinella e soprattutto è parso molto arrabbiato, ma è pur sempre un giovane favoloso, incoraggiamolo.
Gio Evan era in shorts, anche in senso figurato, forse soprattutto in senso figurato. Bravo (e anche bello, se si può dire) Davide Shorty, a dispetto del cognome: migliore nuova proposta dell’ultimo lustro, forse addirittura degli ultimi due.
La fascia per la migliore performance va a Lo Stato Sociale e Willie Peyote, pari merito, riascoltarli con il testo alla mano verbalizzato dagli stenografi del Senato sarà ancora più bello – Draghi, scusi, può per favore intervenire anche su questo dettaglio e dire a lorsignori concorrenti, tutti, Berti esclusa, che quando cantano sarebbe splendido se riuscissero anche a farci capire bene le parole, scandendole come usava nel Novecento? Apra un tavolo di logopedia, veda lei, ma per favore ci aiuti, presidente, grazie.
Achille Lauro è riuscito a fare qualcosa di peggio dell’indossare un’enorme treccia finta, amoreggiandoci maliziosamente come fosse un boa: ha portato sul palco Francesca Barra e Claudio Santamaria che si sono prodotti in una terrificante rivisitazione del balletto di Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction. Uno spettacolo indegno persino della sagra del fagiolo di Sarconi. Speriamo che Tarantino non ci quereli. Achille Lauro ha bisogno di una vacanza. In convento, magari, ma pure in monastero va bene, tanto lui è fluid.
Ci siamo divertiti? Ci siamo divertiti. Ci è venuta voglia di scendere in strada, citofonare e scappare. Fulminacci ha ragione, è l’unica cosa da fare. Ricordiamocene, appena si potrà tornare a vagabondare.
Recensire Upas