Voglia di divi e dive

Ritratto dal vero del cinema francese dall'autore della serie tv “Chiami il mio agente!”

Mariarosa Mancuso

Dominique Besnehard, ’uomo dietro alla serie che in Francia era intitolata “Dix pour cent” e su Netflix è diventata “Call My Agent!”, in un’agenzia per attori ci ha lavorato 20 anni. Così ha messo a frutto conoscenze e pettegolezzi

Dopo gli Oscar che per un po’ di glamour hanno puntato sui maschi neri – Chloé Zhao e Frances McDormand, vincitrici con “Nomadland”, erano dimesse, spettinate, senza trucco, perfette per far da calamita alle sovrane sciocchezze sulla “bellezza vera” – viene voglia di divi e dive. Gente che all’occorrenza può dire “Parli con il mio agente!”, come la bionda ammaestrata Jayne Mansfield nel film di Frank Tashlin “Gangster cerca moglie” (le hanno detto di rispondere così a qualsiasi domanda). Ottimo consiglio, se non hai un agente – non importa quanto improvvisato e alle prime armi – nessuno ti prenderà sul serio. Poi ci sono i professionisti, come Dominique Besnehard.

 

 

L’uomo dietro alla serie che in Francia era intitolata “Dix pour cent” (la percentuale che per contratto spetta all’agente) e su Netflix è diventata “Call My Agent!”, “Chiami il mio agente!”. L’uomo che in un’agenzia per attori ha lavorato 20 anni, a partire dal 1985. Dopo aver messo a frutto conoscenze e pettegolezzi nella serie – divertentissima, molti attori francesi sono stati al gioco, e si fanno prendere in giro: Isabelle Huppert gira un film di giorno e uno la sera, schiacciando pisolini sul set; Jean Dujardin non vuole uscire dal personaggio, e non si toglie la pelliccia da cacciatore solitario – ha appena pubblicato un libro che racconta la vera storia dell’agenzia. Titolo: “Artmedia. Une histoire du cinéma français”, scritto con Nedjma Van Egmond (edizioni L’Observatoire). Titolo per nulla esagerato, da Artmedia sono passati tutti (e chi resisteva, come Alain Delon, fu lungamente corteggiato).

 

L’agenzia aveva una porticina per far entrare e uscire i clienti di riguardo. Gestiva i contratti e le paghe degli attori ma anche le finanze dei suoi impiegati particolarmente spendaccioni. Dominique Besnehard ricorda che lo convinsero a investire nel mattone, comprò così la sua prima casa. Garantisce che quel che si vede negli episodi della serie è successo davvero – magari a qualche altro attore, o nel passato. L’unica su cui simpaticamente si accanisce nel libro è Isabelle Adjani, la regina delle telefonate inutili. Ai nuovi dell’agenzia veniva insegnato a rispondere con ritardo, quando la maggior parte dei problemi si erano risolti da soli.    

 

Diciamo “agente” e pensiamo a chi contratta la presenza della star in questo o quel film, pone qualche veto, indirizza una carriera, cura l’immagine, al bisogno fa da consigliere sentimentale, risolleva il morale, tiene i talentuosi lontano dalle droghe. Il sistema Artmedia – così viene chiamato nel libro – era diverso e globale, voleva portare in Francia il modo di lavorare americano. L’agenzia costruiva attorno ai suoi talenti progetti adatti a loro – e a sbancare i botteghini – chiamando i registi più indicati. Agli attori spettava un fisso più una percentuale sugli incassi, la loro parte del rischio d’impresa. Poi l’intreccio tra agenti e produttori fu considerato monopolio.

 


La storia di Artmedia offre materiale per un’altra serie, dedicata ai fondatori. Gérard Lebovici mise la prima pietra nel 1970. Per dieci anni governò il cinema francese, da François Truffaut a Catherine Deneuve, a Jean-Pierre Cassel padre di Vincent. Lo trovarono in un parcheggio sotterraneo, con quattro pallottole in corpo. 40 anni dopo, ci sono varie teorie ma nessuna certezza. Una riguarda la passione sfegatata di Lebovici per Jacques Mesrine, re delle evasioni e nemico pubblico numero uno di Francia. Lo considerava un rivoluzionario: quando il bandito fu ammazzato, il re degli agenti si prese cura della figlia Sabrina Mesrine.

 

 

Alla morte di Lebovici, ebreo, Artmedia fu governata da Jean-Louis Livi. Figlio di Julien Livi, a sua volta fratello maggiore di Yves Montand, all’anagrafe Ivo Livi nato a Monsummano Terme.
 

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