"Nuevo Orden" usa la distopia per parlare dei problemi attuali del Messico e del Sud America

Il 15 aprile esce in streaming in prima assoluta in Italia l'ultimo film di Michel Franco, vincitore del Leone d'Argento alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia

Mattia Giusto Zanon

La pellicola mostra come quando l’ordine è sovvertito, quando la “lotta di classe” si trasforma in caos, rabbia e furia, a pagarlo sulla propria pelle sono tutti

Un matrimonio dell’alta società locale, il pericolo costituito da un folto gruppo di manifestanti che da giorni infestano Città del Messico. E chi ha le armi detta legge, sia esso un manifestante o un membro dell’esercito. Ognuno con il proprio piccolo e personale interesse. La tranquillità della vita di famiglia viene interrotta da una brutalità sconfinata che entra come un veleno nell’ambiente domestico. È il verde il colore del pericolo, che annuncia la minaccia imminente, l’acqua fetida che inizia a scorrere da un sontuoso rubinetto del bagno della villa, sotto gli occhi della padrona di casa esterrefatta, o alcuni ospiti che arrivano con le automobili macchiate da lanci di vernice. Il disordine delle piazze entra nelle case assumendo la forma materica dei manifestanti che scavalcano le recinzioni armati fino ai denti. Ha inizio la violenza.

  

Nuevo Orden, il film di Michel Franco Leone d'Argento a Venezia 77 – disponibile da domani 15 aprile sulla piattaforma on demand iwonderfull.it e su 1895.cloud – è una visione distopica di un futuro non lontano dall’attuale fase storica e politica del Sud America contemporaneo. Non sono solo le disparità economiche il vero pericolo – quelle a volte, come mostra il lavoro di Franco, si trasformano anche in alibi – quanto piuttosto il rischio dei totalitarismi, dei colpi di stato militari. Il caos generato da una scellerata rabbia sociale, permette ai militari di prendere in mano la situazione, organizzando rapimenti, razzie ed espropri nei confronti della borghesia, in quella che è a tutti gli effetti una battuta di caccia, uno spasmodico quanto ingenuo “sterminio del benestante”.

 

Se gli agiati protagonisti vengono inizialmente visti con asettico distacco e mostrati come sprezzanti e poco interessati alle sorti della servitù e delle classi subalterne, a guardare meglio non sono tutti uguali. La figlia dei padroni di casa, Marianne, che in quel giorno molto particolare dovrebbe essere al centro dell’attenzione in quanto sposa, è l’unica che ascolta con pazienza e profondo rispetto la richiesta d’aiuto di Rolando, un ex-lavoratore della famiglia, che si ripresenta a chiedere un sostegno economico per coprire le urgenti cure mediche della moglie malata.

 

Le vie con i residui degli scontri, i resti delle barricate, le scritte sulle statue e i corpi per le strade, fanno venire nostalgia dei teorici delle dottrine politiche che vedevano la rottura dell’ordine costituito come il male assoluto, se non Hobbes, quantomeno Locke, per l’importanza che riponeva nel cosiddetto “contratto sociale”.

 

Sequestri, violenze, coprifuochi militareschi. Il mantenimento di questo “Nuevo Orden” passa presto per l’organizzazione del lavoro attraverso una società della sorveglianza di stampo asiatico ma in salsa messicana. Permessi di lavoro e un badge che tiene conto di un proprio punteggio personale: si sgarra, si perdono punti, si incappa in sanzioni.

 

Alla fine si smette di sperare che il raccapricciante calvario possa arrivare a qualsiasi tipo di conclusione edificante. Si inizia a chiedersi quanto riuscire ancora a sopportare. Peggio ancora, si smette di lamentarsi dell’ingiustizia e rassicurarsi che almeno le cose intorno a noi non sono per il momento così brutte come nella mente di Michel Franco. Purtroppo, nessuno degli esempi di avidità, caos urbano o omicidi extragiudiziali al momento è inverosimile.

 

Il film, dato che racconta il mondo dal punto di vista del cosiddetto “1 per cento” è stato presto tacciato come classista, razzista e pregiudizievole, troppo visto con gli occhi del “messicano bianco”, come se l’unico modo per raccontare le cose fosse sempre quello delle classi disagiate, con il solito punto di vista del Sudamerica povero e disperato. Eppure risulta molto più concreto di quanto queste critiche superficiali non vedano. Mostra come quando l’ordine è sovvertito, quando la “lotta di classe” si trasforma in caos, rabbia e furia, a pagarlo sulla propria pelle sono tutti: poveri, ricchi, e chi ci guadagna è spesso solo chi è più armato, di piombo e spregiudicatezza.

 

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